Altro Giro, Altra Corsa

Capitolo 5 – Jazz club

«Venditori di manghi e carretti

Ambulanti, Templi induisti, hindu, cinesi

Ganesha e Bodhisattva

Mango e durian, ad ogni pasto

I jazz club di Chiang Mai.

La polizia, di Chiang Mai

Guidare il motorino, mai

Perdere la stoffa, inversioni, sorpassi

Dove vuoi, come vuoi, qui puoi

Le meraviglie dei mercati

Come navi da cargo delle Indie

Orientali, gli inchini di troppo

Le gocce timide, ricordo

Dei monsoni, qualche epoca fa, o forse altrove

Sono qui da poche ore, eppure, mi sembra

Di non aver mai vissuto altrove»

Chiang Mai, 2 luglio 2019

Ore 23.00

Verso le undici di sera ci rechiamo – io, Eva e Yuri (il marito) – di nuovo alla volta della città e delle sue meraviglie. Stasera vado alla scoperta dei jazz club, che pare siano una delle attività più quotate qui, un luogo di ritrovo e scambio culturale per thailandesi, expat e turisti occasionali. Il jazz non è uno dei generi che prediligo (confessioni pericolose di un’etnomusicologa) ma credo che in questi luoghi vi sia il genere di atmosfera che ricerco durante i miei viaggi. Yuri, inoltre, è un musicista jazz esperto e talentuoso, conosce molti musicisti e frequenta i locali più pregni di attività artistica. È decisamente la chiave per un rapido accesso all’anima di Chiang Mai.

Il primo locale che visitiamo sorge in un cortiletto interno accroccato tra cementosi condomini semi-abbandonati. Si presenta con tavolini sgangherati sulla ghiaia, luci soffuse appese alla bene e meglio ed esperti intenditori isolati nei loro mondi interiori con mani sulle tempie e capo chino. Sarebbe quasi uguale a Necci al Pigneto, dietro casa mia, se non fosse per i veri intenditori. Tutti i (pochi) presenti sono assorti nel groove che proviene dalla saletta interna, dove sta suonando un gruppo di ragazzi thailandesi, che per ora sembrano l’unica cosa thailandese.

Quando quasi ero anche io lì, lì per mettermi le mani alle tempie e darmi all’esplorazione del mio inconscio, Yuri afferma che c’è un cambio di programma. Rimontiamo in sella alla volta del secondo club.

Il North Gate è il jazz club più frequentato di Chiang Mai. Qui si esegue di tutto, dagli standard del jazz ‘classico’ a brani a scelta di chiunque capiti, da qualunque latitudine del mondo. Le serate ‘open mic’ sono le migliori. Durante queste occasioni la piccola fumosa saletta che si affaccia sulla strada trafficata è totalmente in balìa di chiunque sfili sul marciapiede. Thailandesi cosmopoliti, americani ubriachi, qualche vecchio nomade viaggiatore in vena di concedersi un momento di gloria prima di ripiombare in solitari eremitaggi.

E poi ci siamo noi. Eva, che non ama in particolar modo né la gente né la musica. Yuri, introverso e silenzioso, in cerca di musica di qualità e qualche ingaggio, e me. Io sono forse quella che si sente più a suo agio in questo marasma umano.

Una folla di stranieri muniti di birre thailandesi affolla il marciapiede mentre un gruppo di musicisti si accanisce su chitarre, tastiere, batterie e sassofoni. Un tipo ubriachissimo dall’accento anglofono si cimenta in un rap ultra-performativo sulla base di un brano rock. Dentro non si respira, la gente è ovunque, anche sopra i musicisti. Il bar elargisce generose e ben pagate quantità di alcol dai nomi in piena linea con l’espressione identitaria della Thailandia per stranieri: ‘screaming orgasm’; ‘multiple orgasm’ e una serie di altri orgasmi, più che altro del batti-cassa.

Vorrei prendere un’asessuata, ‘autentica’ birra scura ma devo guidare il motorino per mezza città di notte, è il mio primo giorno qui e sono ancora ancora in pieno jet lag. Cioè in realtà ho dormito cinque ore, che non compensano le 48 di viaggio intercontinentale più traversata della Thailandia in pullman. Non dovrei neanche essere qui. E poi è pieno di polizia in giro, non siamo in Indonesia.

Alla fine opto per il cibo. Mi dirigo con Eva ad una tavernetta poco lontana, che è comunque turistica ma è il meglio che si trova nelle vicinanze. Devo ancora capire, in effetti, cosa non è turistico qui. I camerieri ci accolgono con eccessive e caricaturali moine. È tutto un inchino, un sorriso, frasette dette con voce squillante. Noi continuiamo a scambiarci sguardi atterriti. Ordino un pollo al curry e un mango lassi. Inaspettatamente, il pollo è squisito, uno dei più buoni mai assaggiati. Questo si che era da orgasmo.

Ci leviamo di torno prima che si mettano a fare salti mortali, abbiamo già ricevuto più moine di quante se ne possano sopportare in una serata. Tempo di un altro brano o due al North Gate e torniamo al Kanith, facendo sosta ad un mercato notturno. Faccio scorta di mango & sticky rice da una graziosa venditrice ambulante. In realtà me lo salvo per colazione, che è il mio tallone d’Achille ovunque nel mondo (grazie Italia). Uno non si immagina la difficoltà del reperire cose non salate di prima mattina al di fuori del triangolo d’oro Francia-Italia-Spagna.

La venditrice di manghi
Mango & Sticky Rice
Il carretto passava…

Entriamo anche in un 7Eleven per alcuni beni primari e mi si apre un mondo. Non so perché i supermercati mi facciano l’effetto Alice nel paese delle Meraviglie (vedi Voci dal Nord). Ci sono così tante scemenze e cibi impensabili che servirebbe una giornata per esplorarlo tutto. È un vero e proprio museo. Il 70% degli articoli è fuxia, con pupazzetti inquietanti e scritte incomprensibili.

Concludo la serata scrivendo il mio resoconto mentre mastico fettine di mango disidratato. Ho già capito che il mango sarà il pilastro della mia alimentazione per il mese a venire.