Io sono fuoco che sgorga dalle caldere
Sono thanaka sul viso lungo strade roventi
Sono sandali nel sangue sulla strada dei sapienti
Sono scrosci del monsone i pomeriggi di novembre.
Sono una corsa in motorino coi sudori della dengue
Sono linfa che scorre nella terra dell’incostanza
Sono il delirio della mente, in un letto d’ospedale
Mentre il tempo ti consuma fino a farti bruciare.
Sono due occhi aperti quando è l’alba fuori
Sono un paesaggio da un lunotto su sedili in pelle lisa
Io sono la rivalsa che sgorga dal fango
Dopo una scossa improvvisa dalle viscere del pianto.
Sono la calce che si genera dalle sorgenti spente
E le tempeste di sabbia che fan crollare i templi
Le mie tempie, nel tempo di un lampo
Danno voce al grido sordo di un flagellante stanco.
Sono il tremito violento del potere del canto
Io sono febbre tropicale, uno sciamano in viaggio,
Sono il demone che ti intima di partire per poi ribadire
Che non vuoi più ritornare, per non morire.
Nel luglio 2017, raggiungevo di corsa l’ospedale Bethesda Lempuyangwengi di Yogyakarta (Giava, Indonesia) alla guida di un Mio Yamaha con 39 di febbre, sotto 30 gradi. Una settimana dopo venivo dimessa dal ricovero scampata ai deliri della dengue. Qualche anno dopo scoppiò una pandemia mondiale e io commisi l’errore di andarmene dall’Indonesia.