Voci dal nord

Capitolo 26 – Tervetuloa Suomeen! Spacci sul Baltico e ostelli da incubo

«Ed ecco si va in un cielo grigio, già protestante, berlinese, anseatico, verso le lingue dure del mondo ugro-finnico e le dieresi vocaliche del Centro Europa, lunghi spazi piallati dal vento e dalle Blitzkrieg».

(Paolo Rumiz, Trans Europa Express)

23 luglio 2013
Ore 7.30 circa
Nave per Tallinn

Cominciamo subito la giornata con una sveglia ad orari immondi. Continuiamo con pesi immani da trascinare fino al porto (zainoni, borse, spesa, tenda, membra esangui qua e là che non rispondono agli impulsi del cervello).

Sembriamo appena uscite da Thriller di Michael Jackson, ma con più bagagli.

Seduta su uno dei divanetti di uno dei bar della nave, con vista sul porto, contemplo il viavai di gente con valigie vuote. Come mi spiega Fra, sono finlandesi che si recano a fare la spesa a Tallinn, visto che i prezzi sono notevolmente più bassi e ci rientrano del costo del traghetto. Io, tanto per non smentirmi, sto facendo esattamente l’opposto.

Fra: “Sei l’unica persona sulla nave che da Helsinki si porta la spesa a Tallinn”.

A parte questo, e il fatto che vedo gente trangugiare cheeseburger e patatine fritte alle sette e mezza di mattina, sembra andare tutto liscio. Al Duty free c’è una fila spaventosa. Pare che vendano alcolici e sigarette a prezzi ridotti e senza tasse. Più che un battello è un mercato.Tra poco, appena avrò finito la mia colazione a base di caffè e ciambelle insipide, credo che andrò a fare un giro panoramico della nave.

Aggiornamento, un’ora dopo

Appena reduce dal tour. Primo giro: vasca da poppa a prua, con vari pit stop per farmi fare delle foto da gente fermata a caso, unita a romantica contemplazione dell’orizzonte: acqua, acqua, acqua… (dal color grigio carta da zucchero abbastanza inquietante, tra l’altro). Secondo giro: secondo piano della nave. Gente buttata sulla moquette a morire tra bagagli sparsi e vasto assortimento di alcolici. Terzo giro: piano inferiore, a passo di Lambada (le ciambelle nel mio stomaco ringraziano per il giro di ottovolante), con toccata e fuga al Duty free, per sincerarmi delle effettive cause del disagio del piano superiore. Confermo tutto, questa nave è la mecca di ogni ubriacone, meglio di una festa di diciott’anni con open bar. Quarto giro: fila al bagno, che ha occupato un buon quarto d’ora, però era pulito. Quinto giro: ispezione al bar, con trafugamento strategica di cartoncini di latte (anche io faccio la mia spesa estone, Fra sarà fiera di me). Sesto giro: toto-foto. Pezzi di nave immortalati per noia.

Siamo quasi arrivate, si avvista la costa.

Tervetuloa Suomeen, Kiitos Avusta!

A bordo
Un ponte sul ridente Baltico
Bagagli e spesa in cabina

Ore 19.15
Estonia, Tallinn
Ostello Fat Margaret, di fronte all’omonima torre
Camera per due

Finalmente un po’ di riposo. Cioè, relax, riposo mai.

Ci siamo appena appropriate della stanza, in tutti i sensi. C’è una mole immane di provviste stipata nel guardaroba. Sembra la dispensa di emergenza di un bunker. C’è da dire, inoltre, che le provviste hanno subìto un drastico aumento rispetto a ieri, causa sopralluogo al Rimi, il supermarket estone delle meraviglie, a prezzi stracciati (persino rispetto all’Italia, non dico in confronto a quelle sanguisughe finlandesi).

Comunque, siamo arrivate a Tallinn con un tempo tutt’altro che propizio: cielo coperto tendente al nubifragio. A poco a poco, però, è migliorato, raggiungendo livelli insperati di sole e caldo. Faranno addirittura venti gradi, quasi quasi ritiro fuori il costume. Finalmente possiamo dirlo, senza ironia:

La ridente, soleggiata, popolata Tallinn.

