Karantina

Capitolo 18 – Lebaran

«Alle tre di mattina inizierà a recitare il Corano attraverso gli altoparlanti, che si sentono in tutto il quartiere. Ci prova a leggere con un tono piacevole e cantilenante, ma il risultato è sempre poco orecchiabile. Lo farà per un’ora e mezza o due, fin quando arriverà il momento del richiamo alla preghiera dell’alba».

(Feby Indriani, Non è mica la Vergine Maria)

Yogyakarta, 23 maggio 2020

Sabato prima del lebaran

Ultimo giorno di Ramadan.

Domani forse ci sbarazziamo di due dei maggiori disagi che hanno contribuito ad appesantire questa quarantena più del dovuto: la cappa di religiosità dogmatica e la cappa di locuste orrende.

Tutta la iper-religiosità, i divieti e i tabù, i raduni di massa dai vicini si concluderanno domani in una bella festa per l’Idul Fitri. Le locuste verranno impietosamente sterminate tramite pesticida gentilmente fornitomi dalla mia amica Lauretta.

Sto portando ora il flacone a casa tipo sacro Graal.

Torno ora dalla spiaggia di Parangtritis, come tradizione dopo ogni giornata di mental breakdown.

È sempre tutto bellissimo come me lo ricordo. Oggi ci siamo messi fronte spiaggia senza farci la scarpinata fino alla rupe della meditazione. Anche perché c’era pochissima gente, si preparano tutti ai festeggiamenti di stanotte.

L’acqua oggi era più calma e limpida del solito, quasi mi sarei fatta il bagno. Pure la regina si è messa a friggere per l’Idul Fitri e si è scordata di mettere in moto vortici e turbine.

Il sole è ogni volta più mozzafiato.

Abbiamo steso il telo sulla spiaggia scura, umida e compatta e ci siamo messe ad ascoltare musica, fare Yoga e mangiare snack insalubri (tipo le chips di tempe fritto).

Non sono comunque mancate le passeggiatine sulla superficie liscia e specchiata del bagnasciuga, che sembrava di camminare sulla tavolozza di un pittore e quasi ti dispiaceva lasciarci le impronte.

Io indosso sempre rigorosamente i jeans. Truccata e con i jeans. Con tanto di orecchini e bracciali.

Ormai è tradizione. Se si esce di casa, non importa per andare dove, lo si fa con stile. Mi sembro una di quelle tizie di paese che si apparecchiano come primedonne in scena per mettersi sul balcone ad attendere il passaggio del Santo. Se solo si sbrigasse a passare qualche santo e a fare un miracolo…

Tra l’altro indosso la stessa mascherina da una settimana, forse è ora che la cambi. Anche perché ne ho comprate veramente tante. Ormai le vendono ovunque, di tutti i tipi. Mascherine e alcol gel come non ci fosse un domani.

Sulla spiaggia c’erano i soliti tamarri con le moto, che facevano le sgommate sul bagnasciuga. Sempre per il discorso paese…
Mentre ero seduta a contemplare il mare e la sua drammatica pace crepuscolare, un tizio con una maschera di V per Vendetta sfila impennando sul suo bolide. Quando meno te lo aspetti ti esce il fotogramma di un film di Lynch da qualche parte. Nel frattempo una tizia cercava cose sulla spiaggia, in una camicia da notte di H&M. Un pescatore dalla pelle scura e arsa dal sole, a petto nudo e on il cappello di paglia a punta, calava le reti in un punto più in là, con l’acqua alle ginocchia.

Un altro bel pomeriggio di ora d’aria.
Ora sono pronta al resto delle piaghe bibliche.

Più tardi

Dopo il mare sono tornata a casa a posare il bottino, il mio elisir di lunga vita, il pesticida. Poi ho preso il motorino e sono riuscita, crepi l’avarizia. Stasera pizza con Lauretta. Ma soprattutto vino. Così ho messo una toppa ai miei stati d’animo maniaco-depressivi e ho azzerato il conto della crisi di nervi. Prossima crisi stimata: tra una settimanella. Tempo che si rompa qualcos’altro in casa e si moltiplichino le specie infestanti.

