«[…] I will arise and go now, for always night and day
I hear lake water lapping with low sounds by the shore;
While I stand on the roadway, or on the pavements grey,
I hear it in the deep heart’s core»
(W.B. Yeats, The Like Isle of Innisfree)
I santi irlandesi (tipo i Cranberries), i santi di Kildare, santa Brigida (Brigid, se festeggi Imbolc e non sei un fan del monoteismo), farsi chilometri di pellegrinaggio lungo strade di campagna verde (Ahhhh l’Irlanda) con il clima che cambia sette volte al minuto (Ah. l’Irlanda), pur di ritrovare un briciolo di paganesimo annaspando tra messe e divieti. A Kildare, alle persone piace affiggere divieti: non parcheggiare, non attraversare, non oltrepassare, non prendere, non buttare, non parlare. Il migliore però è lui: “Non disturbare. Sono già abbastanza disturbato così” (as it is). Gli irlandesi tengono ai loro santi e sono persone cordiali, non gli manca mai la battuta e un pizzico di rammarico per ciò che non hanno potuto permetterti di fare a causa di qualche divieto che hanno messo loro stessi, ma non credendoci davvero. Gli irlandesi sono le ennesime persone simpatiche capitate dalla parte climatica sbagliata di mondo (tipo gli scozzesi e gli olandesi), nella parte dove è dicembre da ottobre a giugno, dove sembra sempre Natale, dove le architetture sono arcigne per forza di cose – dove ti giri ti giri mattoni rossi – dove si beve per ricordarsi cosa si prova a sentire calore e ogni colazione ‘tipica’ è un tipico pranzo di Ferragosto pugliese. Non so se mi è piaciuta l’Irlanda, forse “è bella ma non ci vivrei”, forse ci tornerei (ma eviterei le città, le industrie, i fast food e le chiese), forse ci ho vissuto in qualche vita passata, un po’ come tutti – un po’ The Handmaid’s Tale (se ci pensi) – un po’ te lo aspetti, un po’ancora ci speri (Dal mio Facebook).
Kildare, 10 aprile 2023
Bus per Kildare, quartier generale di Brigid, un intero villaggio dedicato a lei. Per i Pagani, idealmente, una via di mezzo tra Gardaland e il centro dell’universo. Tornando alle “grandi aspettative” (alla Dickens), di cose dedicate a Brigid ce ne sono meno di quante te ne aspetti negli innumerevoli negozi di souvenir che appestano la città. Vendono tutti le stesse cose, tra cui pochissime relative a lei, eccetto qualche croce. Interpreto la cosa come positiva, un segno di quanto la rispettino davvero, tanto da non brutalizzarne l’immagine a scopi commerciali. E anche un segno degli strascichi di paganesimo che la sua figura porta con sé, e che qua sembrano tutti voler occultare per qualche motivo.
Il nostro bus ci ferma al Kildare Village, che contro ogni (ennesima) aspettativa non è altro che un enorme outlet. Ricapitolando, per cominciare il nostro “pellegrinaggio” alla riscoperta dei sentieri pagani, dobbiamo prima farci un giro obbligato alla Valmontone irlandese. Per raggiungere il centro del villaggio vecchio devi passarti tutti i Gucci, Prada e Michael Kors del caso. Nelle lussuosissime toilette ci sono dispenser di crema per le mani di Molton Brown.
I sobborghi di Kildare Vecchia – quando ci arrivi – sono un deserto tripudio di regole e divieti appesi a cartelli fuori le porte, a giudicarti in silenzio. Sembra l’inizio di un film horror ambientato in un paesino proibizionista di quelli che finiscono in sacrifici umani.
