Jalan Jalan

Capitolo 7 – Camplong

«Thought it sounds odd in English, ‘tourism objects’ lie at the core of Indonesian officialdom’s concept of the travel industry. Spectacularly beautiful waterfalls are turned into obyek wisata with the construction of cement tables and stools fashioned to look like cut pine trees. Pristine beaches are walled off behind pink concrete, broken only by a welcoming archway that proclaims ‘Welcome to Sunset Beach Tourism Object’!».

(Elizabeth Pisani, Indonesia etc.)

25 dicembre 2014

Natale
Isola di Madura
Da Bangkanal a Sampang

Alle sei del mattino veniamo svegliati da una serie di bussate compulsive alla nostra porta. Vado ad aprire in dormiveglia e controvoglia. Un uomo mi porge due vassoi con tè caldo e cartoccetti di riso. La colazione è servita. Poggio i vassoi sul primo ripiano utile e mi rimetto a letto senza pensarci troppo su.

Alle nove mi sveglio davvero e mi consulto con Lorenzo sull’accaduto: “Sono abbastanza sicura che qualcuno ci abbia portato dei vassoi di cibo alle sei di mattina. O me lo sono sognato?”. “No, c’è del riso nell’armadio”. Verso le dieci, tiro fuori il bottino e ci gettiamo nelle danze: riso bianco, noodles fritti, uovo sodo e carne al rendang (una sorta di ragù piccantissimo con latte di cocco). La colazione.

Impacchettiamo armi e bagagli e rimontiamo in sella al povero Mio sgangherato, alla volta della prossima tappa. Prima di riprendere la strada, ci fermiamo ad un Alfamaret per procurarci qualcosa che funga da colazione di fortuna nelle prossime soste. La cosa più vicina al dolce che troviamo al reparto biscotti sono dei Ritz ripieni di crema al formaggio, ce li facciamo andar bene. Vorremmo trascorrere il giorno di Natale alla spiaggia di Camplong, nella località di Sampang, che la guida ci dà come pantai wisata (spiaggia turistica). È anche una buona tappa intermedia per poi proseguire verso Sumenep, il capoluogo madurese.

I 60Km di strada che ci separano da Sampang trascorrono in uno scomodo alternarsi di piogge torrenziali e sole torrido. Facciamo soste praticamente ogni quarto d’ora per levare/mettere poncho e felpe. Durante la prima sosta, sul ciglio di una strada boscosa, una vecchina in una consunta tenuta giavanese (sarung e kebaya) ci viene incontro urlandoci delle cose. In quanto ad urla non possiamo lamentarci, in generale. Ogni volta che attraversiamo un centro abitato in prossimità di una moschea ci imbattiamo in uomini esagitati che sventolano bandierine e secchielli al centro della carreggiata per sostenere raccolte fondi di qualche tipo.

Dopo una notevole dose di divertimento, finalmente arriviamo a Camplong e ci rimaniamo un po’ male. Non è esattamente quella che noi definiremmo una ‘spiaggia turistica’. Ma ormai ho capito che quello che per gli indonesiani è ‘turistico’ implica semplicemente la presenza di punti ristoro con parcheggio sorvegliato, attività di qualche tipo per bambini e famiglie e qualche scorcio pseudo-naturalistico scampato dai cumuli di involucri di plastica di noodles istantanei e infradito rotte per fare foto ricordo.

Per noi è proprio tutto il contrario, cerchiamo il deserto e l’incontaminato, con la minore traccia possibile di presenza umana e cose tipo pareti rocciose da cui tuffarsi in acqua cristallina. La maggior parte degli indonesiani non sa o non ama nuotare e al massimo entra in acqua fino alla cintola con tutti i vestiti addosso, soprattutto le donne. Le poche volte che ho provato ad indossare un bikini mi sono sentita come il maniaco con l’impermeabile al parco.

Ci ritroviamo davanti all’Hotel Camplong con sguardi interdetti. Visto che comunque ci siamo fatti un sacco di strada sotto un monsone bipolare decidiamo che possiamo comunque fermarci un po’ in spiaggia al sole. Dopo aver pagato 12.000 rupie per avere accesso alla spiaggia, lasciamo il motorino in un parcheggio rigorosamente custodito, e ci incamminiamo verso il mare. Veniamo letteralmente assaliti da un’orda di venditori ambulanti che brandisce carichi di frutta e bevande fresche. Signore urlano a squarciagola da ogni dove, non c’è tregua. Una ci pedina finché non ci decidiamo a comprare la sua noce di cocco verde ripiena di succo. Superati i vari gironi infernali riusciamo a trovare un angolino dove metterci seduti e ammirare il mare.

Una serie di barche in legno coloratissime è ormeggiata a pochi metri dalla riva, dove persone completamente vestite (jeans, felpe, camice e jilbab) si immergono con cautela in pochi centimetri d’acqua circondate da parenti schiamazzanti. Un barcaiolo ci offre un giro in barca per 20.000 rupie. Accettiamo, anche nel tentativo di scollarci di dosso la ibu delle noci di cocco che ci venderebbe l’intera palma. Il telo di copertura della barca riporta una stampa a figura integrale di Sukarno, primo presidente della Repubblica Indonesiana e sorta di eroe nazionale.

La piccola venditrice di Camplong
Pentol
Barbeque in spiaggia
Sul bagnasciuga
Camplong beach
L’uomo dei gradini
Uomo con ombrello
In acqua
Giochi da spiaggia
In barca con Sukarno
Il bagno vestiti
Col nostromo
Calate l’ancora!
Piattaforme
Piattaforme e Sukarno
More Sukarno
A prua
Altre imbarcazioni colorate
Abbordaggi
Ormeggi

Dopo un bel giro a largo torniamo a riva dalla signora dei cocchi che continua imperterrita la sua missione. Ci segue fino a delle panche in pietra dove ci eravamo illusi di sederci per terminare in pace la nostra sosta. Dopo un po’ mi stufo e comincio a perdere il tatto centro-giavanese, le dico che vorrei riposarmi prima di continuare un lungo tragitto. Lei mi dice che se voglio riposare posso farlo all’hotel, ma se sono in spiaggia devo comprare. Le dico che ciò non ha nessuna logica e sto cominciando ad innervosirmi. Lei mi dice che: “Tidak apa apa” (“non fa niente”), purché io compri. Ci muoviamo da lì e andiamo a metterci nel punto più isolato e lontano della spiaggia, sperando che venga scoraggiata dalla scarsa densità umana. Funziona, riusciamo a passare due ore di semi-incoscienza al sole senza seccature.

Tornando al parcheggio incrociamo lo sguardo torvo e cupo della signora che stavolta non batte ciglio. Decidiamo di comprargli un altro cocco, mossi a compassione, e siamo tutti contenti.