“Navigavano sulle ali di un sospiro immenso sopra una città già fatta remota dal breve spazio fra loro e la terra, una città che fuggiva a ritroso in una nera fiumana per risalir avanti a loro in una marea di luci e colori, intangibile e già fatta sogno, ormai, già velata ai loro occhi di nostalgia, con una trafittura di ricordi, un panico della memoria, che cominciavano ancor prima che la città stessa fosse morta”
(Ray Bradbury, Cronache Marziane)
1° luglio 2022 – Sassy
L’itinerario di oggi è Roma- Matera con una Panda del 1999. Tempo di percorrenza: 14.30 – 19.30. Come abbiamo deciso di andare a Matera: “Zì, non t’aregge de andà a Dublino”. Non c’ha retto.
Idealmente dovevamo partire alle 13.30 ma poi il benzinaio sulla Prenestina ha deciso che doveva per forza cambiarmi il tergicristallo “che tanto ci metto 5 minuti”, e quindi ho ottenuto quasi un’ora di ritardo sulla tabella di marcia e un tergicristallo difettoso riparato con imbarazzante nastro adesivo blu. Nota bene: non piove da due mesi. Tra le (altre) facilities: no aria condizionata; no servo sterzo; musica offerta da Spotify dallo smartphone alla cassa bluetooth fissata sul cruscotto; groviglio di cavi per navigatore e caricabatterie che abbiamo scoperto che dalla macchina non si caricano ma neanche si scaricano (#equality).
Sull’autostrada tutto bene tranne che a un certo punto sembrava di volare quindi ci siamo fermati a controllare il cofano e abbiamo realizzato che il problema era solamente che siamo in una Panda a 140Km/h (colpa della mia mascolinità tossica). E ovviamente abbiamo perso altro tempo a fare foto come due disperati sull’asfalto cocente.
Appena entrati in Basilicata ci siamo resi conto che: A) non siamo mai stati in Basilicata e B) ma che bella la Basilicata! E ora ci siamo accampati in un B&B dentro i sassi (ma proprio dentro, praticamente speleologi) e abbiamo brindato all’impresa con un liquore che avevo riportato da Genova (#transculturality). “E quindi cin cin” – come direbbe qualche band indie-rock romana – ai viaggi on the road, all’Italia, a quanto ci vogliamo bene ancora dopo 20 anni.
2 luglio 2022 – Classy
Il programma era alzarsi alle 5 del mattino per seguire la processione della Madonna della Bruna. La proprietaria del B&B: “Tanto vi sveglierete alle 6 con i botti”. Noi: sveglia alle 9. “Zì, ma la Madonna?”. “Io non ho sentito né santi né botti”. A posto così. Usciamo nel Sahara (37° C) e faccio quasi sentire male un signore all’esclamazione: “Te credo che il Santo l’hanno parcheggiato alle 10”.
Cominciamo una faticosissima scarpinata per i famosi Sassi di Matera che sembrano un’illusione ottica di un quadro di Escher: è solo salita, da dove la prendi la prendi. Coniamo il motto “più scendi, più te ne penti”, ai danni di qualche altro passante che scoppia a ridere dandoci ragione. Abbiamo capito che a Matera c’è la stessa solidarietà che c’è tra gli alpinisti che si incontrano ad alta quota, è una grande famiglia di poveracci che arrancano fino allo sfinimento e sono più che lieti di incontrare qualcun altro che ha avuto la stessa idea malsana.
Ci dirigiamo verso la cattedrale di Santa Maria della Bruna per vedere ciò che resta della processione. Ci facciamo largo a gomitate in una piazza di gente urlante sotto il sole cocente in procinto di assistere alla parata dei cavalieri. “Comunque geniale farla il due luglio sta cosa”. “Vabè, il Santo quando cade cade” (altri passanti stesi, altri sorrisi e battute di solidarietà). Entriamo in chiesa ma ce ne pentiamo subito. Tempo di estorcere dei santini al prete pedinandolo in sagrestia, usciamo sul grido di un adolescente locale preso dall’estasi religiosa: “Viva Maria!”. Per ora ci basta.
