Jalan Jalan

Capitolo 16 – Akhir Tahun

«Ma Tomás aveva nuotato nelle acque azzurre di fiumane, sulla Terra, con gente straniera che passava sulla strada, e mangiato in strane case insieme con gente strana, e la sua arma era sempre stata il sorriso».

(Ray Bradbury, Cronache Marziane)

31 dicembre 2014
Malang

Ci svegliamo con l’odore di nasi goreng che pervade il nostro bagno grazie al buco delle condutture sul soffitto.

Oggi saremmo perfettamente in tempo per usufruire della colazione completa, tuttavia, ci accontentiamo di un teh panas (‘tè caldo’) accompagnato dalla compilation di una certa Sabrina, che si cimenta in cover di canzoni pop occidentali.

Andiamo alla volta degli uffici turistici sull’altisonante Jalan Majapahit (nominata come l’ex impero indù a Giava), per reperire informazioni su eventuali spettacoli di wayang. Non ce ne sono.

In compenso, c’è un concerto metal al taman rekreasi (letteralmente ‘parco ricreativo’).

Prima di buttarci in qualcosa di cui potremmo pentirci, andiamo all’Art Centre, dove solitamente fanno spettacoli di wayang topeng (il teatro danzato in maschera). Niente, anche qui. Gli organizzatori ci informano, però, che c’è uno spettacolo in una località a due ore a sud di Malang. Al solo pensiero della strada per/da Surabaya ci vengono i sudori freddi.

Prima di andarcene ci facciamo un giro consolatorio nella galleria del centro artistico, tra maschere topeng e quadri di paesaggi balinesi dal sapore coloniale. Proviamo il ristorante Inggil, consigliatoci all’ufficio turistico. Il locale, situato in Jalan Gajah (letteralmente ‘Via Elefante’), è bellissimo. Ospita una collezione di oggetti antichi e manufatti ed è tutto arredato alla giavanese, con marionette, maschere e oggetti tradizionali d’uso quotidiano appese tutto intorno alle pareti. Ci dicono che non sono previsti eventi particolari, solo uno spettacolino di danza abbastanza turistico della durata di quindici minuti, alle 19.00. Decidiamo che non è comunque male come opzione per cena.

Tolouse Lautrec a Giava
Maschere

Dato che proprio a fianco al ristorante sorge il museo Tempo Doeloe (‘Tempi Antichi’), optiamo per una visita. Il percorso del museo si articola secondo le varie tappe dell’evoluzione della civiltà giavanese, dalla preistoria ai giorni nostri, passando per i grandi imperi (Majapahit, Mataram) e l’epoca coloniale. L’esposizione sembra ben curata e alcuni oggetti sono degni di nota, se solo non fosse per i siparietti con i manichini finti che sembrano usciti da uno dei tour dell’orrore londinesi.

Dopo questa visita edificante ci dirigiamo al pasar burung (il mercato degli uccelli) situato su un’ansa del fiume sempre su Jalan Majapahit. Per tornarci ci ritroviamo intrappolati nella solita viabilità labirintica fatta di sensi unici, strade chiuse e rotatorie multiple, il che ci costringe alla solita serie di infrazioni a catena che rende il tutto ancora più caotico. Il mercato è più o meno come tutti i mercati visti finora: vivace, rumoroso, caotico, colorato, affollato. All’ingresso vi è la solita selva di angkringan (‘carretti ambulanti’) affastellati tra fumi di olio fritto e inquietanti cibi di colori innaturali.

Per accedere al mercato passiamo su un ponte che connette le rive di uno sporchissimo fiume, in cui intravediamo dall’alto uomini intenti ad espletare i loro bisogni. Procedendo cominciamo ad addentrarci nel corridoio di venditori che espongono la loro merce in gabbie colorate e dipinte: polli, galli neri, gufi, pappagalli, pipistrelli… ce ne è per tutti i gusti. Ci sono anche vari gatti, cani, conigli enormi e topolini bianchi. Mentre tento di girare a largo dai venditori di mangimi, che espongono vasconi di vermi e grilli ancora pieni di vigore, un uomo sale su un motorino con un fascio di polli vivi starnazzanti in una mano, e si avvia contento guidando con l’unica mano libera.

