Altro Giro, Altra Corsa

Capitolo 7 – “Akeh no police”

«Il tuo primo bacherozzo: che sollievo. Si può anche farne a meno, però il punto è che non sempre uno ha voglia d’essere tutto d’un pezzo, e quello che mangi ti aiuta a cambiare il modo di vedere le cose senza tirare in ballo la testa. Addenta una cimice d’acqua, e l’esotismo va a farsi benedire»

(Lawrence Osborne, Bangkok)

Chiang Mai, 4 luglio 2019

Ore 18.02

Oggi è una di quelle giornate in cui tutto comincia male e continua peggio.

Tanto per cominciare mi sveglio alle 7.02.

Reload.

Ore 10.30, e via. I fantasmi dei fusi orari passati, presenti e futuri continuano a perseguitarmi.

Attendo che Eva finisca le sue battaglie burocratiche per ottenere il visto per Singapore. Pare che per via di recenti problemi con il racket di prostitute russe sia divenuto difficilissimo per le donne sovietiche entrare nel paese. Ne approfitto per leggermi qualche pagina del libro sulla ‘Mindfulness’, comprato su Amazon in una botta improvvisa di New Age dopo aver letto qualche blog di viaggio su esperienze nel nord della Thailandia. È uno dei motivi per cui ho aperto questo blog di viaggio: smontare qualche luogo comune sui blog di viaggio. Tanto per cominciare: lasciate stare le scemenze da expat e godetevi la Thailandia con la vostra personale spiritualità. E se non ce l’avete, non cercatela, godetevi il viaggio, fate altro.

Usciamo per colazione a ora di pranzo, quindi in pratica facciamo un brunch. Torniamo al caffè di fronte la banca che ormai è il nostro quartier generale. Dato che è comunque il primo pasto che faccio vorrei comunque qualcosa di dolce ma non c’è verso. Finisco per prendermi un toast con avocado (oggi mi manca solo il pareo con gli elefanti e sono pronta per inserire una mia foto nel manuale dell’influencer di viaggi).  Ordino litri di thai tea per dimenticare e un mango lassi così, per deformazione professionale. Io l’avevo detto che mi sarei cibata solo di questo.

Sulla via del ritorno, lungo il Ringroad, incappiamo in un posto di blocco. La mia prima esperienza traumatica con la polizia thailandese. Mi riviene in mente la conversazione surreale con l’autista del Grab: “Akeh no police”.

Le cose vanno più o meno così. Mostro convinta la mia patente internazionale, tutto regolare, appena rinnovata, e il poliziotto trova subito da ridire. Si mette a blaterare in malo modo sul fatto che ho il timbro solo sulla B e non sulla A1, quella per i motorini. Gli faccio presente che essendo rilasciata in Italia, la B include anche quelle prima (almeno fino al mio anno, come appreso alla Motorizzazione civile) e che ho usato questa patente in ogni parte del mondo dalla Grecia all’Indonesia, senza problemi.

Ma in Thailandia no, evidentemente. Vuole farmi pagare una multa di 500 baht (15 euro).

Continuo a cercare di spiegargli nel mio peggior inglese possibile tutta la faccenda della A e della B, l’Italia, l’Indonesia etc. Non solo non capisce, ma vedendo che non sgancio subito il malloppo si indispettisce e mi dice che essendo un alto ufficiale di polizia può portarmi al commissariato. Gli dico che può pure portarmici, ho tutto in regola, anzi magari trovo qualcuno con cui poter ragionare decentemente senza minacce. Mi dice che posso fare ricorso tramite il mio consolato, ma ora vuole i soldi.

Dopo altri minuti di botte e risposte (sembrava una contrattazione in un suk arabo) arriviamo ad una sorta di accordo: io pago i 500 baht e lui mi fa una sorta di ‘foglio rosa’ che mi abilita a guidare per tre giorni e posso mostrare ad altri posti di blocco. E dopo tre giorni? Gli chiedo. Se mi fermano sono altri 500 baht. In pratica è come se avessi affittato il motorino.

Mi sembra totalmente assurdo e venale, ma poi mi dico che 3 giorni di immunità 15 euro non mi manderanno fallita. Però gli dico che voglio la sua firma sul foglio così in caso mi fermino la responsabilità è sua. Mentre siamo lì a mettere firme noto che altri pagano solo 200 o 300 baht. Gli chiedo come funziona la storia delle tariffe. Loro hanno documenti thailandesi.

Mentre pago il polizotto muta espressione, mi fa un sorriso con occhi luccicanti e mi dice che mi ha fatto anche lo sconto perché chi guida senza patente viene sanzionato di 1000 baht. Mi limito a rispondere con uno sguardo torvo e rimetto in moto.

