«You don’t get to new places by following established tracks».
(Carlo Rovelli, Reality is not What it Seems)
28 dicembre 2014
Spiaggia di Slopeng, nord di Madura
Dormiamo qualcosa come dieci ore, interrotte solo dal pianto disperato di uno dei cinque figli di Pak Yoyo in piena notte. Ci svegliamo alle 8.30, la casa sembra deserta. Usciamo fuori in veranda dove Pak Yoyo ci accoglie con due bicchieri di tè al gelsomino esclamando con benevolo rimprovero: “Sudah dingin” (“È già freddo”). Siamo così contenti di aver scampato la colazione a base di pesce che ci dilunghiamo in rassicurazioni di quanto sia comunque ottimo con più del trasporto necessario. Ci chiediamo dove siano tutti. Pare siano già al lavoro, nonostante sia domenica. Andiamo a preparare le nostre cose un po’ a malincuore per togliere il disturbo.
Tornando dal bagno sul retro (che pare sia quello utilizzato di mattina), Lorenzo mi informa: “C’è gente diversa da ieri che entra in casa e prende cibo”. Mi reco anche io verso il retro della casa incuriosita e mi rendo effettivamente conto di quanto sia grande. Dalla nostra camera percorro un corridoio che sembra più un’esposizione di un museo sugli anni ’90: vecchi stereo, pupazzi, cinturoni da poliziotto tipo quelli dei film americani appesi. Sbuco nel salotto senza rendermene conto e mi trovo circondata di belle poltrone imbottite in velluto rosso e fantasie floreali con i braccioli in legno. Anche qui un tripudio di pupazzi, cuscini di ogni forma e colore ed inquietanti Hello Kitty giganti. Tutti i simboli del consumismo asiatico in piena regola.
Dal salotto mi trovo davanti ad un bivio: uscire sulla veranda o accedere alla cucina. Da lì si passa ad un ulteriore salone molto ampio in cui troneggia una TV piatta da una quarantina di pollici e altri elementi disposti senza un apparente criterio: vetrine piene di stoviglie, divani, tappeti, panni ammucchiati, racchette da tennis. Camere private con letti, cuscini, stuoie e tappeti sbucano qua e là nella contorta architettura della casa. Dal salone con TV si può accedere ad un grande ambiente adibito a garage in cui spiccano delle grosse vasche di pesci. Procedendo dal garage-magazzino si arriva finalmente ai famigerati bagni sul retro, dotati di sanitari all’occidentale, compresa un’enorme vasca in maioliche rosa.
Ripassando per il garage-magazzino si esce in cortile, anch’esso molto ampio ma abbastanza spoglio, in cui non vi è granché oltre a panni stesi ed un pendopo rialzato in bambù. Sotto il pendopo troviamo la nonna e la bisnonna a bivaccare e cogliamo l’occasione per ringraziarle di tutto e congedarci. Ci dicono che se vogliamo salutare anche gli altri possiamo trovarli al negozio di loro proprietà, un locale adiacente al giardino. Seguiamo il suggerimento e ci scambiamo gli ultimi abbracci non smettendo di lodare la loro magnifica ospitalità.
Rimettiamo i bagagli in sella e le scarpe infangate appese dietro tipo totem, diretti verso la spiaggia di Slopeng. Lungo il tragitto riflettiamo sul fatto che non abbiano voluto soldi o altro in cambio, il che forse è dovuto alla loro condizione economica e all’attività di tutore dell’ordine di Pak Yoyo. Ci fermiamo ad un chiosco per ricaricare credito telefonico ed internet ma la ibu ci comunica che non è possibile, dobbiamo procedere due chilometri “ad ovest” della spiaggia di Slopeng. Ne approfitto comunque per comprare degli orrendi wafer al gusto cappuccino, ricordo lontano di colazioni italiane.
Uscendo dal negozio, un uomo intento a trainare il suo carretto di beni alimentari ci ferma e ci chiede: “Da dove venite?”. Rispondo: “Dall’Italia, la terra del cappuccino”, ancora emotivamente presa dal problema colazione. Dopo avergli rivelato più o meno tutto circa chi siamo, cosa facciamo, dove siamo diretti, incluse tutte le tappe del nostro viaggio, l’uomo si congratula con Lorenzo: “Mendorong keras!” (“Guidi forte!”), non considerando neanche lontanamente il fatto che possa aver guidato anche io.
Due chilometri dopo siamo ad un altro villaggio in cui sono ancora evidenti gli strascichi di una qualche festa islamica. Ci fermiamo ad un Pertamina ma l’inserviente ci dice che la benzina è finita. Riproviamo col credito telefonico: “Ad ovest”. Sembra un libro di Kerouac. Quando siamo sufficientemente “ad ovest” troviamo il benedetto negozio di ricariche e riusciamo a tornare raggiungibili. Non dopo l’ennesimo teatrino dovuto ad un’inesattezza di codici il che ha costretto gli operatori a chiamare la centrale della compagnia telefonica e farci sudare minuti di ansia.
Riusciamo a raggiungere la spiaggia. È meno bella di quella di Lumbang e anche il tempo non ci assiste, con nuvole e tuoni sparsi. Non c’è molta gente, solo un paio di poliziotti (grazie al cielo) e i soliti uomini che noleggiano cavalli. Cita Citata è sempre presente da ogni altoparlante di ogni chiosco: “Il mio dolore è qui, nel mio cuore”. Mentre i soliti curiosi, mendicanti e venditori ci aggrediscono saltuariamente, cerchiamo di prendere un’ultima boccata d’aria fresca prima del lungo viaggio verso Bangkanal, il punto di partenza, la chiusura del cerchio di fuoco di Madura.