Pasar burung
Mangimi
Polli freschi
Chiocciole rivisitate
Es puter’ (ghiaccio mobile)
Nuove uscite in edicola

Il mercato dei fiori adiacente è molto più piccolo e non offre granché. Torniamo al parcheggio dei motorini ripercorrendoci tutta la strada a ritroso. All’entrata, un tipo ci urla con decisione: “animal market!”.  Decidiamo che è ora di pranzare. Ci avviamo al ristorante Agung, che pare sia famoso per il martabak (una specie di sformato di frittata super-fritto). È chiuso, ci pare il minimo. I soliti mas di passaggio ci informano che ha cambiato indirizzo, ora è nei presso dell’Alun Alun. Consultandoci brevemente capiamo che la nuova sede del ristorante sorge sul lato opposto di dove siamo, in una strada a senso unico. Faccio scendere Lorenzo sulle strisce pedonali e lo seguo trascinando il motorino.

La strada in cui arriviamo è piena di centri commerciali, ristoranti e fast-food. I parcheggi in doppia e tripla fila sono occupati da macchinoni di lusso, motorini e becak in un unico grande quadro apocalittico. Un tableau vivant di Bosch in versione tropicale. Passiamo sotto una sbarra automatica e ci ritroviamo all’interno del piazzale in cui, tra i vari gironi infernali, spunta il ristorante Agung (letteralmente ‘grande’). Ordiniamo i nostri benedetti martabak.

Se non altro, ne valeva la pena. Facciamo incetta di sformati di frittata pastellati ripieni di carne e cipolle, come se fosse il nostro ultimo pasto. Scorrendo il menu mi rendo conto, tra le altre cose, che cannella si dice kayu manis (letteralmente ‘legno dolce’). C’è un piatto che si chiama sate iga sapi, in pratica spiedini di costolette di manzo. Non abbiamo il tempo di sfoderare mezza risata sarcastica che vediamo una delle cameriere servire un vassoio di spiedini di costolette, niente più niente meno, al tavolo a fianco.

Quando mi giro per recuperare il giacchetto dalla sedia mi prende un colpo: una bambina è in piedi dietro di me e mi fissa insistentemente. Il locale è pieno di famiglie musulmane con bimbi urlanti alle quali le madri non smettono di ripetere uno dei mantra preferiti dagli indonesiani: makan dulu (‘prima mangia’), utilizzato per sottolineare che il pasto va preferibilmente anteposto a qualsiasi altra attività. È così in generale nella vita. Abbiamo notato che a Giava orientale l’Islam è decisamente più diffuso che nei centri di Giava centrale. Inoltre il territorio è prevalentemente montuoso ed è pieno di allevamenti di capre, il che determina anche un’offerta di carne maggiore.

Ad un certo punto comincia a piovere. Visto che siamo in zona Hollywood, decidiamo di tentare la sorte e darci alla caccia di alcol per la notte di capodanno, da bravi occidentali. Al Carrefour ci sbattono senza troppi complimenti al Ramayana poco più in là, dove a loro volta ci sbattono agli Indomaret e Alfamaret, sottolineando che probabilmente troveremo solo birra, e già è tanto.

Al primo Alfamaret che incrociamo sulla strada hanno solo Bintang analcoliche. All’Indomaret abbiamo più fortuna: l’ultimo frigorifero in fondo al locale ha ben celate lattine di Bintang alcolica, Heineken, Carlsberg, San Miguel e addirittura bottigliette di Smirnoff Ice e Black Jack vendute a peso d’oro. Prendiamo il prendibile, prefigurandoci i fasti di domani sera. L’attività preferita degli indonesiani la notte di capodanno è girare come pazzi sui motorini a fare casino aspettando i fuochi di mezzanotte nella piazza principale, in un tripudio di lucine, macchinine dalle facce giganti di Doraemon ed Hello Kitty e giostrine da fiera. Altro che Bosch. Se non altro, possiamo berci su.