Luci dal Nord

Capitolo 1 – Il mattino ha il cibo in borsa

«Duty-free: appena declinata l’identità personale (quella del passaporto o della carta d’identità), il passeggero in attesa del prossimo volo si avventa nello spazio “esentasse”, egli stesso liberato dal peso dei bagagli e dagli impegni della quotidianità, forse non tanto per comprare a un prezzo più conveniente quanto per provare la realtà della sua disponibilità del momento, la sua irrecusabile qualità di passeggero in attesa di partenza».

(Marc Augé, Non Luoghi)

Roma, 30 dicembre 2022

Treno per Fiumicino, ore 8.30

“Vabbè, andiamo a letto presto così domani mattina siamo riposate” sono le ultime parole del 29 dicembre. Non chiudo occhio fino a mezzanotte per divorarmi la guida dell’Iperborea. All’una mi viene in mente nono solo di farmi una playlist di metal norvegese, ma anche di ascoltarla. Album dopo album. Mi addormento di prima mattina sugli Ulver. Penso che dopo questa sarò in grado di addormentarmi anche in una fabbrica siderurgica.

Le prime parole del risveglio vengono da Fra all’ingresso, china sullo zaino aperto: “Non ho vestiti, ho solo cibo”. La trovo in preda ad un tripudio di sacchetti di noodles e mortadelle, in cui spiccano doposci e bikini senza una logica apparente. Dopo altri minuti di panico rinunciamo alla logistica, quel che è fatto è fatto. Zaini in spalla, si va, a piedi, verso la stazione Tuscolana.

La temperatura a Roma è di 16 gradi, in pratica è primavera, e noi indossiamo calzamaglie di cachemire sotto ai pantaloni (i miei di velluto), stivali felpati, maglioni di lana e cappotti termici. Le previsioni di Tromsø danno 2° C. Moriremo di caldo, come al solito. Totò e Peppino, l’atteso ritorno sul grande schermo.

Non appena prendiamo posto sul trenino ci leviamo due strati di roba boccheggiando e cominciamo a dar fondo alle provviste accumulate per non spendere soldi agli esosi business locali. Attacchiamo subito le barrette in scadenza oggi (non riusciamo proprio a farne a meno) tanto per levarle d’impaccio e affondare nei dolci ricordi della Carelia Russa al sentore di muffa. Realizziamo presto che tra tutte le cose di cui ci siamo caricate non è pervenuta dell’acqua per mandare giù quegli ordigni.

“Pensa, a mezzanotte già non sono più buone”.

“Dipende dal fuso orario, in Indonesia sono buone fino a dopodomani”.

Aereo, ore 11.00

Ho appena trangugiato un panino con la bresaola alle dieci del mattino presa dall’invidia per i danesi seduti a fianco con pizza al salame e sfilatini con salsiccia. Comunque nulla in confronto alla verza cruda a morsi all’aeroporto di Riga.

Alla fila per l’imbarco notiamo con piacere che siamo tutti nella stessa barca: un girone dantesco di gente che muore di caldo sotto giubbottoni da neve e scarponi imbottiti. Se ne accorge evidentemente anche la hostess durante il controllo passaporti: “Tutti a vedere l’aurora boreale eh?”. Sì, abbiamo fatto una cosa davvero originale. Ci prepariamo al decollo infagottate fino all’ultimo chakra. Il nostro vicino di posto ci chiede quattro volte di fila l’orario previsto per l’atterraggio, insistendo per saperla con precisione militare. Ora seguita a parlare da solo.

Scalo a Copenaghen, ore 13.51

Verso le 12.40 perdo un superfluo orecchino a forma di ghirlanda natalizia sotto il sedile (superfluo soprattutto se contiamo che ho la testa avvolta in fascia di lana, cappello e cappuccio, se non sapessi che ho le orecchie neanche le noterei). Questo dà il via ad una reazione a catena nelle file posteriori, che si scomodano a cercare l’accessorio garantendo alcuni minuti di intrattenimento a buona parte del velivolo. Il nostro vicino si getta a capofitto sotto al sedile tipo esercitazione d’emergenza, poi capisce che non c’è verso di trovarlo e torna a fissarmi e gesticolare vistosamente tra sé e sé.