Ho mangiato una pizza che sarebbe stata esagerata anche se fossimo stati da qualche tavernaccia romana. C’era sopra persino del prosciutto (Balinese, grazie induismo). C’era sopra tutto ciò che manca nella mia vita, a parte un aereo ma quello non si produce a Bali. Anche il vino che ho bevuto stasera era prodotto a Bali, un bel calice di rosso. Poi me ne sono portata a casa una bottiglia intera (che con questi climi e il cibo ipocalorico il vino rosso fa l’effetto di una dose di eroina).

La strada del ritorno è stata un’apoteosi circense. Sono passata per Minggiran, il quartiere più musulmano di Yogya. A Jalan Jogokaryan, sede del più grande centro islamico cittadino, erano già nel pieno dei festeggiamenti, con gente che affollava le strade, piene di venditori ambulanti, gente in abiti pseudo-arabi che pregava tutti insieme appassionatamente.
Covid che?
(A proposito, stiamo in pieno picco. Quasi 22.000 casi a botte da 1000 al giorno).
Tutto a festa. Moschee piene. Botti. E lei: l’immancabile cantilena “Allah Akbar” che andrà avanti non-stop fino a domattina a moschee unificate. Una nottata di fuoco.
Io ho sfilato davanti la moschea gremita con la mia bottiglia di vino in bella vista appesa al gancio frontale del motorino.

Appena imboccato il vialetto di casa mi è preso un colpo: dai vicini è in corso una sorta di rave islamico. Dieci motorini parcheggiati fuori, tizi in caftani bianchi e copricapi islamici con mogli ‘injibabbate’ dalla testa ai piedi con cafandro integrale che portano carichi di cibo per tre generazioni. È follia.

La cantilena “Allah Akbar” continua ininterrotta ed echeggia da ogni dove, ne è prega l’aria.

Mi faccio coraggio dicendomi che è l’ultima notte, il rush finale. Poi ne avranno talmente abbastanza anche loro che nelle prossime settimane si tornerà alla pace.

Andranno avanti fino alle cinque di mattina. Mi sono quasi imparata la cantilena, quasi la canto anche io. Me la sono ascoltata per un po’ live sull’amaca, ad un certo punto quasi conciliava il sonno. Ho pensato di dormire fuori al fresco ma poi mi sono ricordata che vivo in A Bug’s Life.

Ore 4.00 del mattino

“Allah Akbar, Allah Akbar, Allah Akbar…”

Non dormirò mai.

Yogyakarta, 24 maggio 2020

Assalamualaikum warahmatullahi wabarakatuh
Minal Aidin wal faizin
Happy Eid Mubarak, Selamata Hari Idul Fitri 1441 H
Buon lebaran a tutti.

È finito.
Il Ramadan si conclude oggi, nell’anno 1441 H.

Ho chiuso gli occhi su “Allah Akbar” e li ho riaperti su “Allah Akbar”. Ventiquattr’ore di preghiere ininterrotte. Mi sento tipo Fantozzi dopo la corazzata Potemkin, ma non vorrei fare affermazioni offensive.

Stamattina mi sono fatta pane finto con burro e zucchero di palma e bevanda istantanea alla nocciola. Non avevo di meglio, dato che sono giorni che tento di fare spesa ma qualcosa me lo impedisce. Tipo le alluvioni, le locuste giganti, e adesso la festività islamica.

Tutto chiuso fino a martedì.
Almeno ho il vino, che non è neanche più illegale da oggi.

Mentre tutti i miei amici e colleghi festeggiano allegramente il loro santo Idul Fitri, io festeggio il mio giorno di liberazione. Dalle preghiere delle due di notte, dai divieti su alcol etc., dai raduni in massa dal vicino con l’Islamic Center.

