Voci dal nord

Capitolo 22 – Turku: sagre e rollercoaster

«Sembrano tutti un po’ suonati dal sole che non tramonta, come da un infinito ramadan».

(Paolo Rumiz, Trans Europa Express)

19 luglio 2013

Ore 9.02

Treno per Turku

Treno – aggiungerei – pulitissimo, comodissimo e ultraccessoriato. ovviamente, quelli in cui dobbiamo passarci due ore fanno invidia ai salotti di Maria Antonietta, mentre quelli in cui passiamo le notti sono delle latrine in rottamazione.

Siamo in partenza per Turku, cittadina sulla costa occidentale del sud della Finlandia che, come già accennato, sarà meta di puro interesse turistico. contiamo di non finire a farci la costa a piedi o a nuoto.

La notte è stata una favola, di una comodità inaudita. Sonni celestiali come neonate nel fagotto della cicogna. C’è stato solo un piccolo episodio notevole. Svegliata nel bel mezzo della notte da un impellente bisogno di fare pipì, ho la malaugurata idea di metter piede fuori dalla camera. Il salottino che fa da anticamera è buio, ma percepisco delle presenze. Mi giro istintivamente e sul divanetto alla mia sinistra scorgo due sagome vaghe. Poi gli occhi si abituano all’oscurità e comincio a vedere sempre più chiaramente. Due tizi seminudi in posizione inconfondibile mi guardano. Ci metto un po’ per realizzare cosa stia succedendo, ma basta a farmi riprendere totalmente dal torpore del sonno e filo subito dritta al corridoio. Arrivo alla sala comune… letteralmente, un bordello.

Gente sul bancone della cucina che si lascia ad effusioni tra il bollitore e il microonde (da domani solo panini), accoppiamenti di vario genere su poltrone, divani e ogni superficie libera. Sembra di essere in Eyes wide shut, ma senza maschere. Un po’ perplessa, entro in bagno. Fatto ciò che devo fare, mi appresto a lasciare Sodoma e a tornare a letto. Percorro di nuovo il corridoio e lascio aperta la porta che dà sull’anticamera il necessario a far passare uno spiraglio di luce, che mi consenta di azzeccare il chip sulla porta della camera. Ma una voce prorompe dalle tenebre: “Can you close the door please?”. Certo, mi ero scordata di quelli nel privé.

Stamattina sveglia alle 7.30, seguita da preparazione più o meno rapida e da caffè gentilmente offerto da ignaro ospite che lo ha lasciato incustodito nella credenza. Ci accompagniamo i dolcetti comprati ieri al mercato ai frutti rossi… con retrogusto di menta (mah). Sorseggiamo placidamente la nostra bevanda, mentre l’addetto alle pulizie si danna per pulire i residui dei bagordi serali (l’Empire è stato drasticamente demolito rilasciando chiazze di birra ovunque) e il pazzo continua ad aggirarsi in modo sinistro per l’ostello sbattendo cose.

Casa dolce casa.

Finita la colazione usciamo per la nostra gita. Prendiamo il 7A fino alla stazione e perdiamo dieci minuti a cercare il binario 13, dato che le indicazioni portano ad un vicolo cieco (proveremo a schiantarci contro un muro, nel dubbio che funzioni come per il binario 9 e ¾). Aiutate dal personale (che, per fortuna, è sempre disponibile) capiamo finalmente dove andare.

Ovviamente è il binario più lontano della stazione.

Ora, speriamo di arrivare a Turku con i nervi abbastanza saldi, nonostante il bambino che urla come un’aquila e la signora indisponente qui a fianco… è arrivata quando Fra dormiva e l’ha poco delicatamente svegliata scuotendola, pronunciando solennemente: “This is my seat, and you are occupying it”. Così, a vagone vuoto, ha ottenuto il suo posto, no millimetro in più, no millimetro in meno. Poi, appoggiato il giornale sul tavolino, ha pensato bene di levarlo e metterselo sulle ginocchia, dopo uno sguardo schifato al mio portadocumenti ad esso adiacente. Ora si gusta una deliziosa birra delle nove del mattino, sbuffando di tanto in tanto e scalciando, forse per reclamare più posto per le ginocchia che, tuttavia, non le sarà concesso. Avrei dovuto rimettere i pantaloni dell’Orso, forse si sarebbe appesa a testa in giù.

Poi qualcuno mi spiegherà perché si ostinano a mettere l’aria condizionata al massimo, con quindici gradi fuori.

