Jalan Jalan

Capitolo 13 – Bangkanal

«Un buon viaggiatore non segue la carreggiata».

(Lao Tzu, Lao Te Ching)

28 dicembre 2014

Ore 23.00
Bangkanal, Hotel Ningrat

All’una circa lasciamo la spiaggia di Slopeng e ci dirigiamo verso Bangkanal. Proseguiamo lungo la strada litoranea sfilando lungo spiagge sempre più rocciose e amene, accompagnati da saltuari gruppi di lapidi colorate che sbucano di tanto in tanto tra la vegetazione a bordo strada. Questa faccenda dei cimiteri liberi mi mette abbastanza apprensione. Ogni tanto ci fermiamo a chiedere quanto manca a Pasean (località in cui abbiamo reperito dei contatti), ma la risposta è sempre: “Barat” (“Ovest”). Kerouac, il sequel.

All’ennesimo agglomerato urbano costituito da un mercato del pesce e pochi abitanti sconvolti dalla nostra presenza, riceviamo finalmente risposta alla nostra domanda martellante (“Quanto manca a Pasean?”). Un signore ci comunica senza troppa enfasi: “È questa”. Proviamo a metterci in comunicazione con i nostri contatti, invano, non riceviamo risposta. Senza stare troppo a pensarci su decidiamo all’unanimità: tiriamo dritto, e chi s’è visto s’è visto.

Man mano che andiamo “ad ovest” cominciamo ad incrociare nuovamente tracce di civiltà, tipo strade asfaltate davvero e piccoli casarecci Pertamina. Ci concediamo una sosta rifocillamento in un posto che fa solo soto ayam (zuppa di pollo). Nel dubbio parcheggiamo di fronte l’entrata e copriamo la targa AB con l’incerata da pioggia. Ormai partiamo prevenuti. Le zuppe sono più o meno come quella degustata in spiaggia a Lumbang, cioè misto fritto in brodo. Stavolta ci scampiamo la salsa di noccioline – che la ibu informa essere solo su richiesta – ma in compenso ci ritroviamo montagne di cipolla fritta.

Trascorriamo minuti a navigare in un brodo di interiora di pollo, polpettine di riso, spaghetti di soia e cose croccanti dal contenuto misterioso. Alla luce di diversi assaggi e ad un quarto di giro dalla circumnavigazione completa dell’isola, abbiamo definitivamente appurato che se vai a Madura non devi prendere la zuppa. Siamo intenti a concludere il pasto sorseggiando un caffè annacquato e granuloso, quando Lorenzo esclama: “Io vorrei capì come gli è arrivato il bicchiere di Cartoon Network”.

Il tratto di strada successivo è costituito da un’alternanza di strade lisce e asfaltate e massi e crateri che erompono dal terreno. Inizialmente le due tipologie si alternano circa ogni chilometro, poi ogni 500 metri. Poi ogni 200. Ci fermiamo a chiedere quanto manca a Bangkanal al solito vecchietto buttato su una veranda solitaria di un tambal ban: mancano quaranta chilometri di cui un altro chilometro di crateri. Nel frattempo si avvicinano dei ragazzi in motorino e approcciano con le solite domande di rito. Gli chiediamo se per caso ci sia un Pertamina nei paraggi. No, ma c’è un rivenditore di bottiglie poco più in là, ci accompagnano loro. Ci facciamo due chilometri con la scorta. Sinceratisi che abbiamo riempito il serbatoio, ci chiedono una foto tutti assieme, davanti al loro villaggio.

Capiamo che in realtà volevano la foto solo con me ma gli pareva brutto chiederlo, quindi facciamo foto di coppia in cui Lorenzo viene tagliato. Ci invitano persino a casa loro a mangiare qualcosa ma preferiamo sbrigarci prima che faccia buio ed escano i soliti famigerati ladri e assassini. Quindi ripieghiamo su un chiosco di bakso. A pochi metri dal chiosco un cartello ci avvisa che mancano 25 chilometri a Bangkanal, alla faccia dei quaranta del vecchietto. Quasi preferivo il “barat”. L’ultimo tratto di strada prima dell’ingresso all’agglomerato urbano è costellato di moschee, tutte grandi e riccamente decorate. Ce n’è letteralmente una ogni 400 metri, un po’ come le pagode in Birmania, i templi a Bali e le chiese in Italia.

Bangkanal ci appare più accogliente che mai. Giriamo attorno alla Masjid Agung e torniamo al nostro albergo, che del resto è anche l’unico. Siamo al punto di partenza. Il receptionist ci accoglie sorridente, così come l’uomo della security che scopriamo essere giavanese, di Surakarta. Gli dico che io vengo da Yogyakarta e studio all’ISI. “Sai cantare sindhen?”. Finalmente, non mi pare vero. Gli faccio l’elenco dei brani che ho imparato finora. Inizia a cantare Caping Gunung incitandomi a continuarla. Ora posso andarmene serena da Madura.

Ci danno una camera con aria condizionata funzionante, lenzuola pulite con coperte di Minnie e ben tre prese elettriche (di cui una comunque dietro l’armadio, per non dimenticare). In TV danno la pubblicità di un integratore alimentare chiamato Fatigon che fa da sponsor a una delle tante trasmissioni trash. L’apertura prevede uno stacchetto musicale in cui delle tizie ballano su uno scenario di nuvole, luna e stelle. Una cantante seduta sulla luna ripete qualcosa come “mencari hatiku” (‘cerco il mio cuore’). Ci sono tre giudici che sfoggiano tazze e accessori marcati Fatigon. Pare sia la serata del contest finale. Cambiamo: sitcom su un matrimonio. Cambiamo: notizie su un aereo dell’Air Asia scomparso nella tratta Surabaya-Singapore.

Sul tizio che mangia granchi a mani nude spegniamo e andiamo a mangiare anche noi. Troviamo un posto che si chiama Nusa Indah (letteralmente ‘isola meravigliosa’) che fa piatti di ogni tipo, molti dei quali sconosciuti. Prendiamo l’immancabile pollo fritto, anatra in salsa penyet, melanzane e tempe in salsa penyet, riso con mais e succo di melone. Non è che il penyet mi faccia impazzire in realtà – è una specie di salsa piccante che sa di pesce – ma pare sia la specialità di Madura. Le proprietarie del locale ci fanno foto di soppiatto.

Tornati in hotel riaccendiamo la TV per non perderci le nuove puntate del Mahabaratha. Lo sponsor stavolta è il White Coffee Luwak, un famoso brand di caffè solubile ai vari gusti, ed è girato a Londra. Eravamo rimasti alla sanguinosa lotta tra Bima e Duryudana, a quel chiosco di fortuna nei pressi del monte Lawu, all’inizio del viaggio, che ormai già ci sembra una vita fa.