Altro Giro, Altra Corsa

Capitolo 15 – ICTM

« ICTM
“Welcome everybody”
La conferenza
Gli stand nel giardino
Il discorso della principessa
Scegli la tua sessione
(Altro giro, altra corsa)
“It’s so interesting”
Tatuato sulla bocca
Scegli il tuo gruppo di ricerca
“I’ve read your papers”
Il tuo metodo, la tua scuola
La tua prospettiva
Scegli un argomento di cui parlare
La tua domanda da fare
Per non passare inosservato
Per essere citato
Scambi di tesserini
Programmi, tabelle
Caffè, taccuini
Ci danno i coupon per il buffet
Prospettive e coupon
Merci di scambio
Bollini sul bedge
Adesivi su adesivi
Il codice a barre al collo
Il kit dello studioso modello
Non ricordo il nome del tipo con cui ho appena parlato».

(Note di campo, in qualsiasi campo di ricerca)

Bangkok, 10 luglio 2019

Più tardi

Vado ufficialmente a prendere posizione nella mia meritatissima camera. Questa giornata dura da quasi tre giornate. La superficie quadrata è poco più di quella di un ripostiglio. Due lettini dalla montatura in vimini con relativi materassi – si direbbe in ghisa – sono strizzati tra quattro buie pareti senza finestre. La porta è in vimini, in pratica un open space con il resto del corridoio. Una camerata, condivisa con la famiglia indonesiana della stanza di fronte, madre padre e due chiassosissimi figli.

Non trovo una porzione di pavimento libera che sia larga quanto la mia valigia quindi devo aprirla su uno dei due letti, adibendolo a guardaroba. Anche perché quello comunque non c’è. C’è solo un appendiabiti in legno e una tendina dalla dubbia funzione.

Usciamo per dirigerci alla volta della Chulalongkorn University per fare la registrazione all’ICTM. Come metto piede alla reception mi ferma una delle signorine: hanno sbagliato camera, devo spostarmi nella 2013. Mi sembra di star vivendo un remake asiatico di un film adattato da un best-seller di Stephen King. Gli dico che ora non ho tempo.

Seguono altre reincarnazioni in vite passate, presenti e future nel traffico. Ogni spostamento per le strade di Bangkok è una falla nel continuum spazio-tempo. Altri svincoli selvaggi, tuk-tuk impazziti, bancarelle lerce, centri commerciali pretenziosi, cartelli pubblicitari leziosi. Cavi volanti, cani vaganti, merci, persone, colori, odori, palazzacci, caldo colloso, smog in endovena.

Bang! Kok.
(kok = intercalare indonesiano spesso usato per esprimere stupore o biasimo, lett. “perché?”)

Ci perdiamo nell’immenso campus universitario tentando di capire dove andare a fare la registrazione. Cartelli confusi indicano “ICTM, 45th World Conference”, ovunque (come i cartelli dell’Auditorium a Roma). Un altro dispersivo paese delle meraviglie, non c’è tregua. Ed è tutto esageratamente, tremendamente, enormemente color ‘rosa Paris Hilton’. Il colore nazionale. Notiamo un nugolo di persone, ci facciamo guidare dall’istinto, siamo arrivate.

Seguono abbracci, ritrovamenti e rimpatriate Italia-Asia, Italia-mondo, mondo-Asia. Una piccola grande famiglia transnazionale. Una serie di pazzi che hanno deciso di intraprendere la carriera accademica in etnomusicologia e come se non bastasse buttarsi sul Sudest Asiatico, uno dei posti più contraddittori al mondo sotto ogni punto di vista, un calderone di storie, culture, religioni, arti, musiche esistenze.

Pazzi che si tengono in contatto più o meno regolarmente, più o meno accademicamente, e si ritrovano una volta ogni due anni in qualche angolo di mondo che il comitato organizzativo ha ritenuto consono per organizzare uno dei più grandi incontri di etnomusicologi a livello globale. L’ultima volta ci eravamo visti a Sabah, nel Borneo Malese, per i prossimi anni si parla di Myanmar, Lisbona, Accra, e chissà dove altro.

Otteniamo un’ennesima fantastica borsa con logo ICTM. Questa è a quadratini colorati con un sacco di toppe pacchiane. Se fai l’ICTM in Thailandia ti metti una mano sulla coscienza e ti becchi tutto quello che ne viene di conseguenza. Inclusi i gadget trash e il pad thai della pausa pranzo. Facciamo due chiacchiere, ancora abbastanza informali, anche se qualcuno comincia a scaldarsi per gli incontri istituzionali. Qualche eco di “it’s so interesting” si rarefà tra la cappa umidiccia e cade a peso morto con le gocce di afa.

“It’s so interesti…”
“It’s so inter…”
“It’s so in…”

Dopo la registrazione – che è più che altro un’iniziazione – accompagno Eva a prendere posto all’alloggio universitario, che è di gran lunga meglio del mio hotel. Ha finestre, un armadio e porte che isolano il rumore. Io per tutto ciò darei “il mio regno”, alla Riccardo III.

Raggiungiamo un gruppetto di amici e colleghi tagliando per il campus. Avremmo percorso un misero chilometro ma con questo clima ne percepiamo almeno cinque. Gli spazi verdi sono disseminati di studenti che si dedicano a varie attività sportive, la maggior parte delle quali indefinibili. È tutta una coreografia semi-marziale condita di urla mortali e coretti alla High School Musical. Un misto tra marines e cheerleaders. Fanno abbastanza paura.

Ma il picco del terrore si raggiunge verso le 18.00, quando ogni attività cessa al richiamo dell’inno nazionale. Tutto si immobilizza, niente più coretti, i pedoni fermano il loro passo, i giocatori nel campo di calcio si paralizzano come fossero stregati. Sembra di essere finite nel Truman Show. Poi tutti si rivolgono verso la stessa direzione, mano sul cuore, qualcuno comincia a muovere il labiale accennando stralci di parole sussurrate. E d’improvviso è tutto finito, il mondo ricomincia a girare, ciak, e di nuovo coretti e arti marziali. Anche l’afa sembra essersi fermata per qualche istante concedendoci qualche boccata d’aria fresca. Pare che sia routine quotidiana.

Il nostro gruppo di giovani studiosi italo-sudest asiatici si avvia verso il Siam Center: sette piani di centro commerciale specializzato in falsi. Una delle attrazioni più ‘tipiche’ di Bangkok. Mentre i miei compagni ne escono con fior, fior di orologi cloni di marche note, io mi accontento di un tè al pandan. Ceniamo al Food Court con zuppe di pesce contorniate di involtini di pesce e torniamo all’hotel in tuk-tuk (quindi per miracolo).

Improvvisiamo un dopo cena al night market di Pratunam con trionfo di smoothie al durian. Alla fine non cambio stanza perché la receptionist di turno non capisce cosa debba fare. Riesco ad avere talmente tanti disguidi che si annullano a vicenda. L’indonesiano della stanza a fianco russa come un troll e non c’è nulla che l’esile porta in vimini possa fare per evitarlo.