«We penetrated deeper and deeper into the heart of darkness. It was very quiet there».
(Joseph Conrad, Heart of Darkness)
Yogyakarta, 25 maggio 2020
Oggi ho aperto una confettura di mele portata qua credo due anni fa. Ma scade nel 2021.
Domani DEVO assolutamente fare spesa, spero non si presentino nuove specie animali ad impedirmelo.
La giornata è trascorsa tranquilla tra letture, scritture e studio di brani giavanesi. Mi sono anche fatta la ceretta fai-da-te, il che ha implicato ore di manovre scomode e caramello solidificato ovunque. Non voglio mettere piede in salotto domani mattina con tutti quegli zuccheri ad attrarre insetti come la casetta di Hansel e Gretel.
La luce del bagno ci ha lasciato definitivamente, ma la cosa peggiore è che mi sta lasciando anche la torcia.
Il menù del giorno ha previsto pasta col tonno (che credo ho ancora a sufficienza per sette quarantene, ma che mi ha detto il cervello?) e vino. Ma soprattutto vino.
Ho scoperto che mi aiuta la concentrazione, forse perché dopo un po’ mi scordo dove sono e abbasso le difese contro tutto quello che… contro tutto.
La mantide è sempre lì nel mio ‘insettario’ sul retro, fa più o meno le stesse attività che faceva la locusta, ma con più eleganza e compostezza, per quanta ne possa avere una cosa del genere.
Se mi va male la carriera accademica apro un parco di divertimento per insetti giganti e orrendi.
Yogyakarta, 26 maggio 2020
Oggi è una di quelle giornate che ti svegli senza sveglia dunque dall’una in poi, col cielo nero che minaccia pioggia.
Tutti i prerequisiti per essere una giornata di…
Dopo aver passato due o tre ore tra il capire con cosa dovevo fare colazione (davvero non sta rimanendo niente in casa) e l’attenta osservazione dell’andamento della pioggia dalla porta di casa (che finalmente posso tenere aperta senza il terrore delle locuste giganti) ho deciso… che mi sarei messa a leggere finché non avesse spiovuto.
Ho quasi finito Heart of Darkness.
Ad un certo punto volevo farmi un tè ma era finito anche il gas e il gallone d’acqua è arrivato all’ultima tacca.
Era evidente che, pioggia o non pioggia, dovevo uscire.
La prima tappa è stata la signora del gas. La performance del giorno è stata: fai cadere la bombola del gas a bordo strada e vieni salvata da tizio senza guanti e mascherina che ti sale praticamente in braccio per incastrartela sul motorino in modo che arrivi a casa senza morire.
Poi ho stipato la borsa di panni sporchi che mi trascino da due settimane nel vano del motorino e sono partita alla volta del Superindo.
Dopo il record di più di tre settimane sono riuscita a fare la spesa.
Ho comprato molto poco, dato che spero sempre di essere in Italia entro massimo due settimane.
Oggi per strada era davvero deserto. Sarà l’effetto del labaran, io non ho ancora capito se è ancora festa o no. Secondo la lavanderia si, dato che era di nuovo chiusa. Continuerò a comprarmi le orrende mutande del supermarket fino alla fine dei giorni (nota bene: pur di non lavarle nell’ ‘insettario’ che una volta era la mia lavanderia domestica). Anche il supermercato era stranamente vuoto e gli scaffali razziati. Ho tratto in salvo l’ultimo pacco di pancakes surgelati e quasi avrei voluto nasconderli. Ho rinunciato alle patatine gusto salmone in salsa teryaki, a quelle al pollo arrosto, al pollo piccante, al manzo e al sambal (salsa piccante indonesiana) e ho preso quelle al sale, normali, rarissime.
Poi ho anche rinunciato ai wafer blu gusto bubble gum e quelli rosa gusto pink lava, oltre a quelli verdi al gusto matcha tea e quelli gialli al formaggio, agli Oreo al gusto blueberry ice cream e ho portato a casa dei biscotti al burro d’arachidi, uno dei gusti più neutrali.
Il mio palato non ce la fa davvero più. Bramo pane e mortadella come Ulisse brama Itaca.
Appena sono uscita dal Superindo ha cominciato a piovere più forte.
Mi sono intrattenuta in una di quelle conversazioni che non facevo da tanto, coi parcheggiatori:
“Where are you from?”
“Italy”
“How long Indonesia?”
Lì ho commesso l’errore di rispondere 7 anni, in indonesiano, ed è partito il cabaret. Tutto ovviamente senza guanti e mascherine.
Ci siamo salutati tra un “As Roma”, “AC Milan” e un “Inter-Milan” e ho imboccato la Parangtritis sotto la pioggia battente. Un’altra cosa che mi era mancata.
Ho ripensato a quanti monsoni mi sono presa in motorino durante questi anni e sempre quando tornavo da qualche performance conciata in modo improbabile o quando facevo traslochi. Tutto in motorino. Neanche ho messo la mantella da pioggia, ho voluto godermi ogni singola goccia in onore dei vecchi tempi.
Ho già detto che la lavanderia era chiusa?
Al semaforo mi sono fermata vicino a due tizi su un altro motorino che portavano una scala. Ho pensato subito alla luce in bagno. Avrei dovuto pensare alla scala, ma ormai non ci faccio più caso. Quasi gli avrei chiesto di prestarmela.
Ora, mentre una rana attraversa il mio patio indisturbata e la moschea emette un richiamo così flebile che stenti a sentirlo (dopo un mese di rave islamici sarà difficile riabituarmi a tutto questo silenzio) degusto un finto sandwich con finto formaggio cheddar di pessima qualità e wurstel fuxia al pollo tentando di visualizzare la bottega del salumiere sotto casa (antiche tecniche ayurvediche) e mi rimetto sulle mie letture.
Ah, ovviamente la pioggia avrà lavato via il pesticida. Quindi da domani ricominciamo a fare i domatori.