E forse festeggerò anche la liberazione dalla piaga più grande: locuste.

Armata di pesticida, travasato in contenitore spray, e indossata mascherina di panno spesso onde evitare di rimanerci secca io, mi sono data al genocidio più soddisfacente da quando ho approcciato i genocidi di ortotteri. Ho spruzzato ogni pianta senza pietà, non vedo l’ora che ci si posi sopra qualche dirigibile di quelli a sei zampe con la corazza dura e ci rimanga secco.

In compenso ho guadagnato una mantide gigante appesa ai fili del bucato sul giardino sul retro. Ma ormai neanche mi scomodo, l’ho promosso insettario. Finché rimango protetta da vetro chiuso e porta rotta, può insediarcisi anche un boa constrictor per quanto mi riguarda.

Quindi, dopo aver scacciato una vespa a doppio scomparto dalla mia camera, con la massima calma che contraddistingue questo santo giorno, mi metto all’opera sui miei scritti e le mie letture.

Oggi ho cantato una canzone, Tombo Ati. È un brano tradizionale giavanese, che si pensa sia stato composto da uno dei Wali Songo (i nove santi islamici giavanesi) e significa letteralmente ‘Rimedi del cuore’. Parla dei cinque modi di raggiungere la pace interiore per un musulmano, cioè leggere il Corano, pregare da soli o in compagnia (vedi: i miei vicini), praticare il digiuno e ricordare Dio costantemente.

La melodia è molto semplice e dolce ed è facilissima da suonare con la chitarra, sono tre accordi maggiori di numero.

Tombo Ati iku limo perkarane

Kaping pisan moco Qur’an dan maknane

Kaping pindo sholat wengi lakonono

Kaping telu wong kang sholeh kumpulono

Kaping papat kudu weteng ingkang luwe

Kaping limo dzikir wengi ingkang suwe

Salah sawijine sopo bisa ngelakoni

Mugi-mugi gusti Allah nyembadani

Più tardi

Sono sdraiata sulla MIA amaca, nel MIO giardino, che ho sottratto all’esercito ortottero invasore grazie a pioggia di pesticida.

Ora mi sento molto più sicura.

Sento comunque qualcosa che galleggia nello stagno (che era la mia vasca per pesci ma ormai è solo un ammasso di muschio galleggiante). Sarà la solita rana o qualche innocuo lucertolone.

Tutto è quieto. Non si sentono richiami della moschea, nessun rave dai vicini. Non pare vero. Si vede anche qualche stella in cielo.

Che sensazione di liberazione.

Oggi pomeriggio ho lavorato alla book proposal armata di incensi, candele, vino balinese e ore di musica tibetana ininterrotta. Ho praticamente scritto in trance. Qualsiasi entità abbia scritto al posto mio spero che abbia scritto bene.

Ne sono uscita con un mal di schiena atroce. Ore a spaccarsi la schiena tra panche di bambù e pavimento, sedata dal vino, dall’incenso e dalla musica dunque totalmente anestetizzata. Comunque sono giunta alla conclusione che tra la panca e il pavimento è di gran lunga meglio il pavimento.

Datemi delle sedie, voglio delle sedie.

Un geco mi ha appena fatto prendere un colpo arrampicandosi sull’ ‘albero delle cavallette’. Ma sfido chiunque a posarcisi ora senza cadere stecchito.

Comunque, proprio per non sentire la mancanza di esseri orrendi ad un palmo di naso, c’è sempre la mantide gigante che fa bungee jumping sui miei fili del bucato. Così, tanto per non rimanere mai scoperti. Giustamente, è una domenica di preghiera, ti becchi la super mantide religiosa.

Poco dopo

Continuo a guardare il geco sperando sia davvero un geco. Questa quarantena corredata di piaghe bibliche mi sta dotando di traumi che faranno felice ogni terapista.

In tutto ciò sono sempre più proiettata verso il mio ritorno in Italia.

Lo sento vicino.