Poco dopo

Sui sedili dell’altro lato del corridoio si è seduta una coppia di vecchietti che si tengono le mani e ridono come due giovani innamorati. Ci ricordano quelli di UP (il che rimanda immediatamente a: casa sulle rapide). Di fronte a me, due file più in là, si è invece seduto un signore in maglia verde e grasso, che mi fulmina appena sente una parola di italiano. Ci mancava l’esponente della Lega Nord finlandese. La spocchiosa signora del sedile accanto è scesa, salutandoci addirittura con un distinto: “Goodbye”.

Fra: “Mi sa che non è che so’ stronzi, so’ solo strani”.

H 18.00

Treno di ritorno ad Helsinki

[Il treno ferma a un posto chiamato Salo. Andiamo bene].

Grandi attrazioni alla ridente, soleggiata, caratteristica Turku. L’unica cosa medievale che abbiamo riscontrato sono i modi della popolazione. Comunque, gli intrattenimenti non sono mancati…

Scendiamo dal treno aspettandoci davvero poco e trovando altrettanto. Demoralizzate in partenza, ci avviamo per il corso che porta verso il centro, fermandoci per la consueta tappa caffè più razzia di beni primari (tè, zucchero, fazzoletti). Proseguiamo tra la sfilza di supermercati e negozi di ogni tipo, più o meno turistici. Il clima che ci accoglie oscilla tra cambiamenti repentini dal sole africano a bufere occasionali. Entri in un negozio a luglio, esci a gennaio. La nostra attenzione è inizialmente captata dal mercato tradizionale al coperto che, come quello di tutte le altre città, è costituito da un piccolo e grazioso edificio di mattoni rossi ed è caro arrabbiato.

Affascinate dal banco del pesce, la cui vetrina esibiva delizie di ogni tipo (salmone affumicato, polpette, wurstel e insalate, il tutto fatto con pesce fresco) ci piantiamo lì davanti in ammirazione. Poi vediamo i prezzi. Prese letteralmente ‘a pesci in faccia’, e con le solite tortine di patate come acquisto consolatorio, ci imbuchiamo in un Lidl intercettato sulla strada, per fare scorte per il pranzo. Troviamo qualche offerta su yogurt e insalate, uscendo felici e contente. Soprattutto la sottoscritta, che ha acquistato un cartone da un litro di yogurt ai frutti rossi e una confezione della vistosa insalata di rape rosse, il tutto infilato nella retina anteriore della borsa perché dentro non entrava. Il solito tocco di stile.

La spesa

Dopo un giro (non so se più fast o più furious) al mercato all’aperto, che non presentava niente di nuovo rispetto a quello di Kokkola o di qualsiasi altra città visitata, ci dirigiamo verso il centro. Poi scopriamo che il centro era quello. Ci guardiamo in faccia con la tipica espressione da “Che facciamo?”, che solitamente non preannuncia niente di buono. L’idea era quella di vedere il castello sul mare, ma scopriamo che è situato molto fuori dalla città e vorremmo evitare le solite scarpinate e salassi di pullman. Continuiamo, quindi, a fare ciò che sappiamo fare meglio: camminare a vuoto.

Ma la fortuna ci viene incontro a braccia aperte o, meglio, a tendoni spiegati. Lungo la riva del fiume c’è una fiera, ma soprattutto, una fiera culinaria! Ci immergiamo tra i vari stand che espongono prodotti di varie nazionalità (Thailandia, Lapponia, Inghilterra, Italia…), tutti corredati di generosi assaggi di ogni bene alimentare. Inutile dire l’esito, abbiamo praticamente pranzato a suon di assaggi. L’antipasto è stato gentilmente offerto dalla Regina con formaggi, marmellate e biscotti. Poi siamo passate alla terra che ci ospita per il main course a base di carne, wurstel, salami e altre marmellate al peperoncino servite su pezzetti di pane e burro. Dalla Finlandia ci siamo spostate su in Lapponia per la specialità del giorno: renna in scatola con pane di segale. Il banco dimostrazione arnesi per la julienne ci ha gentilmente offerto il contorno di verdure sminuzzate (“Mostrati interessata e ammucchia le carote” cit.). Il tutto è stato completato da un dessert made in Italy con parmigiano e cioccolata, consumati in silenzio.

Ma la cosa più saporita è stata decisamente quella che ho consumato ad un banco di salse e spezie.

