Jalan Jalan

Capitolo 14 – Turus

«Contrasto: è alle entrate delle città, nello spazio cupo dei grandi complessi, delle zone industrializzate e dei supermercati, che si trovano installati tabelloni che invitano a visitare i monumenti antichi: è lungo le autostrade che si moltiplicano i riferimenti alle curiosità locali, che dovrebbero trattenerci là dove i limitiamo a passare, come se l’allusione al tempo e ai luoghi antichi oggi fosse solo un modo di dire lo spazio presente».

(Marc Augé, Non Luoghi)

29 dicembre 2014

Ore 00.06
Malang, Hotel Camelia

L’uomo del riso fritto si presenta puntuale alle sei del mattino battendo colpi sulla porta e ripetendo: “Breakfast, breakfast” stile Jack Nicholson in Shining. Come ormai consuetudine, lasciamo il riso nell’armadio e beviamo il tè dando fondo agli ultimi wafer al cappuccino. La prima sosta della giornata è il tambal ban, il meccanico. La ruota posteriore è a terra, tanto per non perdere l’allenamento. Facciamo una sosta da Dunkin Donuts per cercare di mangiare qualcosa di dolce prima dei 125 kilometri che ci separano da Malang, una città di grande interesse culturale a sud di Surabaya. Ci sentiamo male solo al pensiero del dedalo delle strade trafficate e dei sensi unici che ci attendono.

Abbiamo ritirato fuori occhiali da sole, maschera anti-smog e cartina stradale. Sembra che ci stiamo preparando per una missione militare. Al Dunkin Donuts ci sediamo in vetrina su vista motorino a cui è stata prudentemente occultata la targa. Finché non usciamo da Madura non riusciamo a stare tranquilli. Sulla strada verso il ponte Suramadu, uscendo da Bangkanal, troviamo una miriade di negozi di stoffe batik. Ci fermiamo ad un paio di essi per tentare di procurarci un sarung per me e una camicia per Lorenzo con i motivi tradizionali maduresi. Al secondo negozio incappiamo nei soliti curiosi che ci riempiono di domande: credono che io sia thailandese.

La strada per il Suramadu è costellata di cartelli culinari ad intervalli regolari che millantano cibi mai visti: spiedini di anatra al latte di cocco; spiedini di gurame (una specie di pesce); zuppa di gurame. Non abbiamo trovato nulla di tutto ciò in cinque giorni di terrorismo culinario.

Passiamo il ponte sospeso e siamo di nuovo nella giungla di cemento di Surabaya. Cartina alla mano, riusciamo a destreggiarci abbastanza bene filando dritti verso Jalan Ahmad Yani, che porta verso l’uscita sud della città, senza escursioni fantasiose. Una volta lì chiediamo la strada per Malang ad un venditore a bordo strada e otteniamo un: “Turus, turus” (“dritto, dritto”). Sarà un parente di quello di “barat”. Gli fa eco un signore sul motorino sbucato da qualche parte dietro di noi che conferma “turus, turus”, senza manco sapere di cosa stiamo parlando.

Lasciamo la città in un tripudio di centri commerciali disumani, enormi cartelli pubblicitari raffiguranti star del dangdut e gelas cantik (‘begli occhiali’), le solite prelibatezze culinarie mai viste e chioschi di durian. Camion dalle scritte mitologiche tipo Arjuna e spot pubblicitari come “gli uomini saggi bevono Antangin” ci sommergono di smog. La nostra uscita trionfale da Surabaya. Tra l’altro pare che la moda ‘senza casco’ abbia preso particolarmente piede, soprattutto tra ragazze coi capelli lunghi e sciolti al vento.

Dopo qualche chilometro di interminabile strada dritta chiediamo informazioni ai guidatori di becak in ‘siesta’ a bordo carreggiata (ribattezzati i becakkari, pron. ‘beciaccari’). Le indicazioni oscillano da: “Mancano 200 Km a Malang, vi ci vuole almeno mezza giornata” a “in due ore siete arrivati”.

Camion smaltimento rifiuti
L’uomo del servizio rifiuti

Verso le quattro facciamo una pausa ‘pranzo’ e cambio guida ad un Nasi Bebek (catena specializzata in piatti a base di anatra) a fianco di un Pertamina. Il locale è infestato da mosche ed è deserto. La ibu non sembra troppo interessata alla nostra permanenza e l’unica presenza degna di nota è un vecchio ventilatore nell’angolo ricoperto da un copri-ventilatore in merletti rossi e polvere. Ordiniamo anatra visto che non c’è molta scelta. La scelta non c’è neanche sulla parte specifica dell’anatra, è tutto a caso. A Lorenzo capita il collo, pieno di organi e tessuto fibroso, quindi pressoché immangiabile. La ibu spazza il terreno sassoso fuori dalla porta.