La prima tappa del St. Brigid’s Trail sarebbe il Kildare Town Heritage Centre, ma noi ci troviamo ancora troppo fuori dal centro quindi facciamo di testa nostra e iniziamo da dove ci pare. Entriamo nel giardino deserto di una chiesa qualsiasi attirati dalle lapidi monumentali del cimitero che è una di quelle cose che ti fa dire “Oddio sono in Irlanda”. Per il resto è una normalissima chiesa, e di Brigid non c’è traccia. La seconda tappa non si scosta di molto, è una cattedrale, ma stavolta una cattedrale dedicata a Brigid, appunto la St. Brigid’s Cathedral. Chiusa, da settembre a maggio.
Da lì perdiamo l’orientamento – e forse anche un po’ la pazienza – e cominciamo ad aggirarci per vicoli angusti a caso, ancora più pieni di divieti. Non puoi fare nulla: parlare, camminare su cose, fotografare, saltare, parcheggiare, fumare, bere, mangiare – in generale – disturbare. Qualcuno ha appeso un cartello fuori dalla propria abitazione:
DO NOT DISTURB ME
I AM ALREADY DISTURBED AS IT IS
Usciamo dal labirinto di mattoni e umidità – e dallo humor irlandese passivo-aggressivo – grazie ad un vecchino che non capisce affatto quello che dico e nel dubbio mi risponde in una specie di dialetto elfico, ma sa dove vogliamo andare e io so che posso riporre ogni speranza nella sua guida. Sono quelle persone che ti mandano dall’alto quando proprio vedono che non ne usciresti altrimenti.
Ci guida dritti alla terza tappa: la Brigid’s Church. L’ennesima roccaforte del colonialismo cattolico con qualche minima traccia di paganesimo qua e là: qualche croce di Brigid appesa, un pulpito allestito come i migliori altari di Ostara, e finalmente una statua di Brigid in giardino (con una lanternina al posto della fiamma). Per il resto pochi anziani che recitano rosari cattolici tra spoglie pareti di una chiesa protestante.
Il Centro Studi di Brigid, oggi divenuto centro di “Studi Spirituali” – la quarta tappa – è chiuso forse anche più di quanto era chiusa la cattedrale, se possibile. Ci imbarchiamo quindi in due chilometri a piedi lungo una stradina di campagna interminabile che ci regala credo sei o sette cambi climatici dal caldo afoso estivo alla gelida pioggia battente, passando per vari autunni e inverni boreali. Ad un certo punto mi stufo di spogliarmi, rivestirmi e armeggiare con l’ombrello e decido che mi prendo qualsiasi cosa venga giù dal cielo.
Alla fine della stradina c’è la quinta e ultima tappa di questo “pellegrinaggio” e l’unica per cui sia valsa la pena dell’intero viaggio. Il Brigid’s Well (il “pozzo di Brigid”) è un piccolo santuario sperduto tra le campagne, poco fuori dal centro di Kildare che è già fuori da tutto. Il santuario sorge su un piccolo fiumiciattolo dove sorgono le cinque pietre sacre ed il pozzo con la statua di Brigid a cui i devoti portano offerte. Finalmente un posto pieno di energia e di vissuto, che mantiene un qualche filo col passato e con l’umanità pre-cattolica. Sbattuto a chilometri fuori dal centro abitato, a più di mezz’ora di cammino dalla fermata del bus.
Facciamo le nostre offerte, riflessioni, pianti, meditazioni. Poi torniamo a ripercorrere i tre chilometri e i sette cambi climatici e le stagioni. Tutta la ruota dell’anno in una strada, più “pagan tour” di così…
Mangiamo ad uno dei pochi posti aperti, esoso e pieno di famiglie che degustano hamburger, bistecche e una terrificante “Italian lasagna”. Poche specialità del luogo spiccano incastonate tra masterpiece da fast food americano e scempi di cucina sud-europea. Rifletto sul fatto che non tocco frutta da tre giorni, le verdure sono una scusa su cui appoggiare etti di grassi animali e carboidrati accompagnati da salse che da sole apparerebbero il fabbisogno di chilocalorie di una settimana. Non ricordo più l’ultima volta che ho bevuto acqua o l’ultima volta che sono rimasta sobria per più di due ore.
