«Ingannevoli o promettenti, le luci della città brillano ancora».
(Marc Augé, Non luoghi)
18 luglio 2013
Ore 6.48
Stesso treno, stesso posto
Niente di nuovo. Anche perché ho dormito fino a venti minuti fa. Questo treno è stato il letto più comodo di tutto il viaggio.
La nottata è trascorsa piuttosto tranquillamente, a parte il freddo cane che, verso le quattro del mattino, mi ha costretta ad inerpicarmi sul sedile e a mettermi ad armeggiare con lo zainone in cerca di qualcosa di caldo, sacco a pelo escluso (volevo evitare le solite gag poco gratificanti nel caso di risveglio esatto alla nostra fermata). Alla fine ho optato per la felpa grigia, reduce dell’Orso, che avevo deciso di bruciare.
Ed è così che mi ritrovo il diciotto luglio a rischio di assideramento in un vagone di seconda classe, imbacuccata in canottiera, felpa leggera, felpa pesante (il cui peso è ulteriormente aggravato da quello dello sporco) e giacca di pile spessa due centimetri.
Per nostra fortuna, stavolta i casi di approccio si sono ridotti a tre:
- Il ragazzo di fianco a Fra che, in mancanza del cucchiaino, mangia lo yogurt utilizzando il tondino di alluminio di chiusura arrotolato a cono e ci sorride cercando apprezzamento per l’idea geniale.
- Un tizio con un colbacco che si sveglia di soprassalto (facendomi prendere un colpo), si mette a cercare disperatamente qualcosa mettendo tutto a soqquadro dimenandosi in ogni direzione. Poi ritrova il suo tappo per le orecchie, sotto al sedile, se lo rimette senza batter ciglio e torna al suo sonno.
- Un vecchio ubriacone di fronte a Fra che ci fissa di continuo per tutta la notte, biascicando di tanto in tanto qualcosa in chissà che lingua, come se capissimo perfettamente.
Il maniaco non ce lo risparmiamo mai.
In tutto ciò mancano circa due ore all’arrivo. Attendiamo con ansia lo sbarco all’ostello, sorseggiando un tè del Campo Base, fatto istantaneamente, con acqua calda sottratta al vagone ristorante e ciambelle di pane dolce troppo insipide per essere vere.
Quasi quasi mi faccio un altro sonno.
Ore 10.15
Stazione di Helsinki
Cafè con WiFi
Eccoci qua. Sedute davanti a 2,20 euro di caffè, alla ricerca disperata di un posto dove posare i bagagli e dormire la notte, una sorta di base operativa che ci permetterà di fare qualche gita nel sud della Finlandia, prima di salpare per Tallinn, nella cara Estonia.
Il tizio del Centro Informazioni ci ha accolte con un: “Ad Helsinki ci sono solo sei ostelli, potete cercarli da sole o chiedere alla collega qui a fianco che vi aiuterà al costo di otto euro”. Gli ho chiesto, quindi, se ci fosse un Cafè con il WiFi nelle vicinanze. Per otto euro ci includo pure pranzo, cena e ‘facilities’ (vedi: fazzoletti, bustine di zucchero e tutto il solito bottino).
Probabilmente passeremo le prossime notti in un dormitorio femminile di un ostello poco lontano dal centro, per un totale di 92 euro a persona… che non è esattamente quello che ti aspetti di pagare per una camerata di un ostello, ma è il più economico che abbiamo reperito finora.
Io continuo a dare capocciate alla lampada sopra al tavolino, vai a capire perché.
Ci siamo fatte un’ultima oretta di sonno sul treno, finché la sveglia non è arrivata come una granata dritta nella trincea. Ho persino sognato che sentivo la sveglia ma non riuscivo a spegnerla e l’inesistente signora del sedile dietro si arrabbiava a morte. Il bello è che, nel frattempo, la sveglia reale suonava davvero ma io non la sentivo, tanto che Fra ha dovuto scuotermi.
Ora, attendo Fra che è andata ‘a caccia’ al supermercato, in cerca di una colazione decente. Poi ci metteremo in cammino verso l’ostello e vedremo cosa ci attende. Io mi tengo pronta al peggio, sempre e comunque.
