Una finestra sullo Zijl

Prologo – Olanda Anno Zero

«All this running around, keeping busy
In the city that’s never sleeping
It’s like a movie, like a movie repeating
Feeling dizzy with my eyes under tears
I keep my feet steady on the ground
Inside the wheel, I’m turning upside down
I’m gonna wake up early in the morning
Start packing my most precious belongings
I need to go, I need to go away
On a holiday, somewhere near the ocean».

(Eivør, This City)

Novembre 13, 2021

Art House of Holland, Leidendorp

Mentre scarto una Wilhelmina peppermint – una caramella che vanta le sue origini nel 1896 quando fu offerta per la prima volta alla famiglia reale nederlandese – consapevole che sentirò solo metà del suo sapore per via del coronavirus che scorre nelle mie vene – preparo mentalmente una lista degli argomenti che vorrei raccontare nel mio resoconto di vita in Olanda. Chissà perché proprio la caramella alla menta con l’effige della regina che più ha segnato la storia coloniale dell’Olanda e degli olandesi mi pare un buon punto per iniziare.

Mi accingo a farlo solo ora, dopo poco più di due mesi di permanenza qui, in parte spinta dalla consapevolezza dei giorni di quarantena che mi aspettano. Una buona occasione per fermarsi a riflettere su tutto quello che è successo in questi mesi, una buona maniera di occupare il tempo durante l’ennesima reclusione da Covid-19. Dopo la karantina indonesiana e i lunghi mesi di lockdown italiano sui monti, mi preparo all’ennesima prigionia sanitaria, questa volta in Olanda. Stavolta, se non altro, ne ho buone ragioni.

Alla vigilia delle tre settimane di lockdown parziale istituito dal governo olandese, scopro di essere positiva al Covid-19, per la prima volta in due anni e in tre diversi paesi. Fisicamente sto abbastanza bene, a parte una generale spossatezza, un principio di raffreddore e una perdita quasi totale del gusto e dell’olfatto. Mentalmente potrei stare peggio, ma ne ho passate troppe e in troppi luoghi per buttarmi giù. Dopo l’invasione di cavallette a Yogyakarta penso di non poter comunque cadere più in basso (vedi Karantina).

Da quando sono in Olanda ho cambiato cinque case, ho inviato sei domande di lavoro, ne ho ottenuto uno e mezzo, ho cambiato sette identità e ho acquisito otto anni di esperienza in vari settori di vita. Il che è esattamente quello di cui avevo bisogno dopo un lungo anno di letargo sui monti, un anno che è non è mai uscito dall’inverno perenne, nonostante i mesi di disgelo (vedi L’inesorabile divenire dei climi temperati. Autunno-inverno a Santo Stefano).

Sono venuta in Olanda per ricostruirmi una vita, per trovare lavoro, per ricrearmi una socialità, per dare un’accelerata alla mia carriera accademica, per aggiornare la mia conoscenza delle lingue, dell’umanità globale e delle storie individuali di persone conosciute fortuitamente, per ricominciare da zero, da quello che c’è di più grezzo al centro del mio essere, quindi dal moto perpetuo.

Olanda anno zero, come la Germania ma un po’ più ventosa e con una pronuncia più brutta.

Cominciamo dal principio: quando, come e perché sono venuta in Olanda? La scusa è stata semplice. I primi di settembre avrei partecipato al convegno annuale dell’EuroSEAS (l’associazione europea di studi sul Sudest asiatico). La conferenza avrebbe dovuto svolgersi in Repubblica Ceca ma, a causa della pandemia, il comitato ha optato per un formato ibrido (metà in presenza e metà online, a seconda delle possibilità di visti, permessi e Covid pass). Io avrei tenuto il mio intervento all’interno di un panel tutto al femminile, che includeva altre mie amiche e colleghe: Eva (di nazionalità russa, ma bloccata in Turchia per via delle varie restrizioni mondiali), Elisha (la mia amica cantante e influencer indonesiana) e Sietske, la mia amica e collega olandese.

Non potendo vederci di persona, non tutte almeno, ho pensato di approfittare della mia doppia dose di vaccino e della momentanea riapertura dei confini regionali e nazionali per fare un viaggio all’estero, il primo dopo più di un anno. Sono quindi partita il 6 settembre alla volta di Amsterdam, per passare qualche giorno con Sietske (l’unica delle mie amiche e colleghe che potessi raggiungere) farmi la conferenza con lei (un ibrido del formato ibrido) e magari cominciare a cercare qualche opportunità lavorativa in un paese promettente come l’Olanda. Sarei rimasta un mesetto a casa della mia amica…

Poi le cose sono andate un po’ diversamente. Cercherò di ricostruire le mie varie peripezie facendo affidamento ai post pubblicati sulle mie pagine social a cadenza regolare. Mi improvviserò un po’ etnografa virtuale e un po’ nomade digitale. È un format diaristico diverso dagli altri realizzato finora, decisamente post-pandemico. Più che un diario è un tentativo di ricostruzione delle mie facoltà diaristiche dopo la grande apocalisse del millennio. Un diario zero.

Nederlands jaar nol.