Karantina

Capitolo 15 – Buka puasa

«Stare da soli la sera del Lebaran è triste. Tale era il destino di Abik, coricato nella sua stretta stanza con soltanto il ticchettio delle lancette di un orologio da muro di cattivo gusto e l’ululato di un cane in lontananza a fargli compagnia».

(Feby Indriani, Non è mica la Vergine Maria)

Yogyakarta, 16 maggio 2015

Oggi festeggio il mesiversario di due mesi esatti di quarantena da sola (tre se consideriamo anche le settimane con la coinquilina dispersa).

E forse festeggiamo anche un’altra ricorrenza: ho scacciato Wally, forse del tutto.

Oggi credevo che non sarebbe più fatta viva. E invece eccola là, acquattata in agguato tra le piantine ai piedi del cancello.

Ma oggi devo uscire.

Quindi, dopo una serie di accurati passi felpati con più che decisi retro-front, mi sono decisa. Sono entrata in casa, ho acchiappato uno straccio e, seguendo i buoni consigli della saggia genitrice (ho scomodato persino i miei dall’altra parte del mondo per questa storia), gliel’ho gettato sopra.

Seguono urla di disgusto allo spiccare del volo della cosa.

Così ho ripreso possesso del mio cancello.

E lì pensavo fosse finita.

Invece no.

Dopo pranzo – tra l’altro una magistrale frittata fatta con quel poco cibo indonesiano che mi rimane in frigo, un’altra punta di diamante di cucina transculturale da evitare più del Covid – mi affaccio alla finestra della mia camera. Ed eccola lì, che punta i motorini.

Dopo una serie di investigazioni a fasi alternate, salotto-camera, ho tracciato il pattern de nemico: da vicino il motorino, a sotto il motorino, ad arrampicata agonistica sul motorino, a fanale del motorino, dritta di fronte alla mia finestra.

È quasi stalking.

A quel punto non ce l’ho fatta più.

Armata di ‘Google consigli’ e olio di citronella (che per fortuna qui vendono a vagonate) ho aperto leggermente la finestra e bam: ho colpito il nemico. Un fiotto di liquido giallastro è arrivato dritto in traiettoria e Wally ha fatto un mega salto volante disgustoso fino a fuori il mio giardino.

Mi sento come se avessi vinto la guerra in Vietnam.

Sinceramente non provo più né affetto né pietà, solo fastidio. E questo dimostra la stabilità del mio umore che cambia più rapidamente di quegli anelli magici che cambiavano colore da piccole (ma forse ce l’ho avuto solo io).

Sarà finita qua?

Per il resto, niente di nuovo sul Fronte Orientale.

Yogyakarta, 17 maggio 2020

Oggi Wally non si è vista.

Cioè oggi quasi non ho visto insetti.

Ad eccezione di quelle quattro zanzare piene di dengue e malaria che circolavano nel mio salotto stamattina e una cosa pelosa strisciante appiccicata sul muretto di cinta. Cose da principianti insomma.

Ad un certo punto, mentre ero intenta nel lancio della monnezza quotidiano – perché io non la butto, la lancio fuori dal muretto centrando ‘quasi sempre’ il bidone – qualcosa di orrendo mi ha sfarfallato vicino e poi è sparito chissà dove.

Oggi ho girato un video tributo per il mio gruppo kroncong, sul brano Kemajoran con cui aprivamo gli spettacoli.

Ho dovuto piazzare teli di copertura sul cancello per proteggere la mia privacy dal vicino impiccione. È incredibile, deve sempre trovare qualche attività quando io faccio qualcosa in giardino.

Ho finito di montarlo verso sera, facendo solo una pausa per cucinarmi una dubbia pasta con burro, yoghurt greco, piselli e wurstel in lattina. Si vede che sono rimasta agli sgoccioli ma mi scoccia andare a fare spesa. Questo video è venuto meno bene degli altri, sarà che mi sono stufata pure del video-making fai da te. Ormai ho davvero finito i passatempi.

Kemajoran (brano kroncong)

Ieri sera ho fatto una scappatella nella “città vuota” (alla Mina) con Lauretta ed Ester, e ho persino bevuto birra a Prawirotaman, sempre più spettrale, c’eravamo davvero solo noi e l’unico ristoratore italiano aperto. Abbiamo anche mangiato una delle pizze più buone mai mangiate in Indonesia.

E poi niente, mascherina da bandito in tinta con la felpa bordeaux e giù di nuovo a sfrecciare per la Parangtritis deserta fino a casa.

E comunque sono riandata a dormire alle quattro. Non c’è niente da fare ormai ho orari da Ramadan. Mangio all’ora del buka puasa (apertura del digiuno), cioè verso le cinque e mezza del pomeriggio, poi rimangio all’ora del saur (chiusura del digiuno) cioè alle due di notte e sto sveglia fino alla preghiera del mattino. Tra un po’ comincerò ad uscire in hijab, che dato lo stato dei miei capelli quasi mi converrebbe.

E per la cronaca, ho fatto le quattro guardando su YouTube un documentario sui kuta cowoboys, un fenomeno che avviene a Bali sin dagli anni ’80. In pratica questi aitanti giovanotti seducono straniere in cerca di avventure per poi spennarle e passare alla prossima preda. Un fenomeno noto anche qui a Yogyakarta come bule hunters (letteralmente “cacciatori di bianche”) ma in misura molto ridotta per via delle limitazioni dell’Islam e perché certo il turismo qua non è paragonabile a quello di Bali. E Kuta è il male.

Anche se a Bali ci riandrei volentieri. Cioè andrei volentieri ovunque.

E invece…

Cowboy of Paradise (documentario)