Percorriamo gli ultimi cinquanta chilometri verso Malang con relativa facilità, se togliamo i soliti camion assassini. Il tempo è nuvoloso ma non piove. Le strade sono ben fatte, soprattutto calcolando da dove veniamo. Quando giungiamo nei pressi di Malang intravediamo il monte Arjuna che svetta coperto dalle nubi. Il vento soffia sempre più forte man mano che saliamo. Siamo in zona collinare quindi fa più freddo rispetto alla conca di Surabaya. Cominciamo anche ad intravedere cartelli di buone feste, qui è Natale.

Attraversiamo Lawang, la città in cui si produce la salsa piccante sambal più esportata di tutta l’Indonesia, e siamo arrivati. Malang è un’esplosione di vita. Luci, colori, festoni natalizi, hotel, centri commerciali, avvisi di eventi ovunque. È la città delle vacanze che vorremmo. Intravediamo persino alberi di Natale, quasi ci sembra di essere in preda alle allucinazioni. E le moschee qui sono incredibilmente sono brutte. Ci fermiamo ad un Pertamina dotato di Indomaret per rifornimenti vari e chiediamo al commesso informazioni per raggiungere l’Alun Alun Tugu, la piazza principale. Lui per tutta risposta ci disegna una mappa rudimentale su un fogliaccio. Se non altro è efficace, raggiungiamo l’Alun Alun e proseguiamo per l’hotel Elios, adocchiato sulla guida.

L’hotel è al completo per la notte di capodanno quindi possiamo pernottare solo due notti. Ci diciamo che ci saranno pure altri hotel disponibili a Malang. Da qui inizia la nostra ricerca forsennata che ci occuperà due buone ore. È tutto pieno, persino le camere super lussuose da milioni di rupie a notte. Torniamo all’hotel Elios a supplicare di trovarci un qualsiasi sgabuzzino per la notte di capodanno. Finisce che la receptionist si impietosisce e si mette a chiamare altri hotel per evitarci di continuare a girare come trottole. Ad un certo punto mi passa un albergatore che dice di avere camere da 300.000 rupie a notte libere fino al primo gennaio. L’hotel è a quattro chilometri da dove ci troviamo, a quanto dicono. Partiamo subito.

Dopo ben più di quattro chilometri ci ritroviamo su una strada provinciale verso Surabaya. Crediamo di aver sbagliato e invece no, lo troviamo poco dopo: un rudere che cade a pezzi e la cui struttura dipende interamente dal Pertamina al quale è affiancato. Non avevo mai visto un benzinaio portante. Torniamo indietro senza pensarci due volte. Sulla strada verso la città ci sono altri hotel. Ci fermiamo a tutti ma non c’è niente da fare, sono tutti al completo, persino quelli infognati in losche stradine senza finestre. Infine, attratti da un cartellone che riporta Jalan Dr. Cipta (ricordo di Sumenep) lo troviamo: il Camelia Hotel. Prezzo nella media, stile coloniale, acqua calda e lenzuola assicurate. C’è persino aria condizionata e colazione inclusa.

Unica nota negativa: la ferrovia che passa fuori la nostra finestra rende il tutto alquanto fantozziano. Ce ne accorgiamo quando pensiamo che sia arrivata una scossa di terremoto di grado sei in scala Richter. Più che una camera abbiamo un vagone letto. Accendiamo subito la TV mentre sistemiamo le nostre cose e ci riprendiamo dal viaggio. Ormai è divenuto un elemento irrinunciabile. Sul canale Malang TV, una cinquantenne strizzata in un tubino brillantinato con mantellina da babbo natale canta canzoni natalizie in stile bossanova. Poi un vecchino intona la versione indonesiana di Adeste Fideles, sempre in bossanova. Mentre sono totalmente rapita dal concerto natalizio sento Lorenzo urlare dal bagno: “L’acqua non esce più. Perché i nostri alloggi non hanno mai l’acqua?”.

La cosa buona è che, quando esce, esce calda. Per il resto bisogna ricorrere all’affezionato secchio con pentolino in plastica. Togliendo questi inconvenienti la camera è grande e pulita, ha persino poltrone intonate alla testiera del letto e alle tende, e ha dei mobili allocati con criterio. C’è anche il tocco indonesiano: la coperta sotto il lenzuolo (che comunque di solito è totalmente assente).

Usciamo a mangiare qualcosa e ci ritroviamo ad un locale vicino la piazza principale che sembra teletrasportato dal Pigneto. La gioventù di Malang in All Star, chitarre e maglie di gruppi rock bivacca su panche e divanetti sorseggiando dei drink (comunque analcolici). C’è anche un angolo merchandising in cui sono esposti dischi e cassette di gruppi locali. Ne usciamo inevitabilmente con tre CD, uno di rockabilly balinese, uno di indie rock locale e un altro di voce e chitarra. Torniamo in albergo e segreghiamo il motorino nel cancelletto privato. Il receptionist ci consiglia comunque di portare i caschi in camera e ci avvisa che per colazione ci sarà riso fritto. Non vediamo l’ora che bussino alla nostra porta all’alba per riporlo nell’armadio.