Fra: “Assaggia questo budino alla vaniglia, è buonissimo”.

Me: “No, preferisco un po’ di mandorle a scaglie”.

Così, preso un bel cucchiaio pieno, metto in bocca e mastico con gusto. Dopo un secondo comincio a diventare di ogni colore e cerco disperatamente un fazzoletto.

Fra: “Che succede?”

Incespico con la bocca piena e le lacrime agli occhi, finché non trovo un cestino e sputo tutto. Quindi, racimolo la dignità necessaria per esclamare: “Era aglio”. Fra provvede subito a ficcarmi un biscotto inglese in bocca (tipo il sultano con Iago in Aladdin).

La sagra di Turku

Soddisfatte dell’abbuffata, usciamo finalmente dalla fiera, ma non a mani vuote. Abbiamo acquistato, non so come né perché, tra un boccone e l’altro, due boccette di olio per massaggi. Cercherò di ricostruire la vicenda.

Passeggiando beatamente a pancia piena e facendo discorsi degni delle migliori rubriche di cucina (arraffano cibi a caso qua e là e si sentono degustatrici di classe), veniamo tradite dalla parlata italiana. Una venditrice di oli curativi, in trasferta da Monterotondo per promuovere i suoi prodotti nelle fiere finlandesi, ci adesca con molta facilità (causa pancia piena a gratis e dunque facile disponibilità e amore per il mondo) e ci incastra a provare il suo olio miracoloso. Inermi, ci facciamo spalmare l’unguento sul collo e dietro le spalle e ce ne andiamo scettiche nel più totale menefreghismo. Tempo due minuti e una crescente sensazione di rilassatezza, che non provavamo più da prima dell’Orso (ma forse da prima dell’inizio del viaggio), investe le nostre membra. Come non avessimo mai avuto zaini sulle spalle. Ci fiondiamo subito indietro ad acquistarne due flaconi. Stasera ci faremo il bagno credo.

Tanto perché ormai la gita ha preso la piega di uno di quei viaggi organizzati per vendere prodotti commerciali agli anziani, andiamo in chiesa…

…la chiesa…

Ce ne andiamo ricordandoci che, in fin dei conti, c’è sempre il museo di Sibelius.

Chiuso.

Dico solo che l’orario di apertura era dalle 11.00 alle 16.00 Avere ventiquattr’ore di luce e sfruttarle malissimo.

La chiesa di Turku

Avendo ancora un’ora di tempo, prima della partenza del treno, andiamo a perderne un po’ al centro commerciale. Portiamo a casa una felpa di Seppala, da sostituire alla cosa che si agita nello zaino, e un’altra busta della spesa… con una stampa a tema cocomero. Ad un certo punto cominciamo ad avvertire una certa pesantezza e ci rendiamo conto di avere sullo stomaco non solo il thailandese di ieri sera ma anche l’assortimento di specialità dal mondo da poco degustate. In mancanza di Biochetasi a portata di mano, corriamo a bere litri di Coca-Cola zero. Mentre ci scoliamo acidi corrosivi a tutto spiano, diamo il tocco di classe al tour cominciando a sfogliare il volantino del Lidl. Poi però ce ne rendiamo conto e cambiamo intrattenimento.

Dopo aver aperto l’opuscolo guida della città di Turku, aver constatato che esiste una TURKU CARD, e aver subito richiuso, optiamo per il momento culturale: lettura del depliant illustrativo con la storia della cattedrale di Turku, la più antica ed imponente chiesa luterana finlandese. Se non altro, sappiamo per certo che non vedremo mai le altre.

Innumerevoli sostanze chimiche e nozioni di architettura dopo, ci alziamo e facciamo rotta verso la stazione. Lungo il tragitto notiamo i graziosi lampioncini a forma di gabbiano, appesi a dei cavi che corrono da una parte all’altra del corso principale. La Coca-Cola ha fatto effetto, anzi, ci è anche rivenuta fame. Seguono grandi spuntini sul treno a base di pretzel, tortine alle patate, prosciutto, frutti rossi ricoperti di cioccolato bianco e yoghurt al gusto di vaniglia e ribes. Come non detto. Ora che il mio alter-ego malvagio si è stanziato sul sedile accanto (un tizio che scrive un diario mentre mangia banane e mi fissa ad intervalli regolari) mi sento più sollevata.

