Fuga a Edimburgo Parte II – Folk Music per un sorso di whisky

«The man that hath no music in himself,

Nor is not moved with concord of sweet sounds,

Is fit for treasons, stratagems, and spoils;

The motions of his spirit are dull as night,

And his affections dark as Erebus.

Let no such man be trusted.

Mark the music»

(Shakespeare, The Merchant of Venice)

12 novembre 2015

Secondo giorno a Edimburgo

Inauguro la mia seconda meravigliosa, fredda e crepuscolare giornata scozzese con il colpo di grazia al mio stomaco: l’higgis a colazione. Pasticcio di interiora di pecora con contorno di uova, funghi, bacon, fagioli, pomodori cotti, salsiccia, pane all’aglio, burro e crocchetta di patate, alle otto del mattino.

E via a digerire su erte e scalinate.
Del resto, è un peccato perdersi le specialità culinarie del luogo, in qualsiasi luogo.

Alla luce di ulteriori giri di ricognizione per i saliscendi cittadini, registro altre informazioni da aggiungere alla lista sul mio taccuino:

1. Il National Museum of Scotland. Ci vuole più tempo per visitare questo che l’intera Scozia. Se non si hanno almeno tre giorni a disposizione è meglio lasciar stare e vedere giusto lo shop e la terrazza panoramica.

2. Il Surgeon’s Hall Museum. Bellissimo. Tanto per chi non ne ha avuto abbastanza di storie di morti non-morti, traffici di cadaveri e dissezioni nel 1800 ogni giorno, ad ogni ora, in ogni tipo di tour e museo. Ma qui andiamo oltre, ci sono vere e proprie dimostrazioni ed esposizioni degli strumenti di dissezione. E non mancano storie e leggende tra cui quelle dei famigerati Burke e Hare. Ho comprato anche un libro su di loro (Burke & Hare, Owen Dudley Edwards, 1994), tanto per allietare il mio soggiorno.

3. Penserai di esserti perso e di aver fatto chissà quanta strada, essendoti “avventurato” fino alla parte opposta della città, ma sbucherai comunque al Royal Mile, in qualche modo, che tu lo voglia o no. Tutte le strade portano al Royal Mile (anche da Roma, forse).

4. Il cibo tradizionale nei pub, ma soprattutto… la birra nei pub… il fatto che non mi ricordo cosa volessi dire basta da sé.

5. La folk-music del sabato sera. Pronti a scoprirlo, in qualche postaccio tra la Old Town e Holyrood. Ho già adocchiato qualche possibile opzione. È pieno di lavagnette, poster e cartelli con nomi di folk-band che si esibiscono nei pub locali. La cosa difficile sarà scovare quelli meno turistici, confido nel mio fiuto da segugio etnomusicologico.

6. Il cannone dell’una. Che poi sono tre cannoni, per un totale di ventuno colpi. Sono capitata proprio in tempo per il compleanno del principe Carlo (non mi ricordo quale). Mi sono vista tutto il corteo della banda militare, non male.

7. Lo humor scozzese, che non c’entra proprio niente con quello inglese, e per fortuna. Qua la gente sembra molto più diretta e genuina. Che sollievo.

Concludo in bellezza la visita al castello:

“Excuse me, can you make me a selfie?”

“Sorry???”

“No, ok… I can figure it out by my… self!”

Importunare guardie
I cannoni del castello
Al castello

Una serata al pub

Intenta a trovare una serata di folk music, mi dirigo ad uno dei posti più conosciuti ad Edimburgo in questo senso (su consiglio dell’ex ragazzo della mia coinquilina, tra una sortita e l’altra a sorpresa in casa per prendere il cane, ma questa è un’altra storia).

Mi dirigo tutta contenta al locale, a solo un chilometro da casa, che se conti le salite vale comunque come tre-quattro. Entro e chiedo decisa un whisky, come nei migliori film Western. La barista mi chiede quale. Non lo so, gli chiedo quali offrono, pensando me ne dica due o tre a voce. Mi tira fuori un foglio pieno di nomi di whisky, su due colonne, scritto piccolo. Gli dico che può scegliere lei, tanto il whisky neanche mi piace. È che non bere il whisky in Scozia è come non mangiare la pizza a Napoli. Ci rimane un po’ male, ma fa lei.

E così, con poco più di due sterline di un whisky a caso mi guadagno un posticino nel Sandy Bell’s Pub. Calcolando che venivo dalle due birre a cena, divento abbastanza socievole. Quindi, dopo qualche minuto a rimuginare tra la sediolina di velluto e la stufa (e tentativi di video orribili col cellulare, da radiazione dall’albo degli etnomusicologi), mi butto in mezzo ai musicisti e faccio amicizia col chitarrista: un nonnino con la barba bianca da Babbo Natale, che mi attacca un discorso improbabile sul papa (perché se vieni da Roma non è che puoi pretendere chissà che argomenti di conversazione). Insiste tanto sul fatto che il papa sia suo padre.

