Una finestra sullo Zijl

Capitolo 2 – Landsmeer, rompere le dighe

«Tenevo i piedi sul suolo umido d’Olanda, ma la testa si perdeva in un mondo di fantasmi, nel mondo del mio passato».

(Kader Abdolah, Il viaggio delle bottiglie vuote)

Settembre 8, 2021

Landsmeer, Waterland

Perché dopo la conferenza non te la fai una remata nel canale? Spoiler: ci siamo arrivati fino al lago (non so come sinceramente, arenati tra una frasca e l’altra) e poi ci siamo buttati, tanto ormai eravamo già zuppi. È stato come tuffarsi in un albero di Natale, vista la vegetazione rigogliosa sul fondo e l’acqua era gelida (è pure settembre in Olanda) ma, non so come, è risultato comunque piacevole. C’erano un sacco di teenager a fare i boat party (dice che altro vuoi fa’ a Landsmeer?) e in generale persone tranquille e serene a fare i loro giri in bici sui viali tra una casetta e l’altra (è esattamente come ti immagini l’Olanda dalla Lonely Planet). Ovviamente a casa si cucina solo italiano e – non così ovviamente – cucino io ma è comunque il male minore. Il vicino ascolta Beethoven da stamattina, qualcuno faccia qualcosa.

(da Facebook)

Ho trascorso i primi due giorni qui a Landsmeer. Mi sono svegliata sul silenzio delle campagne olandesi, circondata da campi e canali. Ho fatto colazione con i pancake davanti alla parete a vetri del salone che dà sul giardino anteriore, ben curato dalla mamma di Sietske. È tipico delle case olandesi avere tante finestre molto ampie, che molti non si disturbano di chiudere con le tende. Il risultato è che ti sembra sempre di avere tanti schermi accesi in cui vengono messe in scena vite altrui, un Grande Fratello esteso all’intera nazione. Sarà per non sentirsi soli, sarà per permettere al calore (atmosferico e umano) di entrare nelle proprie case. Mi ricorda un po’ l’hygge che si pratica in paesi come Danimarca e Norvegia.

I pancake li ho fatti io, ma all’americana. Il che significa che se intendevo fare i pannekoeken sono troppo piccoli, se intendevo fare i poffertjes sono troppo grandi. Le misure dei pancake olandesi si dividono in queste due versioni: miniaturisti ottomani o pale d’altare del ‘300. Oltretutto, nella mia mente i pancake sono qualcosa che si mangia a colazione e sono possibilmente dolci. In Olanda i pancake sono dolci anche quando sono salati e si mangiano potenzialmente ad ogni pasto.

Già capisco che non condurrò una dieta sana.

Ho tentato anche di riproporre qualcosa di vagamente italiano. Siamo finite a mangiare lasagne ondulate, una pizza quattro formaggi con cipolla e una mistica “ricotta-spinazie” senza ricotta ma con dei pinoli. Non ci proverò mai più.

Non che abbiamo fatto molto in questi due giorni, a parte fare prime incursioni al mercato locale e continuare a cantare kroncong olandese tra le stradine di Landsmeer. Dal mercato sono riemersa con carichi di formaggio e dolciumi di ogni tipo, oltre che con un po’ più di confusione riguardo la lingua olandese (che sto tentando di imparare). Ho capito che non potrò più fare a meno del pane all’uvetta e che se voglio pronunciare la “g” correttamente devo procurarmi una slogatura al palato molle.

In realtà la nostra occupazione principale è stata preparare il nostro intervento per l’EuroSEAS, assistite dall’enorme gatto grigio dei vicini, taglia paralleli nordici. In realtà il clima è inaspettatamente estivo. Perciò, per festeggiare la riuscita del nostro panel, ci siamo concesse un bagno al lago qua vicino, comprensivo di remata nel canale in gommone.

Non sono neanche arrivata e già mi ritrovo a gestire un’imbarcazione che non so governare in acque paludose in qualche mezzo del nulla.

Nonostante l’aiuto del figlio di Sietske (di soli otto anni), mi sono impantanata più volte tra giunchiglia varia con il gommone che si sgonfiava man mano che continuavo a roteare su me stessa. In qualche modo siamo arrivati al lago. Vorrei dire che ci siamo “buttati in acqua” ma a quel punto eravamo già praticamente affondati.

Il lago era pieno zeppo di alghe e di vita non bene identificata sul fondo, l’acqua era scura e fredda. Ma perlomeno c’era un bel sole e frotte di ragazzini a tuffarsi dal molo. Mi ha ricordato il mio bagno in Lapponia nel 2013 (vedi Voci dal Nord). C’erano anche un sacco di persone con barche migliori della nostra, con musica a tutto volume e feste a bordo. Gli olandesi sanno divertirsi con cose semplici, con quel poco che gli ha offerto Madre Natura. Se penso che un mese fa ero in barca nel mare della Sardegna mi viene da piangere.

Settembre 11, 2021

Landsmeer, Waterland

Un mio amico che lavora all’ambasciata indonesiana di Den Haag stasera mi ha portato un’enorme quantità di cibo indonesiano che non mangiavo da più di un anno… e io sono scoppiata a piangere come un’idiota mentre mangiavo e ridevo, e piangevo, e poi anche l’altra mia amica è scoppiata a piangere perché pure lei in Indonesia non ci torna da più di un anno e chissà quando ci torneremo… e quindi ci siamo messi a ridere e a piangere in 3 a mezzanotte con fame zero ma troppa voglia di risentire il “sapore di casa”, che al di là del cocco e del super piccante e di un sacco di altre spezie è sapore di bellezza e libertà. Grazie per la bellissima sorpresa e per avermi aiutato a sbloccare mesi di lacrime arretrate. Forse così je la famo pure a fini’ sto libro (le parti etnografiche fanno ancora malissimo). Selamat makan!

(da Facebook)

Questa sera Vino, il marito di Sietske, ci ha portato quantità industriali di cibo indonesiano dall’ambasciata, dove ha iniziato da poco il suo nuovo incarico. Non mangio cibo indonesiano da più di un anno. Spacchettare tutti i contenitori di salse e salsette, verdure, riso, sambal e carne speziata è stato come scartare i regali sotto l’albero di natale. È bastata la prima cucchiaiata per sbloccare anni di ricordi che mi hanno investita come uno tsunami. Mi sono sentita come l’Olanda dopo l’inondazione del 1953. Fiumi di lacrime sono sgorgate da ogni angolo del mio viso, incontenibili da qualsiasi argine emotivo.

Se lo facessi più spesso come terapia bioenergetica (Lowen 2014) sbloccherei traumi anche da vite passate. Ho mangiato fino a non poterne più, cercando di riempirmi il più possibile di ciò di cui mi sono sentita privata per un tempo troppo lungo. Negli ultimi mesi in Italia ho quasi cercato di seppellire ogni possibile rimando all’Indonesia ma qui è impossibile. Forse, in fondo, è un altro motivo per il quale ho deciso di venire qui. È ora di rompere le dighe.