Me: “Fra, pensa, a Londra ci sono dei musei dell’orrore, con degli attori che si spacciano per turisti in fila come te e poi ti fanno prendere un colpo all’improvviso perché fanno qualcosa di inaspettato…”.

Fra: “Eh, pensa, qui ce l’hai gratis, ovunque”.

Ore 23.42 (ma nonostante ciò, di là la festa continua)

Ostello, camera 203

Nella sala comune c’è la solita movida Helsinki by night. Noi ci siamo ritirate nelle nostre stanze in vista dell’alzata di domani, alle 5.30. Abbiamo il treno alle 7.02 per una città dal nome impronunciabile ma che comunque sembra molto bella. Da lì effettueremo un altro spostamento ad una città vicina che pare offra un suggestivo spettacolo di apertura di una diga con sottofondo di musica dei Nightwish (ci stiamo attaccando a tutto).

Tornate in quel di Helsinki, alla fine, non contente della giornata poco faticosa, decidiamo di andare al parco divertimenti. Io avevo puntato le montagne russe, che si vedevano dal finestrino del treno, sin dal nostro arrivo. Non vedevo l’ora di provarle e cercare attrazioni affini. Fra un po’ meno. Era più sul genere casa stregata e trenino degli gnomi.

Arriviamo al parco divertimento Linnamäki dall’entrata gratuita (si fa il biglietto singolo ad ogni gioco), che non è diverso dagli altri parchi divertimento: tre attrazioni per adulti miste ad una schiera di trenini, casine, percorsi fantastici e negozi di giochi e dolciumi. Ci sono anche un paio di fast-food, un cinema e una sala giochi e il tutto è molto colorato e ben tenuto. I bagni delle donne sono a tema stanze di principesse, con pavimenti, lavandini e porte color rosa confetto e stampe di rose sulle pareti. Ci sono fiocchetti, tendine, specchi e brillantini ovunque… più che fare pipì ci prenderei il tè. Ma la cosa più sorprendente è che fosse gratuito.

Il bagno

Dopo un giro di ricognizione, prendiamo la mappa con la posizione e la classificazione delle giostre. Tentiamo di trovarne qualcuna da fare insieme ma demordiamo subito. Le mie scelte sono:

UKKO – Giostra che prende il nome dal Dio del tuono, e questo la dice tutta. Consiste in una salita verticale su una torretta al 100% di pendenza (stipati a testa in giù in un vagoncino) per poi essere scaraventati giù, prima trasversalmente (facendo vari rintorcinamenti da non capire più da che parte sia la terra e da che parte il cielo) e poi giù a picco. Ma non è finita, c’è una leggera risalita e una ricaduta a piombo repentina, per poi culminare con il ripercorrere tutto il percorso a ritroso.

Ukko
Tuoni e fulmini

KIRNU – Dalle fattezze e procedimenti simili al precedente, la differenza sostanziale risiede nel fatto che, al posto del solito vagoncino, vi sono singoli sedili che ruotano su sé stessi mentre compiono quel bel po’ di giravolte sul binario. Decido di farlo per primo.

Kirnu

Fra, dopo aver scartato la casa dei trabocchetti e quella delle streghe, si accontenta di assistere al mio destino, seduta su una panchina di fronte ai macchinari, mentre faccio giravolte nel vuoto e rimango sospesa con le gambe a penzoloni su tutta Helsinki. Per riprendermi un attimo tra un gioco e l’altro, ci facciamo un giro in cerca di attrazioni più lievi e magari gratuite, da fare in due.

Puntiamo subito il trenino delle miniere… come se non ci bastasse passare già la maggior parte della giornata nei treni veri. Oggi il controllore ci ha persino riconosciute e ci ha chiesto come mai oggi viaggiassimo solo due ore.

Dopo minuti passati a fare magre figure in fila con i bambini, scopriamo che il trenino non è gratuito e ripieghiamo vergognosamente sui nostri passi. Puntiamo quindi su una cosa che si chiama KOT-KOT, in onore di vecchie memorie (COTTERO, COTTERO…). Ovviamente è chiuso.

Trenini & co.