Ore 13.00
Sala comune del Cheap Sleep Hostel
Inutile dire che l’ostello era a tre chilometri di scarpinata dalla stazione.
Ed inutile dire che non abbiamo pensato neanche per un istante di prendere una qualche sorta di trasporto.
Con bagagli sempre in aumento, sempre più pesanti e sempre più malmessi (vedi: busta della spesa contenente mutande, computer, caricabatterie, spesa e deodorante, gettati dentro alla rinfusa senza alcuna logica), loro non demordono: vanno a piedi.
L’ostello comunque ci piace. Il check-in si fa alle 14.00 ma attendiamo temporaneamente stanziate sui divani (che abbiamo colonizzato con tutta la nostra mole di bagagli), usufruendo nel frattempo di tutti i servizi disponibili: bagni, docce (con asciugacapelli), cucina (con moka, microonde e scatole di cibo comune impunemente depredata), TV, radio e WiFi.
Sembra di essere a Disneyland.
Diamo una veloce rassettata ai bagagli e decidiamo che la prima tappa sono le docce. Dopo varie passate di Lysoform, sapone, shampoo e deodorante, indossiamo dei vestiti puliti e frulliamo tutto l’outfit dell’Orso in blocco nel cestino dell’immondizia.
Stasera celebreremo l’addio ai germi.
La mia faccia rivede persino un filo di trucco, quasi non mi riconosco. Avremmo voluto pranzare ad un ristorante a buffet di cui Fra mi ha parlato prima del viaggio, dove una delle specialità è la renna ma ovviamente era chiuso. Ora siamo alla ricerca di un degno sostituto per stasera, visto che ci eravamo ripromesse ‘la grande abbuffata’, dopo giorni di sussistenza a zuppette insipide, noodles viola, carne scaduta, pane stantio e barrette. In realtà ci ha anche invitate il ragazzo della Reception ad una bevuta collettiva insieme agli altri ospiti, ma non siamo ancora sicure di esser pronte per il debutto in società. Nel frattempo attendiamo che si liberi la camera, cioè i letti, sostanzialmente. Fra naviga su Internet, io finisco di scrivere ma mi sa che tra poco vado a depredare il supermercato qua sotto di ogni forma di frutta e verdura reperibili. Trovandoci in periferia mi aspetto costi ragionevoli.
Comunque non è mancata la gag mattutina. Seduta al bar della stazione, appena posata la penna, mi vedo Fra di ritorno con la busta dell’S-market e una faccia alquanto contrariata. Appena giunta al tavolo, esordisce con: “Sono dei ladri, sono stata cinque minuti a litigare con la cassiera che non voleva darmi il resto della banana, perché dice che in Finlandia non esistono le monete da uno e due centesimi”.
Ogni giorno ce n’è una nuova.
Ore 21.40
Sala comune dell’ostello
Sedute in compagnia di tizi che tentano di costruire l’Empire State Building in lattine di birra
La situazione è critica. Ci sono persone ubriache marce che tentano di impilare lattine per costruire un grattacielo in mezzo alla sala. Altri consumano piatti di pasta mischiata con polpette e patatine fritte. C’è qualche solitario che armeggia in cucina o traffica con computer e cellulari e qualche luminare che legge tascabili sul proprio materasso o si dedica alla redazione di diari di viaggio (la concorrenza). Tutto ciò è molto accogliente, ci stiamo calando nell’atmosfera (a parte i colpi che pigliamo ogni volta che casca il grattacielo di lattine). Fra si districa tra bucato, tè e altre diligenti faccende domestiche. Io, nel dubbio, scrivo. Piantata qua in mezzo ad un grande tavolo, osservo e scrivo.
Oggi è stata una giornata all’insegna del turismo frivolo: passeggiate cittadine, struscio davanti alle vetrine con i saldi, Cafè, ristoranti, mezzi pubblici. Un tuffo nei tempi moderni. Tuttavia, ci siamo accorte che tutto ciò non è così riposante come credevamo. Abbiamo preso possesso dei letti, in una stanza inaspettatamente carina e pulita. O forse la nostra percezione del ‘carino e pulito’ è stata irreversibilmente distorta dopo gli ultimi tre giorni in una baita sulle rapide. Le compagne di stanza sembrano carine e gentili (ancora ci chiediamo come mai). Lasciamo gli zainoni accanto ai letti e i beni di valore – computer, Reflex, CD dei festival e spesa… che credo ormai metterò anche nel mio testamento – nelle cassette di sicurezza personali e, libere e felici, usciamo con una borsa e uno zainetto semivuoti e un aspetto rispettabile.
