La casa della sindhen

Capitolo 20 – Ricercatori di eventi culturali

«In the air was a powerful, complex smell, acrid and pungent, of burnt feathers, fish and frying coconut oil. I was to find this a daily smell, punctual and inevitable as the morning smell of coffee at home […]. Drama both entertained and edified; the exemplary restraint of the legendary heroes and the nobility of their words presented an ancient ideal of conduct and manners».

(Colin McPhee, A house in Bali)

18 ottobre 2013

Yogyakarta

Ore 01.20 di notte

I miei orari cominciano a divenire surreali. Stamattina mi sveglio alla buon’ora per andare all’appuntamento con Dona a discutere dei corsi di Karawitan. Gli avevo detto che avevo bisogno di incrementare la mia tecnica dato che i miei compagni di classe sono tutti ottimi suonatori. Come consueto mi presento puntualissima davanti il suo studio e aspetto più di un’ora. È che ancora insisto a presentarmi in orario, non lo so neanche più io il perché.

Ci dirigiamo al dipartimento di Karawitan dove parlo col responsabile, cioè in realtà ci parla lei, io percepisco frasi e parole random e dico qualcosina in inglese quando serve puntualizzare. Ottengo un foglietto con su scritti gli orari, tra i quali spicca gloriosa la lezione del venerdì alle 7.30 del mattino, che ormai è l’ora a cui vado a dormire, praticamente. Mi accompagnano poi dove si sta svolgendo la lezione per i Darmasiswa. Congedo Dona cordialmente ed entro nell’aula migliore che abbia visto finora: lo studio di registrazione.

Un’ordinata orchestra gamelan è disposta sulla pulitissima moquette, c’è una lavagna bianca sulla quale sono annotate righe di notazione cifrata e soprattutto c’è aria condizionata. Sono presenti solo due ragazze che ho già avuto modo di conoscere alla classe di bahasa Indonesia, quindi mi faccio spiegare brevemente da loro quello che stanno facendo e prendo parte alla lezione. Poco dopo entra il maestro, mi spiega più o meno il da farsi e cominciamo a suonare.

Inizialmente mi posiziono al consueto saron ma la melodia è davvero semplice, troppo, in confronto a quelle eseguite nella classe di wayang. Poi c’è la svolta, il maestro vuole che provi il kendhang. Non sto nella pelle. Mi cimento quindi per la prima volta al tamburo, leader dell’orchestra, seguendo le indicazioni alla lavagna e le correzioni del maestro. Al secondo giro di melodia già tengo perfettamente il tempo. Ora mi sento in tutto e per tutto Lady Dalang.

Purtroppo poco dopo la lezione è già finita, io ero arrivata quando era già inoltrata. Avendo circa tre ore libere prima della classe di bahsa Indonesia, ne approfitto per ripassare qualcosa. Mi prendo un succo di mango fresco alla Kantin (ormai ho imparato) e mi metto china sulle dispense a fare qualche esercizio. Tempo un’ora a morire di caldo vessata dai pizzichi di bestie varie, decido di levarmi da lì. L’idea dello studio all’aria aperta è sempre romantico, se non sei ai tropici.

Tanto per guadagnare tempo, mi dirigo verso il dipartimento di ceramica (che è il primo luogo che a tutti verrebbe in mente per lezioni di lingua) e mi riperdo nei dubbi esistenziali. Gli edifici sembrano tutti uguali, posti in una strana planimetria che fa sì che gira e rigira ti ritrovi sempre allo stesso punto, tra verande, padiglioni e corridoi specchio l’uno dell’altro, finché pensi di trovarti dove dovresti trovarti, che poi potrebbe essere ovunque, e ricominci il labirinto.

Stufa del solito peregrinare, entro in un edificio a caso, salgo le scale non so perché ed entro nella prima aula che trovo con aria condizionata, per trovare asilo politico dalla tremenda afa pre-stagione delle piogge. Manco a farlo apposta è l’aula giusta. Comincio decisamente a credere nel potere del wayang. Mi metto a leggere buona, buona beneficiando della deumidificazione più di ogni altra cosa. Fuori c’è qualcosa come l’80% di umidità.

Poco dopo sento l’irrefrenabile bisogno di andare in bagno. Lo cerco. Lo trovo, lo detesto. La solita bacinella d’acqua con scodella galleggiante mi guarda beffarda da un angolo. Tiro fuori tutto il coraggio possibile e tutte le salviette disinfettanti che riesco a racimolare nella borsa. Mi sto abituando a tutto, ma ai bagni proprio non riesco. Finalmente arrivano gli altri e poi anche le insegnanti, in ritardo: Si erano scordate di avere lezione. Vabè. Ci si fanno una risata su e ci insegnano come dirlo in indonesiano, visto mai…

Oggi impariamo a porre diverse domande. Studenti del dipartimento di ceramica ci fanno da cavie, sedendosi a turno di fronte a noi tipo banco degli imputati e prestandosi a domande personali e mal poste che gli arrivano da ogni lato. A metà lezione Wiwid e Retno ci offrono anche una sorta di merenda. Passano tra i banchi con bustine piene di cracker fritti e vegetali assortiti. Tra questi: una cosa bianca che sembra qualcosa di noto ma crudo, una cosa gialla che ha un sapore agro e piccante al tempo stesso, sicuramente una papaya e forse dei cetrioli.

Alle 15.00 il tutto finisce e corro a casa dove so che mi aspetta Daniel per il pranzo. Appena entro un profumo di cibo speziato inonda le mie narici. Mi tornano alla mente i giorni nei quali tornavo da scuola da bambina e mia nonna era lì a preparare cose buonissime. Consumiamo porzioni più che generose di riso con zuppa di vegetali, pollo e tempe al curry e mi chiudo nelle mie stanze a tentare di tradurre e studiare i vari libri e dispense.