Continuiamo il nostro giro tra chiese rupestri, saliscendi e viste panoramiche su tetti, terrazze, grotte e scorci. Uno spettacolo, nonostante il caldo che proprio ti mortifica e ti umilia. Ci infiliamo in una bottega di un artigiano locale che, tra le altre cose, vende strumenti musicali lucani. Ergo: non ne usciamo per un’ora buona. Glieli faccio suonare tutti, li suono io, ne esco con mezzo taccuino di appunti pieno, un Cupa Cupa e un fischietto ad acqua. Mi risparmio la ciaramella e il tamburello per miracolo. Etnomusicologi pericolosissimi per le regioni di Italia.
Dani nel frattempo si imbarca in una discussione con la bottegaia circa l’origine e le caratteristiche del costume tipico della “pupa pacchiana” (un manufatto tipico) e quasi finisce a rissa. Pranziamo con la cialledda, una pietanza tipica che consiste in pane raffermo e verdure (di base un piatto di recupero) e quindi pensiamo sia leggero invece non lo è affatto, quindi ci dà la mazzata finale. Ci facciamo un ultimo giro panoramico per il Sasso Caveoso con vista sull’altopiano della Murgia facendo qualche scatto tattico (#sassybutclassy) e ci viene l’idea malsana: scalare la Murgia (#sassy&collassy).
Detto fatto, siamo subito a cambiarci d’abito e si parte alle 5 del pomeriggio (che comunque fa caldo come alle 12.00). Io mi rendo conto che stiamo per attraversare un canyon e il meglio che la mia valigia poteva offrire erano sneakers dalla suola liscissima. Scendiamo fino al ponte tibetano, proviamo a guadare il ruscello (sempre con scarpe lisce), attraversiamo il ponte e ci inerpichiamo su per rocce e grotte a filo dirupo con uno zaino pieno di vino, candele e incensi, perché ci siamo messi in testa di goderci il tramonto mistico sulle luci di Matera.
Ci appostiamo in una grotta bifamiliare tra le più alte e ci godiamo la vista pazzesca su Matera all’imbrunire. Roviniamo tutto con la musica dei Faun a palla con cassa bluetooth che produce un indiscutibile inquinamento acustico ai danni degli altri poveri escursionisti sotto di noi.
Quando le luci di Matera si accendono e comincia a calare la notte quasi entriamo in crisi estatica. Poi in crisi ci entriamo davvero quando realizziamo che è notte, siamo in cima ad un altopiano e dobbiamo riattraversare un canyon per tornare in città. Parte una corsa forsennata giù per pietre e crateri, finché ad un certo punto tocchiamo il fondo ritrovandoci in mezzo al ponte tibetano sospesi sul ruscello tra due pareti di roccia, ubriachi marci nel buio pesto. “Guarda dove eravamo”. “Guarda dove siamo”. “Guarda dove dobbiamo arrivare”. “Questa batte tutte quelle dai 14 anni in su, non siamo migliorati per niente”.
Dopo un abbraccio commovente in mezzo al ponte ci facciamo coraggio e ci inerpichiamo su verso le mura di Matera. Arriviamo in tempo record guidati dall’alcol e dall’ansia. “Zì, ci siamo attraversati la Murgia in 20 minuti”. Io mi dedico al numero di punta che è cambiarsi i vestiti in un cespuglio. Risbuco dalla Murgia in abito elegante e tacchi e siamo pronti per la cena con 40 minuti di ritardo sulla prenotazione.
Pensiamo che siano finite le tribolazioni ma poi arriviamo alla piazza principale (non senza un’altra dose di salite immani) e ci ricordiamo della festa. Cordoni di poliziotti a guardia della piazza transennata, è tutto bloccato, non si può passare. Giustamente siamo arrivati sul clue della serata, in cui la folla assalta il carro principale. Inutili i “per favore fateci passare, veniamo a piedi dalla Murgia”. Signora a caso: “Potevate passare per il Sasso Barisano” (vedi: un chilometro in più di salita panoramica). “Signora, abbia pazienza”.
Finisce che rinunciamo al ristorante e riscendiamo fino alla piazza di San Pietro Caveoso per poi imbarcarci nella famosa salita del Barisano come voleva la signora. Non abbiamo altra scelta. Rivedere la Murgia di notte (stavolta dalla parte giusta) fa un certo effetto. “Se stamo a fa due chilometri in più perché stanno a sderenà un carro in piazza?”. “Sì”. “Ma poi alla fine la festa non l’abbiamo vista pe’ niente?”. “No”. “Che ce semo venuti a fa’ a Matera?”. “Per ubriacarci al tramonto in una grotta sulla Murgia”. “Mi basta”.