In effetti, anche di vita qua ce n’è parecchia, contrariamente alle aspettative (che ormai sono nulle). Sfacchiniamo come forzati di un galeone fino all’ostello, cariche di pesi, con le articolazioni torte e i muscoli ad un passo dallo stiramento finché, finalmente, non approdiamo al Fat Margaret. Ecco. Lo stile non è proprio un granché… diciamo che la cura dei dettagli non è il loro forte. Il mattone a vista è l’elemento ricorrente, talvolta anche la trave o il tubo, e il mobilio è basato un po’ tutto su un gusto vintage omaggio alla vecchia cara Madre Russia. Se non altro è economico, funzionale e a due passi da centro. Lasciamo le palle al piede nella stanza bagagli (cioè tipo uno sgabuzzino che fa da cantina e da deposito mobili rotti e materassi logori) e ci sguinzagliamo per le vie della cittadina medievale.

È un vero sollievo, dopo quella sfilza di città fantasma finlandesi e stazioni di servizio nel nulla. Piccola e caratteristica, con le sue guglie, i tetti spioventi in mattoni rossi, i vialetti lastricati costellati di casette dai colori pastello e le insegne medievali, Tallinn è una delizia per gli occhi. È la classica città medievale a forma di città medievale, senza finti castelli in lamiera e chiese-falegnamerie. Dopo innumerevoli foto ad ogni dettaglio architettonico e svariati assaggi di mandorle caramellate al miele e cannella, offerti da signore in abiti medievali davanti ai carretti disseminati lungo le strade, ci mettiamo a dare un’occhiata ai pub e ristoranti a tema medievale. E tra una cosa e l’altra, finiamo alle cioccolaterie Kalev, che ci manderanno in rovina (tanto perché avevamo sbolognato la Fazer). Prendiamo un caffè in un posto bellissimo allestito come una taverna medievale, con il soffitto basso simile ad una cripta e tappezzerie in velluto dai colori scuri. Ovviamente, io prendo un caffè al gusto miele e cannella (so già che farò la fine della menta in Finlandia).

La Fat Margaret
Hello Tallinn!
Scorci cittadini
Cieli baltici
Passeggiate in centro
In primo piano
Vicoli e derivati
Etnomusicologhe si nasce
Un tuffo nel medioevo
Cantastorie e saltimbanchi
Venghino!
Marketplace
Passaggi
Esistenze affastellate
Incontri

Dunque, finiamo dov’era inevitabile che finissimo, al supermercato. Come già accennato, il Rimi è pieno zeppo di delizie a costi bassissimi. Quindi, presa dalla foga e dalla curiosità di provare tutte quelle meraviglie ‘regalate’, mi riempio il cestino un’altra volta. E siamo da capo a dodici. Faccio scorta, in particolare, di tortine di pollo condite con una spezia simile all’aneto a cui fra mi inizia (il meraviglioso tilli), dolcetti ai frutti rossi (che qua non costano quanto un collier da Tiffany), una roba russa che è tipo una pizza di patate e biscotti allo sciroppo d’acero.

Il Rimi
La nostra passione since 2013

Andiamo poi al Mc Donald’s per non deludere le aspettative, ad usufruire di caffè, bagno e tovaglioli. Notiamo con piacere che il prezzo di una Coca-cola media equivale al prezzo di una piccola in Finlandia. I prezzi ci stanno facendo commuovere. Dunque, per riprenderci dalle fatiche di una giornata intera in giro senza sosta, nave compresa (il tutto con due ore di sonno a carico), ci concediamo un po’ di sano bivacco, buttate su una panchina della collina panoramica, con il sole che spacca le pietre, nella calma più beata (eccetto il momento in cui mi metto a rincorrere un gabbiano per fargli il servizio fotografico).

Sui tetti di Tallinn
I tetti di Tallinn (reprise) con pennuto inquietante
Tentati scatti fantasmatici ai volatili
Dettagli architettonici
Non vo’ che al parco (come la Clara di Perth)
John

Rifiatate il minimo sindacale, ci buttiamo in un altro giro turistico, alla volta della chiesa russa ortodossa e della città vecchia. C’è una luce fantastica e le strade sono sgombre dalle frotte di turisti. È l’orario perfetto. Prima di tornare in ostello, ci concediamo anche una sosta in un negozietto di liquori, per acquistare due bottigliette del famoso liquore Vana Tallinn.

Ora, rimesse in forze e finito di sistemare i bagagli, decidiamo che è tempo della doccia. Stasera abbiamo in mente una cena al pub (tanto perché abbiamo un supermercato stipato in camera). Oggi niente pazzi, niente freddo, niente salassi, nessuno smarrimento nel nulla. Se non avessi timore che l’ostello prenda fuoco (senza l’ausilio di pazzi) e venga giù con una folata di vento, accenderei un cero a qualche santo locale.