Il ritorno è un delirio di reduci dallo shopping di lusso e ubriachi molesti.
Dublino, 11 aprile 2023
Lasciamo l’Irlanda con un’ora di ritardo (Ryanair, low fares…) e il solito bel volo di rimpatrio pieno di italiani urlanti ansiosi di accaparrarsi i primi posti in fila. Noi – che ormai in questi giorni abbiamo assorbito il mood irlandese (oltre che litri di luppolo) – ne approfittiamo per farci l’ultimo boccale ad un pub nell’aeroporto.
C’è un pub nell’aeroporto.
Stamattina abbiamo fatto una prima “vera colazione irlandese”, che equivale ad un pranzo di Ferragosto in Molise. Poi NON abbiamo pagato 9 euro di Christ Church e siamo andati a NON pagare altri 9 euro alla St. Patrick’s Cathedral. Tanto abbiamo capito che le chiese irlandesi sono più belle da fuori. Quindi, NON abbiamo attraversato la città per vedere l’ennesimo cimitero celtico sotto la pioggia. Ci siamo presi solo la pioggia, uno dei prodotti più tipici.
Da quando siamo qui il clima è andato gradualmente peggiorando da un’incerta primavera ad un umile autunno, fino ad un inverno brutale. In quattro giorni in questa città non siamo ancora riusciti a trovarne l’essenza, a stabilire un legame. Mi è sembrata tutte le città e nessuna al tempo stesso, il concetto di Irlanda solo una forzatura pagata a caro prezzo – se proprio ti fa piacere, eccotela qua – uno slogan turistico frutto di una delle più violente ricostruzioni identitarie post boom economico.
L’unico vero impatto lo abbiamo avuto a Kildare tra quel poco di ingenuo folklore che è rimasto. La super cattolica “druida pagana” dell’Heritage Centre si è tolta il suo costume da regina degli elfi in pausa pranzo ma non ha comunque esitato e lasciarci il negozio aperto per venderci simboli pagani svuotati di ogni significato. Ci ha venduto Brigid come una cattolica molto inclusiva e tollerante, Imbolc come un modo “carino” per chiamare la primavera. A Samhain ha girato direttamente la pagina del libro a tema che ci interessava: “Ma vediamo invece questi altri scorci molto belli…”. Noi: “Ci interessavano gli altri, in realtà abbiamo letto che sono illustrazioni dei sabbath basati su manoscritti pagani”. “No, no, sono copiati dal Book of Kell’s, i miniaturisti medievali che…i vangeli…”.
Vabè.
Ma abbiamo visto i Faun, abbiamo visitato Brigid, abbiamo cercato di capire Dublino, non riuscendoci del tutto, e abbiamo vissuto una serata al Temple Bar facendo foto che chiunque fa al Temple Bar ma ognuno con un grado alcolemico diverso che si intuisce dall’angolazione e dalla sfocatura dell’immagine (e noi col nostro). Abbiamo visto Dublino nell’arco di tempo tra la chiusura delle serrande tra stuoli di bottiglie piene e la loro riapertura tra cimiteri di bottiglie vuote, nell’aria fresca e intatta del primo mattino. Abbiamo visto una parte d’Irlanda meno “verde” e meno “fantasy” del dovuto, ci siamo fatti la nostra idea e comunque siamo tornati con una busta piena di paccottiglia per i nostri altari neopagani. Abbiamo brindato in pizzo ad un faro sul mare scuro dell’Irlanda, abbiamo preso nota di un altro angolino di umanità che ci era sfuggita, tra tante. Abbiamo appurato che “c’aregge” di prendere e andare a Dublino, o chissà dove altro ancora, da un giorno all’altro, al prossimo sabbath, al prossimo concerto, al prossimo viaggio.