«Fire fine hvite fisker på et fint hvitt fiskefat»
(“Quattro bellissimi pesci bianchi su un bellissimo vassoio bianco da pesce”)
(scioglilingua norvegese)
Roma, 29 dicembre 2022
A distanza di dieci anni dall’Orso (vedi Voci dal Nord), dopo circa dieci vite vissute in dieci anni di vita, dopo aver preso dottorati di ricerca, pubblicato libri, messo al mondo figli, aver vissuto anni in Sudest Asiatico e girovagato per mezzo globo terracqueo, ci risiamo. Ci siamo ricascate: Io e Fra, ormai trentenni, in partenza per la Lapponia, stavolta quella norvegese, ed in pieno inverno. La prova che quando avanza l’età non ci guadagni comunque in saggezza.
L’intento è quello di trascorrere qualche giorno a cavallo tra il 2022 e il 2023 a caccia di aurore boreali, balene, megattere, villaggi sami e ghiacci incontaminati tra le selve artiche. Passeremo la notte di Capodanno in un lavvo (freddo ricordo della tenda lappone condivisa con i due pescatori nel parco di Oulanka) con bagno esterno… nella tundra. No, non abbiamo imparato niente dai viaggi passati.
Le modalità del viaggio, in effetti, non si prospettano più di tanto diverse da quelle di dieci anni fa. Tra le frasi chiave delle nostre conversazioni WhatsApp spiccano: “Figurate se ci andiamo a lava’, è già tanto se trovo il modo de fa pipì”; “…contando che ci laveremo i denti al massimo due volte”; “Io è già tanto se mi cambio le mutande”; “Io durante l’Orso non mi sono mai cambiata”. Tra le peggiori iniziative intraprese si annovera il probabile utilizzo dei pannolini della figlia di Fra per evitare di uscire nella tundra artica di notte.
Ma questa è solo una delle meraviglie che si celano nei nostri bagagli, che stavolta sono pratici zaini da 40lt (qualcosa, forse, in anni di tribolazioni in viaggio, l’abbiamo capita). Tra i pezzi forti si annoverano: torcia elettrica, abbigliamento termico nonostante il surriscaldamento globale renda il clima artico praticamente pari a quello abruzzese, portapranzo con posate (irrinunciabile since 2012), thermos, zuppe e shake proteici, scorte di carne essiccata, salsicce, formaggi, mortadelle, noodles istantanei, carte da gioco, buste vuote “che non si sa mai”, jeans da buttare (un altro marchio di garanzia) e costumi da bagno (idealmente per la sauna, realisticamente l’ennesimo fardello inutile).
Mentre io mi convinco a non portare occhiali da sole e crema solare hawaiana, Fra tenta di ficcare scomodi e pretenziosi doposci felpati nello zaino, per evitare di farsi sei ore di volo con scalo in una sauna-pediluvio. Io, dal canto mio, sono come al solito carica di libri, guide, diari e quaderni (tutto rigorosamente cartaceo, in piena epoca digitale). Due fedeli compagni di viaggio saranno Norvegian Blues di Levi Henriksen (Iperborea 2020) e la guida della Norvegia di The Passenger (Iperborea 2018). In queste ore che precedono la partenza comincio ad annotarmi alcune curiosità del tutto irrilevanti:
° I norvegesi hanno inventato l’aerosol
° Le parole “sci” e “slalom” sono norvegesi
° In Norvegia ci sono 5 milioni e mezzo di abitanti su una superficie di 305.000 Km2
° Il piatto nazionale è la pizza surgelata (ma forse questa era ironica)
° Nel 2011 un panetto di burro è arrivato a costare 39 euro
Il resto della serata lo passo sull’allevamento dei salmoni, sul business del petrolio che ha cambiato le sorti del paese dal 1969, sul bunnad (l’abito tradizionale), i diritti delle donne e i matrimoni LGBTQ+, le tradizioni sami e l’heavy metal. Non può mancare ovviamente il mio tentato approccio rudimentale alla lingua locale. Per ora so dire due cose essenziali: “Takk” (“Grazie”) e “Hvor er badet?” (“Dov’è il bagno?”). Quest’ultima, date le premesse, rischia di diventare il titolo del diario.