Decidiamo di andare a farci una nuotata in piscina per dimenticare il brutto inizio di giornata. Stavolta prendiamo vie interne, che più che kampungan è proprio entrare in casa delle persone. Non voglio più vedere un poliziotto fino a quando non cambio paese.

La piscina sorge, ampia e desolata, tra palazzine monotone di appartamenti in affitto tutti uguali e cielo uggioso. Il clima non è caldissimo. Mi lascio galleggiare a corpo morto ascoltando il rumore dell’acqua e assaporando minuti di nulla assoluto, un eterno momento presente ad elettrocardiogramma piatto. La maledetta ‘mindfulness’. Ci sono cascata.

Ce ne andiamo ristorati in cerca di una birra locale in cui finire di affogare gli ultimi pensieri rimasti a galla. Alla seconda curva che taglia il giardino di qualcuno mi viene in mente che ho lasciato la mia borraccia termica nello spogliatoio. Vorrei affogare me stessa.

Entriamo in un 7Eleven e ricomincia il trip tra dolcetti cancerogeni dai colori pastello, alghe gusto uovo sodo, pesce essiccato gusto alga, alghe gusto pesce, prodotti di bellezza con faccine antropomorfe etc. Dopo dieci minuti di rimbambimento ci ricordiamo quello per cui eravamo venute. Preleviamo dal frigo bottiglie di Chang e ci avviamo alla cassa. Mentre imbusta gli articoli (le alghe all’uovo, il pesce all’uovo, l’uovo all’uovo…) la commessa afferra una bottiglia di birra e ci guarda con faccine desolate. Gli chiedo cosa c’è che non va. Ci indica lo schermo del telefono. Spero non voglia che gli dimostri di essere maggiorenne. Dopo aver combattuto per la validità della mia carta di credito e per quella della mia patente, discutere anche su quella del mio passaporto sarebbe troppo persino per oggi.

Patatine al gusto uovo sodo salato
Patatine al gusto limone effetto ghiacciato
Patatine al gusto Bingsu (dessert coreano) al melone

Continuiamo a guardarla inebetite. A quel punto sblocca lo schermo e ci indica chiaramente l’orario: 16.20. Niente. Non capiamo. Alla fine s’illumina e ci mostra il cartello alle sue spalle che recita, in inglese: vendita di alcolici proibita dalle 14.00 alle 17.00. Continuiamo a collezionare regolamenti assurdi a caso.

Rincasiamo a mani vuote, con una borraccia e 500 baht in meno.

Decidiamo che giornate del genere non possono che non culminare in serate ‘speciali’. La nostra destinazione di stasera sarà il Marlboro, un losco club dove si beve e si fuma con il peggio della feccia expat e della piccola-media criminalità thailandese. L’altra faccia della ‘tipicità’, sul retro dei templi dorati.

Prima di uscire ingurgito quel che posso in previsione di futuri stati alterati di coscienza. Addento la mooncake cinese e quasi ci rimango secca. Sa di verdure stantie intrise in litri di mostarda. Sono disgustata. Oggi non ce n’è una che vada per il verso giusto. Sto per fiondarla nella pattumiera con un lancio da cestista quando Eva mi blocca. Mi considera di salvarla per le ‘emergenze’.

Preferirei mangiare vetri come nei rituali di possessione giavanesi ma la schiaffo nel frigo comunque e mi richiudo tutto alle spalle. Nel senso, proprio tutta la giornata.

Più tardi

Per fortuna, prima di addentrarci nei meandri della perdizione, Io, Yuri e Eva decidiamo di fare una sosta al Cat House Restaurant. È un bistrot-ristorante all’aperto, dagli arredi variopinti, schiaffato in una stradina in cui è difficile passare in fila indiana anche con i motorini. Tra le pietanze a maggioranza vegana provenienti da ogni angolo di mondo (burritos, hummus e falafel, curry indiani, cucina italiana e francese, specialità thai) spunta un gado-gado (l’insalata mista indonesiana in salsa di noccioline). Non ci penso due volte. Col gado-gado originale non ha nulla a che vedere, e per questo mi piace da morire. Non mi è mai piaciuto il gado-gado, l’ho ordinato solo per patriottismo, quasi ci speravo che non ci azzeccasse nulla.

La salsa non sa di arachidi, ma di lime e coriandolo. Annoto per quando tornerò a Giava e comincio a spalmarla su tutto, anche sul curry. Invece del mango lassi (che credo sia ormai parte del mio DNA) esagero: lassi ananas e basilico. Boh.

Siamo pronti per il Marlboro.