[Nel frattempo, sono riusciti ad erigere il grattacielo di lattine, mentre si è appena seduto qui vicino un pazzo che ha sbattuto la sua cartella sul tavolo facendo sobbalzare tutto e poi ha cominciato a biascicarmi cose e a ridere. Ci siamo rifugiate sui divani. Fra sta parlando su Skype nascosta dietro una signora. Ora il pazzo ha acchiappato la cartella ed è uscito, si è sentito un botto immane. Figuriamoci se andava tutto liscio].Prendiamo il tram 7A e scendiamo al porto, per farcela a piedi fino alla stazione (nota bene: quando il tram ci sarebbe arrivato comunque, recidive). Prima il dovere: placchiamo un’addetta alla linea ferroviaria e ci facciamo dare tutti gli opuscoli con le tabelle orarie dei treni che vanno nelle località vicine, per programmarci le gite dei prossimi giorni. Poi il piacere: cominciamo subito col barricarci nel negozio di dolciumi sotto la stazione e a fare incetta di cioccolate e frutta secca (tanto perché volevamo passare al cibo sano…). Quindi è il momento più atteso: shopping selvaggio. Rinnoviamo completamente il guardaroba. Ora che sono finiti i tempi di vita selvaggia e ci siamo disfatte di quasi tutti i cenci distrutti da venti giorni di interrail, abbiamo bisogno di un nuovo look cittadino. Ci tuffiamo nei saldi di Seppala, H&M, Cube e Stockmann. Ne usciamo con dei pantaloni fluo, magliette a pois (ovvero tutta quella serie di rimasugli dei saldi estivi che quasi ti darebbero in regalo pur di non ritrovarseli nei magazzini) e pacchi industriali di calzini e leggins da sostituire a quei tremendi cimeli bucati trascinati per treni e boschi e disintegrati dai lavaggi nelle rapide. Se lo scopo era passare inosservate, non ci stiamo minimamente riuscendo. Andremo in giro come due evidenziatori, ma almeno non dovremmo più lavarci col Lysoform (spero).
Alle 18.00 ci ritroviamo distrutte, a barcollare in preda a spossamenti e cali di pressione, come se avessimo appena rifatto un terzo del sentiero di trekking (mai sottovalutare le battute di shopping sotto i saldi). Dunque, ripieghiamo su un caffè al Mc Donald’s, che ormai è quasi un quartier generale. Ne approfittiamo per studiarci un po’ le mappe e vedere cosa offrono i dintorni. Domani abbiamo deciso di andare a Turku: città medievale con suggestiva chiesa e castello, museo musicale dedicato a Sibelius con vasta collezione di strumenti musicali e diverse attività didattiche. O almeno questo è quello che sostiene la guida.
Dato che il caffè locale ha gli stessi principi attivi di una caraffa di valeriana e che il nostro colorito tende sempre più ad un bianco Rovaniemi a gennaio decidiamo, stoiche, di alzarci ed andare a cena… alle sei e mezza del pomeriggio. Ma non potevamo accontentarci di una cena qualsiasi. Adocchiato un fast-food thailandese dietro l’angolo, la decisione è unanime: è buffet. Un massacro. Come mettere due orsi affamati in un mercato del pesce. Ci fiondiamo più volte su ogni portata, a scanso di dignità. Ingurgitiamo di tutto: verdure di ogni sorta, involtini primavera, insalata di cozze, pollo, carne di maiale, tofu, chili di ananas a fettine, cetrioli e pomodori consumati sconditi, zuppa, tè… e bagno. Ci alziamo più malconce di prima, con i postumi della battaglia di Legnano tra l’intestino tenue e il crasso (capitolato non diciamo dove). Decidiamo quindi di fare “una passeggiata” per smaltire… e ci facciamo mezza Helsinki.
Tutto a piedi, compreso il percorso del tram.