Chiese ortodosse e dove trovarle
Altri scorci
Altri dettagli
E altre idee geniali

Ore (“Ora che ce ne andiamo”), 24:00 circa
Hostel(ma proprio quello del film)

Come non detto, smentisco tutto, questo ostello è la casa degli orrori. Manca solo Norma Bates.

A parte l’aspetto tetro e decadente già notato all’inizio (ma che durante il giorno è niente se comparato alla sera), qui ci sono presenze inquietanti. Rimpiango i simpatici matti di Helsinki e le baldorie notturne. Almeno lì era tutto sesso, droga e rock&roll’, il ‘rock’ proprio letteralmente (cfr. il pazzo che sbatteva parti d’arredamento). La situazione è questa: percorriamo scalcinati corridoi lunghi e silenziosi con luci al neon intermittenti di cui rimbomba il ronzio, roba che sembra di essere in una di quelle fabbriche dismesse dei film dell’orrore. Ma fosse solo questo. A tratti si odono presenze di una certa rilevanza: urla disumane dal fondo del corridoio (che speriamo appartenere ad incontrollabili sessuomani), porte che scricchiolano in modo sinistro, una canzone di Vasco Rossi che parte all’improvviso non si sa da dove a tutto volume facendoci prendere un colpo (non so se è più horror la canzone  il sé o il fatto che sia partita in un ostello estone deserto di notte). In tutto ciò, i nostri vicini di pianerottolo usano tenere la porta perennemente socchiusa, che lascia intravedere uno spicchio di stanza in penombra, con televisore (muto) perennemente acceso. Il che fa scattare subito una serie di domande: ci sarà qualcuno? Chi sarà? Ma, soprattutto, cos’ha contro la privacy?

Cerchiamo di passarci su, dicendoci che, in fin dei conti, l’atmosfera non è poi così rilevante, se c’è una buona compagnia. Non facciamo in tempo a pensarlo che veniamo smentite subito.

Compiaciuta di potermi finalmente cambiare con abiti nuovi e puliti dopo la doccia, come nelle migliori tradizioni, mi affretto a scendere giù per raggiungere la mia socia. Non faccio in tempo a svoltare la curva degli scalini, che mi vedo Fra intenta a scacciare un tizio che continua a seguirla come un’ombra, biascicando cose incomprensibili con tono un po’ alticcio. Ci risiamo.

Ad ogni modo, dovremmo soffermarci qualche riga sul concetto di ‘doccia’.

La doccia…

Uno spazietto di pochi centimetri ricavato tra due intercapedini di brulle pareti, foderato di immancabili mattoni rossi a vista tanto per dare un tocco chic, con angolino munito di apposito gancio per posare l’asciugamano (in piedi e senza dimenarsi troppo). Ma il tocco di classe è dato dal gancio in ferro arrugginito che chiude la porta in legno color verde nausea più scrostato che altro. Più che una doccia è un museo del dopoguerra. Almeno l’acqua c’è, è persino calda e assolve ampiamente il suo compito. Nel dubbio, io mi lavo col Lisoform, effetto due in uno: me e il pavimento che non lo vede da mesi. Era dai tempi dell’Orso che non lo ritiravo fuori.

La cena al pub è stata magnifica. Era pieno di gente e di buon cibo. Ci siamo abbuffate di piatti deliziosi come la zuppa al salmone (per soli tre euro, alla faccia dei finlandesi) e litri di birra rossa estone. Dopo cena è finalmente il momento dello spettacolo (credevamo di essere scampate, e invece…). Si dà infatti il caso che al tavolo accanto al nostro ci fossero un norvegese, un inglese e un estone (che detta così sembra una barzelletta, ma forse lo è) ubriachi marci. Abbiamo cercato di evitare di incrociare sguardi per tutta la durata della cena, nonostante le risatine che l’inglese continuava a mandarmi di sbieco. Prima di andarcene, però, io sento il bisogno impellente di una foto e chiedo gentilmente di scattarla alla ragazza vicino a loro. Non l’avessi mai fatto. Parte subito l’accollo molesto dell’inglese che, dopo essersi sincerato delle nostre origini italiane, comincia ad elencare tutti i bei posti d’Italia… ininterrottamente, finché non s’inceppa sulla parola ‘colosseo’ (e nelle nostre menti… ‘cottero, cottero, cottero’). Poi forse un po’ li abbiamo scoraggiati con la nostra brillante conversazione.