Capisco solo questo perché il resto è in scozzese ubriaco. Dopo un po’ lui e il flautista se ne vanno. Pare che abbiano cominciato sin dal pomeriggio a suonare. E a bere, si direbbe. Rimane il violinista solitario, che non si scoraggia per niente e continua indisturbato. Poi anche lui fa la sua pausa e rimango col mio whisky che non va né su né giù. Si mette a fare le parole crociate su un quotidiano, appoggiato sulla tastiera del pianoforte e la serata piomba subito in una sorta di sala comune al centro anziani. Gli chiedo se ci sarà un’altra sessione. Pare di sì, basta attendere mezz’oretta, poi “dipende da chi arriva”.

Sai quel che lasci…

Tanto per finire quel mezzo dito di whisky comunque mi ci vorranno altre due ore come minimo, se continuo a fare una bagnata di labbra ogni dieci minuti. Ma perché l’ho preso? Mi chiede se sono musicista. Gli evito tutta la storia dell’etnomusicologia. Gli dico di sì. Che suono? Eh. Gli butto là un “Asian music” per fargliela semplice. Pare soddisfatto così. Da sobri non ne saremmo usciti.

Passano altri interminabili minuti di vuoto cosmico. Donna con bicchiere al tavolo di un pub, olio su tela. Come il quadro di Degas sull’assenzio, ma con un whisky orribile.

Quando quasi comincio a sentire lo spleen arriva un altro musicista (sempre con quel secolo o due sulle spalle) e si siede vicino a me. Muto. Dopo dieci minuti di silenzio e due birre si rivolge al violinista (che è sempre rimasto seduto sulla stessa panca, con me in mezzo): “Hi Frank!”. L’altro: “How are you?”. “Fine, I guess…”.

È proprio una filosofia di vita. E niente, ripiombano nel nulla. Più che una sessione di folk music è una piece di teatro dell’assurdo.

Finalmente arriva la violinista a svoltare la serata. Avrà una quarantina d’anni, quindi sarà tipo la pronipote. Mi sposto dato che lo spazio scarseggia. Ed è così che mi ritrovo vicino ad una coppia di americani. Diventano subito i migliori amici e compagni di bevute. Vengono dalla Pennsylvania e stanno facendo un tour europeo. Esordiscono con qualcosa del tipo: “Che ne pensi del nostro nuovo Berlusconi?”. Dico che preferisco tacere. Noto che anche lui ha preso il whisky. Mi confessa che non gli piace ma: “You know… Scoltand… you have to”.

Io vorrei parlare con chi ha messo in giro questa credenza.

Qualche drink dopo viene fuori che è stato a Pienza a lavorare, quindi sa dire “olive”, e basta. Lei invece è una cantante country, figlia di cantante country, nipote di cantante country, grande amica di Taylor Swift che le ha insegnato a suonare la chitarra… e via dicendo. Una persona modestissima. Obiettivamente non è che hai tanto altro da fare in Pennsylvania.

I musicisti ricominciano finalmente a suonare. La violinista fa miracoli, il violinista anziano se la cava col contrabbasso e l’altro (quello di poche parole) strimpella il banjo. Cioè, fa più che altro finta. Un uomo entrato nella vita in punta di piedi. Dopo il terzo brano qualcuno grida: “Free bird”. La mia amica della Pennsylvania scoppia a ridere come una matta. Quasi mi aspetto che mi dica che la zia era sull’aereo coi Lynyrd Skynyrd.

Dopo altre piacevoli conversazioni sull’Europa, sui treni e sul cibo thailandese, abbandonano la compagnia al richiamo di: “Next pub!” (forse dallo stesso di “Free bird”). Ma vengono subito rimpiazzati da un nuovo amico, sempre americano. Questo comincia a darmi consigli turistici a caso, raccomandandosi vivamente di visitare il castello e di comprare le sciarpe di lana. Più volte. Niente, quando si fissano non c’è niente da fare.

Dopo un altro brano o due decido di andare. Dovrei dormire, domani mattina alle sette parte il pullman per Loch Ness (la mania di partire all’alba comunque va sradicata). Anche se per vedere “creature rare” non serve andare tanto lontano, a quanto pare.

Prime luci a Edimburgo
L’alba in Scozia
Nebbia sulle Highlands
Pioggia sulle Highlands
Il lago di Loch Ness
Il mostro di Loch Ness
Il freddo di Loch Ness