«È come se, nella continua speranza che qualcosa cambi, tutto fosse fatto provvisoriamente, tanto per sopravvivere un altro giorno».
(Tiziano Terzani, In Asia)
Yogyakarta, 15 maggio 2020
Oggi Wally – così avevo chiamato la cavalletta, dal termine indonesiano walang – mi ha abbandonata. Cioè, per ora ha cambiato giardino, è sparita da quello sul retro (subito rimpiazzata da un’orrenda mantide religiosa, non ci facciamo mancare nulla) e me la sono ritrovata in quello di fronte, a giocherellare tra i motorini e il cancello.
Inutile dire che oggi non sono uscita di casa.
Ma avevo un certo presentimento sin da stamattina, ormai percepisco la loro presenza.
Devo dire che sono tra il sollevato, il preoccupato (ogni agguato è lecito, potrei benissimo trovarmela sulla porta di casa, almeno nel retro era tutto sapientemente blindato) e il nostalgico. Mi ero abituata a vedere quella cosetta che abbracciava le mie magliette stese e si dava a improbabili sessioni di aerobica sui fili per stendere. Cioè, neanche tanto ‘cosetta’, quasi quindici centimetri di ortottero. È incredibile come in quarantena si affezioni anche ad un insetto, che all’inizio faceva rabbrividire solo al pensiero.
Non me la metterei in camera, però, s’è capito il punto. Ormai era lì da due settimane, era un appuntamento quotidiano.
Ha resistito comunque più della mia coinquilina.
Oggi ho cantato a squarciagola tutto il giorno.
Ho iniziato registrando dei brani kroncong – di quelli che cantavo sempre col mio complessino i sabati e le domeniche (quanto mi mancano) – Jali Jali, Kemajoran e Kuda Hitam, tre masterpiece.
Poi Mi sono messa a studiare il kroncong asli (brani kroncong ‘originari’) che sono tristi e melanconici, quasi affogavo nelle lacrime. Ne ho imparati tre nuovi, altri tre must che mi rivenderò a chissà quali prossimi concerti. Forse nel 2025.
Semalam di Malaysia, Mahameru e Kroncong Moritzko. E via la valle di lacrime.
Poi, dato che c’ero, ho tagliato la testa al toro, ho acchiappato la scopa in cucina e ho simulato un concerto con la playlist kroncong a tutto volume su Spotify. Su Bajing Loncat (brano sundanese) quasi mi lanciavo sulla folla immaginaria.
Ho chiuso in bellezza con Walang Kekek, una canzone che parla di una cavalletta, in onore di Wally. Chissà per quali cieli salperà domani.
O magari me la ritroverò in cucina. Più probabile.
Dopo un’ora di Yoga Vinyasa sfiancante e una cofana di pasta al tonno per mandare alle ortiche gli sforzi dello Yoga, mi sono vista una puntata di Bates Motel, già visto credo tre volte. Credo anche di chiamarmi Norma.
Ho ufficialmente finito le cose nuove da vedere sul mio hard disk.
D’altronde, non ho Net…
Stop.
Ora sto bollendo un po’ d’acqua per farmi una bella ‘doccia’ e poi mi rimetto sulle memorie.
Quella cavalletta mi mancherà.
Ore 1.30
Sto piangendo per una cavalletta.
Chiamate l’unità anti crisi.
Ore 1.45
Ho visto dei documentari su YouTube. A parte “Gente morta mentre filmava” (ma perché?) e pazzi con allevamenti di locuste in salotto, ho capito un po’ di cose.
Innanzitutto, Wally non è una banale cavalletta, ma una locusta gigante migratoria (per me sempre e solo il meglio).
È del tipo che distrugge qualsiasi cosa su cui passa assieme a branchi di colleghe affamate.
Ora come ora pare stiano devastando l’Africa. Chissà, forse le ha raggiunte.
Ah e ho capito anche perché ha levato le tende dal giardino sul retro: pare che le mantidi vadano ghiotte di locuste.
Ore 1.58
Wally non se n’è affatto andata. Men che meno in Africa.
Si è semplicemente piazzata sul mio cancello e non intende proprio schiodarsi.
È che col buio non si vedeva.
Sono circondata.
Non uscirò mai più di casa.