Tizio: “When did you arrive in Helsinki?”

Fra: “Tomorrow”

Tizio (faccia impagabile): “…sorry?”

Fra (ribadendo convintissima e anche un po’ stizzita): “Tomorrow!”

Altra faccia magnifica del tizio.

Me: “Fra… non possiamo essere arrivate domani…”

Tizio: “Maybe a space-travel?”

Scoppiamo in grasse risate e finisce, come al solito, a pacche sulle spalle.

Finita la bella conversazione, pensiamo di andare a digerire passeggiando per la città… dimenticandoci che qui fa buio. Decidiamo di prendere un dolce da qualche parte ma, dopo aver constatato che le pasticcerie di punta sono state razzolate come se domani arrivassero le piaghe d’Egitto, optiamo per un dolce al rabarbaro ad un chiosco ambulante. Un ordigno. Riusciamo solo ad ustionarci e a farci cadere addosso chiazze di liquido appiccicoso. È a quel punto, credo, che decidiamo che ogni cosa è contro di noi, non c’è speranza alcuna di fare qualcosa di sensato che vada a buon fine.

Io sempre più attratta dalla ‘fauna’ locale
Cala la ‘notte’

Battiamo in ritirata, cercando di limitare i danni. Ma non siamo contente, sfidiamo il fato: un bel tè nella sala comune (al solo pensiero mi vengono sintomi di diverse malattie, forse estinte). Scendiamo, quindi, nel set di Saw II, ammirando l’installazione degna di massima attenzione buttata in un angolo del corridoio: un ammasso di tubi di plastica uniti da cose indecifrabili a forma di termosifone pieghevole. Ci sediamo sulle poltroncine meno pulite mai viste dopo l’invenzione del sapone. Sorseggiamo il nostro tè speziato, raccapricciandoci dell’atmosfera desolata che ci circonda. Siamo in un’enorme sala rettangolare al piano interrato, in un tripudio di mattoni rossi, tavolo da ping pong al centro, postazioni computer ai lati e schermo bianco ultrapiatto (come piazzare l’Empire nelle Favelas). Sul lato più lontano dall’ingresso c’è una piccola cucina. Sul lato dell’ingresso, invece, sono situati i nostri salottini. Dalle finestrelle a lunotto, poste in alto ad una delle pareti lunghe del rettangolo, s’intravedono targhe gialle di automobili estoni. Una coppia di spagnoli si è seduta vicino al microonde a consumare un salutare pasto a base di petto di pollo, waffles e aranciata. Un signore legge un giornale al tavolino a fianco, ma se ne va poco dopo. Una signora con un asciugamano in testa, arrotolato come un turbante, attraversa la sala muta e con espressione fissa, scomparendo sulle scale come una presenza soprannaturale.

Ma due tavoli dopo il nostro c’è lui: il tipo che parla da solo. Si comincia a respirare aria di casa. Con grande delusione, però, se ne va anche lui poco dopo, senza fare cose che uno si aspetterebbe un minimo, tipo un lancio di forchette, un ping pong con le tazzine… niente. Ci manca tanto il Cheap Sleep.

Sconsolata e annoiata, mi trascino a mettere l’insalata in frigo, munita di busta sigillata, scotch da pacchi e pennarello rosso ammonitore, ma poi leggo il cartello sullo sportello che avvisa che i cibi sono controllati, chiunque sarà sorpreso a rubare cibi altrui sarà immediatamente buttato fuori dall’ostello. Neanche i furti impuniti… questo è troppo. Torno da Fra ancora più amareggiata, ma lei mi trova subito un diversivo.

Fra: “Ma noi siamo scese da quella scala…”

Me: “Si… perché?”

Fra: “E dove porta l’altra?”

Manco a dirlo, corriamo in esplorazione (se fossimo davvero in un film dell’orrore saremmo già morte durante i titoli di testa). Con immenso rammarico, scopriamo che porta esattamente dove porta l’altra: al pian terreno. A questo punto, ce ne torniamo in camera, sconfitte. I pochi colpi di scena da Ghost House Pictures non ci bastano, siamo abituate a ben altro. Così, faccia sul cuscino, si spengono le luci e cala il sipario.