Alle 13.20 perdo il righello e ci rinuncio prima ancora di dare l’annuncio a quelli dietro. Fra commenta con sollievo: “Una cosa in meno”.

Fuori dal lunotto si intravedono sole e cime innevate: “Guardale bene, sono due cose che non vedremo per i prossimi quattro giorni”. A Copenaghen fanno 6° C. L’unico modo per sentire freddo sarà gettarsi dell’acqua ghiaccia addosso.

Volo per Tromsø, ore 17.18

Stiamo accumulando un ritardo pauroso, in attesa che si imbarchino i passeggeri del volo in arrivo da Amsterdam. Ma questo è l’ultimo dei problemi.

Lo scalo a Copenaghen è stato abbastanza “movimentato”, non si può dire che ci siamo annoiate. Atterriamo su un cielo piuttosto uggioso ma ancora poco minacciosamente nordico. Il primo avvistamento è un bagno unisex. Questo è abbastanza civilmente nordico. Il secondo avvistamento è un chiosco Starbucks completamente automatico. “Guarda, non ci sono esseri umani”. Decisamente nordico.

Utilizziamo la prima mezz’ora per una ricognizione delle attività commerciali per ricongiungerci con vecchie fiamme: i cioccolatini Fazer finlandesi, la Tony’s olandese, i butter cookies danesi. Con mio enorme disappunto scopro che allo stand di cibi locali non vendono più i cioccolatini con farina di grillo, acquistati in un raptus autolesionista durante un mio viaggio nel 2018 e rimasti nel frigo per anni senza mai venire aperti, con grande disgusto di amici e familiari. Il ricongiungimento è più che altro simbolico, dati i prezzi: “Cio ho messo una pietra sopra dal decollo da Roma”; “Io ci avevo già messo una pietra sopra appena entrate a Fiumicino”.

Rinunciamo alle birre di Game of Thrones, allo smørrenbrood e ad altri balocchi, scrocchiamo lo scroccabile al banco dell’assaggio cioccolatini locali, a rischio gastrite, e andiamo ad accomodarci ad un tavolino con vista sulle piste di decollo. Qui tiriamo fuori gli assi nella manica: pane in cassetta, mortadelle e salamelle. Che si dia inizio alle danze!

Riusciamo a farci andare di traverso l’ultimo boccone grazie all’email della compagnia di escursioni norvegese: ci informano che il nostro whale watching delle cinque del mattino con gommoni e tute termiche galleggianti è stato annullato per via di una tempesta. Quindi hanno pensato bene di sostituirlo con una ciaspolata sulla neve. Io ci vengo da Tagliacozzo. L’alternativa è l’annullamento dell’intero pacchetto, inclusa la notte nel lavvo (il che significa Capodanno a spasso). Prendere o lasciare.

Trascorriamo le due ore seguenti protestando accoratamente su tutti i recapiti che troviamo, al fine di trovare una soluzione alternativa che compensi il prezzo del maltolto. Non ci perdiamo solo tempo, ma anche pazienza. Nonostante attaccati su più  fronti (Instagram, Messenger, chat, SMS, chiamate, email) non battono ciglio. alle 8.45 all’appuntamento, pronte a ciaspolare, o non se ne fa niente. A nulla vale proporre alternative plausibili (come la motoslitta). Le risposte oscillano come un pendolo schopenhaueriano tra: “c’è troppa tempesta” e “non c’è abbastanza neve”.

Ci rifacciamo con dei temibili acquisti dettati dalla frustrazione: pepsi cola ai gusti lime e mango. “Sa di… caramella sciolta”. “No aspetta… è sciroppo per la tosse frizzante”. Andiamo ad imbarcarci stanche e demotivate. Riusciamo a cambiare i nostri biglietti con due posti finestrino per illuderci di vedere l’aurora atterrando su Tromsø. Alla fine partiamo con un’ora di ritardo. I nuovi posti non affiancano solo il finestrino ma anche una famiglia con due bimbi a carico urlanti. Siamo arrivate al punto in cui neanche questo mi scalfisce: “C’hanno ragione, me metterei a piange pure io”.