Verso le cinque e mezza Daniel mi propone di andare a vedere lo spettacolo di wayang Hip Hop che avrà luogo al Jogja Arts Center. Con gli occhi luccicanti prendo la Canon e mi fiondo fuori. Arriviamo al polo artistico e non troviamo quello che ci aspettavamo. Cioè, non troviamo nulla. Daniel chiede informazioni e una tipa ci avvisa che sta per iniziare l’incontro per il festival del cinema di Yogya, che chiuderà la serata. Lo spettacolo di wayang Hip Hop la apriva, ma l’orario sul sito era sbagliato. Stavolta non c’è nessuno che ci insegna come dirlo in indonesiano.

Coi musi lunghi e tanta, tanta delusione, cerchiamo conforto in una zuppa dolce allo zenzero, che il venditore ambulante dispensa dal suo bel carretto in legno azzurro. Dopo minuti di rimuginamenti e qualche caloria in più, ci alziamo e facciamo un giro giusto per vedere se lì al centro c’è qualche performance interessante in atto. Troviamo i danzatori di Sumatra.

In realtà sembrano prove, o comunque nulla di ufficiale, ma rimaniamo comunque a guardare incantati. Tre ragazzi suonano tamburi di diverse forme, mentre un altro suona un flauto. Una quindicina di bellissimi ragazzi a torso nudo mimano passi di una danza tribale che riproduce scene di caccia. In mano tengono archi e frecce di plastica, uno di loro suona un fischietto per dare i segnali e tutti insieme danno vita a figurazioni perfettamente sincronizzate col ritmo incessante delle percussioni. Io sono estasiata. Daniel forse un po’ meno e preme per andare via. Con una lacrimuccia che scende dall’angolo della palpebra, mi schiodo da cotanta meraviglia e lo seguo.

Visto che siamo lì, ne approfitto per andare a rovistare tra le cataste di carta del mercato dei libri adiacente al centro artistico. Entro convinta di trovare volumi sul wayang, cerco di convincere anche il negoziante, ne esco con dei poster dei personaggi del wayang, che sembra uno di quei poster di razze canine appesi negli studi veterinari. Daniel mi chiede perché ho comprato qualcosa del genere, io gli dico che non so come ci siamo arrivati col venditore ma, già che c’ero, li ho presi. Mi convinco sempre di più che qui o si impara la lingua, ‘o si muore’. Se non altro posso appenderli in camera e impararmi i nomi.

Per risollevarci dalla doppia cocente delusione, niente di meglio che un po’ di shopping. Daniel mi porta nel luogo di perdizione più estremo di tutta Malioboro: il Mirota Batik. Tre piani di meraviglie di artigianato, moda e oggettistica tradizionale. Ergo: scaffali e scaffali e reparti di vestiti e accessori batik e arredi per la casa con sopra ogni fantasia giavanese possibile e immaginabile. Ma soprattutto, personaggi del wayang stampati su ogni cosa. Una strage. Morti, feriti e prigionieri di guerra su tutti i fronti.

Punte di diamante tra il bottino da cargo della Compagnia delle Indie Olandesi: un attaccapanni in legno con le facce dei personaggi comici Punokawan e un portacandele per comodino con profili di Rama in controluce. Maledico Daniel da sotto cumuli di cianfrusaglie mentre lui se la ride sotto i baffi e pago. Ci rimango quasi male quando scopro che ho speso poco più di quaranta euro per due bustoni colmi di roba.

Malioboro by night

Per compensare le spese alle stelle, facciamo un giro nelle stalle: il mercatino dell’usato. Ho pregato Daniel di portarmici, lui non era proprio felice all’idea di una straniera che parla ancora a stento il bahasa a rovistare tra articoli di dubbia provenienza contrattando con tipi loschi. In realtà è meno peggio di quanto mi aspettassi, non troppo diverso dal vecchio caro ramo abusivo del mercato nostrano. La cosa interessante è che QUI trovo libri in inglese. Per far capire quanto ci tengano.

Tento in tutti i modi di chiedere ad un venditore dei libri sul wayang. Ottengo proposte di acquisti imperdibili come il best seller How to be pregnant e vado avanti. Sulla via del ritorno la nostra attenzione è accalappiata da folla e palco allestito nel parco principale a Malioboro. Accostiamo il motorino per leggere i manifesti all’ingresso e il mio cuore di ’empie di gioia’.

Etnomusik Festival

Sono in prima fila ancor prima di spegnere il motore. Ovviamente becco l’ultima serata, che sta oltretutto per finire. Figuriamoci. Riesco però a vedere due performance, una di gamelan balinese e l’altra di danzatrici di Sumatra. Sumatra è proprio in testa alle classifiche questa settimana.

Gamelan balinese
Danze da Sumatra

Tornati a casa i nostri stomaci si spalancano come portelloni di un hangar militare, ma non ci pensiamo proprio a rimettere piede fuori. Parte l’improvvisazione: Daniel apre due zuppe di noodles pronte, ci ficca dentro uovo, soia e non so che altro per renderle presentabili, ottenendo una cosa davvero buona. La magia degli Indomie: noodles istantanei dal condimento chimico, ce ne sono corsie piene nei supermercati, sono tipo i nostri 4 Salti in Padella, ma in comodi pacchettini rettangolari.

Indomie
(Anche alle patate)

Andiamo così a preparare le borse da viaggio. Questo fine settimana si va a fare un giro Solo e dintorni. È il secondo viaggio che faccio su due ruote, e dato l’esito del primo non sto nella pelle. Tempo di scordare la batteria della Canon in freezer tre ore (non so chi mi ha dato questo consiglio) mi congratulo con me stessa per l’ennesima trovata geniale e vado a letto.