Rintronate come due campane suonate a festa ci aggiriamo per il corso principale, aleggiando tra i negozi rimasti aperti, girovagando senza senso, in cerca di qualcosa che attiri la nostra attenzione. La troviamo: il banchetto promozionale del caffè espresso. Finisce che andiamo ad elemosinarne una tazzina senza troppe cerimonie.
Fra (alla promoter): “Excuse me, can we have some coffee?”
Promoter: “Do you mean the recharge?”
Fra: “No no… coffee!” (mimando il gesto di bere).
Scrocchiamo il primo vero caffè, dopo diciotto giorni. Poi continuiamo vagabondaggi random, sbattute qua e là dall’eterno divenire e dal fato, raminghe, per decidere infine, barcollando, di riprendere la via del ritorno.
Le cose vanno più o meno così: ci mettiamo ad aspettare il tram 1, ma ci stufiamo dopo neanche due minuti. Andiamo a piedi fino al mercato del porto e aspettiamo il 7B, ma ci stufiamo dopo neanche un minuto. Cominciamo ad andare a piedi fino all’ostello. Per fortuna intercettiamo il tram a cinque fermate dalla destinazione e ci decidiamo a prendere finalmente il mezzo pubblico (peraltro, profumatamente pagato).
Tornate alla base, cominciamo a fare quello che stiamo tentando di continuare a fare salvo molestie dai vari maniaci occasionali. Abbiamo appena cercato su Internet informazioni sul parco divertimenti di Helsinki ma il sito è impazzito ed è diventato tutto in cinese. Niente, gettiamo la spugna, andiamo a farci un sonno. Continuano ad accadere episodi tipo questo: vado in camera, tento di aprire la cassetta di sicurezza, ma non ci riesco. Mi incaponisco per diversi minuti, finché non capisco che è inutile se invece della tessera dell’ostello utilizzo quella dell’autobus.
Come dire, siamo arrivate al capolinea.
Ore 23.00 (credo, perché di là si è placata la baldoria)
Comodo letto a castello
Fra, qui sopra, sgranocchia e legge Proust.
Io non ho sonno. Non ho niente da fare dato che il Kalevala è stipato nella cassaforte tra le ciambelle e i CD di Maari. C’è una fantastica lucina inestinguibile sopra il cuscino che, unita alla botta di espresso, è la mia rovina. Come se non bastasse, signora del letto di fronte fa gesti nel sonno, accompagnati da suggestivi “ciu-ciu-ciu-ciuf”. Mi ritrovo a fissare l’attenzione su tutto ciò che mi circonda. Il letto è dell’IKEA (“giochiamo in casa”, penso). Una tizia armeggia con il mio zaino, forse per spostarlo. La guardo male. Demorde. Mi sa che il coltello serve più qua che nel bosco.
Nel dubbio, continuo a scrivere il diario.
Prima di andare alla stazione, dato che siamo scese al porto, abbiamo deciso di fare un giro al mercato. Dopo aver constatato che quello all’aperto era il consueto salasso (le solite vaschette striminzite di frutti rossi a sei euro, la prossima guida che ne parla prende fuoco), siamo entrate in quello al coperto… non smentendoci affatto. Il tutto si è risolto in razzie di assaggi, gola per cibi inaccessibili come il salmone e la renna a 98 euro al chilo e acquisto consolatorio di dolcetti ai frutti rossi e al rabarbaro… scaduti. Non c’è verso.
Abbiamo ritrovato lo stesso negozio di frutta secca che era stato la nostra droga ad Oulu (Punnitse e Saasta) a due fermate dall’ostello. Non se ne esce.
La città sembra più grande e bella rispetto alla prima volta. Non capiamo ancora se sia un giudizio oggettivo o se sia solo l’ennesimo effetto di distorsione/riconsiderazione della realtà post-Orso.
La gente qui si veste non tenendo assolutamente conto delle stagioni. Ho visto combinazioni tipo: top e shorts con scarponcini e cappello da neve o cappotto e sandali senza calzini. Manca solo qualcuno in bikini e dopo-sci.
Comunque credo che cercherò di dormire o domani mattina rischio di non svegliarmi in tempo per prendere il treno… alla signora, ad esempio, è già partito.
Ciuf ciuf!
(cfr. COTTERO)