«Il passeggero conquista dunque il proprio anonimato solo dopo aver fornito la prova della sua identità, solo dopo aver, in qualche modo, controfirmato il contratto. Se paga con un assegno o con una carta di credito, il cliente del supermercato declina anch’egli la sua identità come l’utente dell’autostrada. In un certo senso, l’utente del non-luogo è sempre tenuto a provare la sua innocenza».
(Marc Augé, Non Luoghi)
Chiang Mai, 7 luglio 2019
Stamattina sveglia alle 7.50 (ci risiamo) e alle 9.30. Alle 10.00 sono alla caffetteria. Alle 12.30 siamo al solito bistrot a Nimann ad addentare toast all’avocado e ingurgitare litri di lassie.
Oggi scopro un altro prodigio della vita da expat: le lavanderie automatiche. Per 50 baht metto un chilo di vestiti sporchi dentro una busta di plastica con al suo interno un’altra bustina con soldi, credenziali e recapiti. Lascio il malloppo in una cesta all’interno di un angusto gabbiotto in cui non vi è traccia di presenza umana e attendo che qualcuno mi contatti per venire a ritirare i panni puliti il giorno successivo. Mi forniranno un codice via mail con cui aprire il locker dove trovare il bucato bello e pronto.
A questo punto mi immagino che esca Matt Daemon da qualche auto rubata dai vetri oscurati con passaporti di tre nazionalità diverse e una partita di droga. Ma devo ammettere che tutto sommato è un bel servizio.
Più tardi
Dopo una mattinata di lavoro per il benedetto ICTM dedichiamo il pomeriggio ad un sopralluogo “etnografico” in un centro commerciale della zona. Un labirinto a quattro piani di tristi mattoni beige, male-assortito con negozi di marche asiatiche dai nomi aggressivi (tipo la Rude Dogs) che vendono cose minacciosissime tipo magliette rosa con tigri arcobaleno.
Prima di tuffarci nel nonsense della moda locale, pensiamo bene di tuffarci nel nonsense monetario: la banca. Tanto per innervosirci un po’ dopo una giornata tranquilla. Proviamo di nuovo l’ebrezza di prelevare i soldi dallo sportello senza commissione. Stessa banca, stessi problemi. L’impiegato ci consiglia in modo poco cordiale di andare al Money Exchange. Diciamo che dobbiamo prelevare, non cambiare i soldi. Ci risponde letteralmente: “Up to you, if you want to pay the commission”. Adesso comprerei volentieri uno di quei CD con musiche da meditazione che vendevano al tempio.
Allo sportello del Money Exchange hanno un pos che consente prelievi internazionali. Ma c’è il colpo di scena: Eva riesce a prelevare, io no. Sempre la faccenda del nome sulla carta. Gli dico che all’altra banca ero entrata sul mio conto online dal telefono dimostrandogli che il conto è mio ed era andato tutto (più o meno) bene. No, lui è irremovibile. Gli blatero qualche parola di malcontento e vado a buttare altri 200 baht di commissione alla macchinetta.
Facciamo un pit-stop al Food Court prima di dare inizio alle danze. Otteniamo un sushi fusion, un khao soi (da consumare con bacchette, brodo incluso, tipo Giochi Senza Frontiere) e un mango & sticky rice più costoso e meno saporito di quello del mercato. Nei negozi non c’è nulla di acquistabile ma ci regaliamo qualche attimo di allegria. Trovo solo una cosa davvero utile: una borsa-zaino convertibile da utilizzare nel mio mese da backpacker solitaria dalla Thailandia alla Cambogia dopo la conferenza. Durerà giusto da Bangkok a Phnom Penh ma non credo di trovare di meglio.
L’ultima tappa è il supermercato dove facciamo scorta di birre locali e altre schifezze da food-challenge. Ormai se non ci avveleniamo ogni sera non dormiamo serene. Torniamo sotto la pioggia battente e ci rintaniamo in casa. Rimaniamo fino all’una passata a bere birre Lao Dark e mangiare cose improponibili. La classifica degli snack si presenta così (dal meno edibile al primo posto, a seguire i più edibili):
- Patatine Lays al melon bingsu effetto “cooling”
- Patatine Lays all’uovo salato
- Chips di alghe
- Poppadumus (chips di lenticchie indiane)
Le Poppadumus indiane me le porterei col cargo a Roma all’istante. Le chips di alghe non sono niente di che ma comunque dopo un po’ ci prendi il via. Le Lays all’uovo salato sono un attentato. Quelle al melon bingsu con effetto “cooling” sono da esperimenti al CERN. Il bingsu è un dessert coreano composto di palline di melone e palline di gelato al melone disposte a piramide in una metà di buccia di melone. Di base sono patatine che sanno di melone radioattivo. L’effetto “cooling” è semplicemente un effetto fresco e frizzantino che ricorda le caramelle Frizzy Pazzy al limone e arancia che ingurgitavo da piccola.
Non so se è meglio continuare ad infliggerci insetti e snack chimici o se sono meglio i bistrot vegani per gli hare Krishna. Forse dovremmo semplicemente cominciare ad andare a qualche sana bettola di street food thailandese in piena regola, se non altro per quelle siamo vaccinate.