Dopo altre poche rinunce, decidiamo che non è destino, la vita devo rischiarla solo io. Torno quindi alle peripezie in aria. Faccio una fila immane, per ritrovarmi nel vagoncino da sola. Ignoro il bimbo che mi guarda speranzoso dal suo sedile scompagnato e, stoica, decido di cavarmela da sola. All’inizio la tensione è al massimo. Sono sola, sospesa a testa in giù, in un trabiccolo che sale perpendicolarmente, sempre più in alto, ad una lentezza disarmante. Poi di colpo giù, via, nel vuoto. Il vagone comincia a precipitare torcendosi come una vite e non capisco più dove sono. Apro gli occhi un secondo, vedo Helsinki dall’alto, in obliquo, li richiudo. La parte più bella è alla fine, quando il vagone risale di nuovo la torretta perpendicolarmente e si ferma a metà per poi ricadere in giù a peso morto e venir rimbalzato su di nuovo fino al punto di torsione e ricadere a peso morto nel vuoto, lasciandoci un po’ a mezz’aria, prima di scendere del tutto. Scendo in preda alla scarica di adrenalina, più iperattiva di una pulce su un pastore maremmano, e corro pimpante a raccontare l’esperienza a Fra… che non c’è più. La intravedo nel negozio di dolciumi e la raggiungo.

Fra: “Me ne sono dovuta andare, mi è venuta ansia solo a guardarti”.

L’ansia

Acchiappiamo borse e sacchetti di dolci e imbocchiamo la via dell’ostello tra la mia parlantina incessante e Fra che arrancava esausta. Un quadretto delizioso. Se aggiungiamo poi il fascino dei sobborghi di Helsinki, tra grigie palazzine decrepite impilate come scatole di scarpe, tra le quali si scorgono locali malfamati e macchine di altri tempi, l’affresco è completo (“Credo di aver visto una Delorean” cit.).

Imboccato il marciapiede dell’ostello, penso che non vedo l’ora di levarmi i vestiti di dosso e chiedo un parere a Fra: “Dici che pare brutto se mangio nella sala comune in pigiama?”. Neanche termino la frase che vedo una delle ospiti davanti al portone, in calzini. Non credo che mi farò problemi.

Tornate alla base, troviamo la sala comune e la cucina piene di vita. Ci sono un sacco di persone nuove anche se, del resto, l’occupazione principale rimane sempre la stessa: affogarsi di birra. Dunque, nel comfort più totale, posiamo le borse, prendiamo le nostre insalate scadute, il pacco di pane formato sopravvivenza e delle pesche e ci mettiamo al tavolo grande a consumare tutto in santa pace… più o meno.

Fra: “Ila, oddio, c’è quello che sbatte le cose”.

Me: “E vabè, lascialo sbattere, tu hai i tuoi hobby, lui sbatte le cose”.

Fra: “Ila, uno sta aprendo un cartone di latte… con un cacciavite”.

Abbiamo continuato a desinare senza battere ciglio. Poi, non contente di aver fatto un pasto sano (una volta tanto), optiamo per degli extra. Il tutto nasce dal fatto che, mettendo le mie cose nel frigo, l’occhio cade sullo scomparto del cibo comune. Fra punta le polpette con patate di quelli di ieri sera (senza pasta, fortunatamente), e saccheggia tutto spudoratamente. Ma non finisce qua… ci sono due omogeneizzati al gusto di pesca e di frutti rossi, lasciati probabilmente dalla mamma con la bambina che erano qui ieri. Arraffiamo a quattro mani e ci facciamo un bel dessert, spalmandoli sulle ciambelle di pane dolce. Un ragazzo passa davanti a noi e ci sorride. Concludiamo il tutto con il tè gentilmente offerto dal fast-food di oggi, al gusto vaniglia e lampone, buonissimo. Ora, il piano era vedere qualche informazione su Internet e buttarsi in letargo.

Spin-Off:

Vado in bagno. Mentre mi pettino, entra una ragazza con i pantaloni inzuppati di roba biancastra che sembra yogurt. Mi sorride, tenta di pulirsi con la carta assorbente, fa un disastro, continua a sorridere, rinuncia, esce. Uscendo mi vedo una chiazza di roba bianca davanti alla porta. Scavalco e tiro dritto, giurando di non uscire dalla camera per tutta la notte, a costo di fare pipì nel portapranzo. Poi va al bagno Fra, e torna con una nuova amica: “Mentre mi lavavo i denti è entrata una che si è vomitata l’anima, poi mi ha chiesto di dove fossi, gli ho detto di Roma e ha cominciato ad elencare tutte le città italiane. Poi è entrata un’altra italiana, lei gli ha chiesto di dove fosse, anche lei ha detto Roma e ha ricominciato ad elencare le città. Nel frattempo vomitava”.