Karantina

Capitolo 6 – Giorni 7 e 8

«I remembered the old doctor – ‘It would be interesting for science to watch the mental changes of individuals, on the spot.’ I felt I was becoming scientifically interesting».

(Joseph Conrad, Heart of darkness)

Yogyakarta, 13 aprile 2020

Giorno 7

Lunedì di pasquetta.

Oggi è una bella giornata soleggiata.
Mi sono svegliata addirittura alle undici ma il sole non è comunque sorto.
Domani provo alle dieci.

Ho fatto colazione coi resti del pane all’uvetta e il cioccolato bianco superstite e mi sono messa subito a fare cose produttive. Finalmente ho riaperto il blog, da novembre. Chi lo avrebbe mai detto. Ho riletto e corretto i post vecchi e poi mi sono buttata sulla mole di diari formato cartaceo e Word per preparare i nuovi articoli.

Sono stata interrotta solamente dal Pak Satpam (l’uomo della sorveglianza) che mi ha portato le ricevute delle spese mensili del complesso residenziale (luce nei vialetti esterni, servizio raccolta spazzatura, acqua dalla pompa e sorveglianza).
Le ho pagate di buon grado, pensando che almeno ho ancora un tetto sulla testa. Per quanto…

La mia coinquilina è risorta solo per mandarmi una reazione su un qualche post su qualche social media, senza minimamente chiedere come stessi o menzionare il fatto che se n’è andata da più di una settimana nel silenzio totale.
Quindi ho pensato bene di bloccare il contatto, il che è più uno sprone mentale del tutto personale ad andare avanti in questa quarantena solitaria, senza dover dipendere da nessun altro, con le mie uniche forze e senza alcuna aspettativa che le cose andranno meglio.

La pausa pranzo ha visto protagoniste le polpette di ieri con la ricotta finta, pane stantio e serie TV. Ho fatto persino il caffè giavanese con la moka.
Se non sto attenta qualche giorno esplodo.

Ora sono le 15.30 ed è bellissimo avere la sensazione di aver già fatto qualcosa durante il giorno.

Yogyakarta 14 aprile 2020

Giorno 8

Ieri alla fine non ho fatto granché. Ho finito di scrivere alcuni interventi sul blog, il che mi ha preso buona parte del pomeriggio e della sera.
L’ultimo articolo in realtà l’ho scritto a notte fonda ad un romantico lume di candela ad una meno romantica fragranza di citronella per tenere lontane le creature notturne che i campi di riso ci offrono.

Postazione notturna

Poi mi sono letta un po’ di libro sull’amaca.

La sera ho fatto un curry di verdure pazzesco con la salsa gulai (che in realtà si usa per la carne ma il galateo culinario è proprio l’ultimo dei miei problemi).

Gulai

Poi mi sono resa conto di avere bloccato la coinquilina e che d’ora in poi sono definitivamente sola, il che mi ha causato un’altalena di stati d’animo ci si potrebbe stilare una tesi di dottorato in psichiatria ad Harvard.

Anche oggi sono stata abbastanza produttiva.
Stamattina ho pulito tutta casa, ho raccolto i panni, rimesso a posto varie situazioni disagiate.

Ad un certo punto mi è finito il gas, quindi mi sono incollata la bombola vecchia in motorino e sono andata a ricomprare quella nuova dalla solita vecchietta al chiosco a pochi metri dal complesso residenziale, sulla Parangtritis.
Dato che ormai vado armata di maschera e hand sanitizer anche per andare al cesso, ho pensato di comprarne una scorta, sempre al chiosco della signora del gas, che è uno di quei chioschi che vendono tutto e niente, dalle uova sode salate (che chissà perché le mettono sempre sul bancone dei pagamenti come fossero snack di quelli che butti dentro all’ultimo per gola) all’anti-zanzare.

Sono tornata a casa interrogandomi sul perché il verde acqua (il colore delle mascherine) si chiami tosca in indonesiano (pronunciato con la ‘c’ dura contrariamente alla regola). Mai capito perché questo nome da eroina tragica per un colore così neutrale.
E questo è il tipo di quesiti esistenziali che ti suscitano giorni di reclusione (prossimamente su Harvard Press).

Caricare la bombola piena di gas sul motorino su una strada ad alto scorrimento senza semafori è un’esperienza che raccomando di fare a chiunque una volta nella vita.
Va tenuta, esattamente, tra la ciabatta del piede destro (perché mettere le scarpe, in fondo?) e la carena del motorino, pericolosamente in bilico, mentre la sinistra assume tutti gli oneri di sosta e fermata.
Anche allacciare bombole di gas è qualcosa che raccomando. Specialmente quando hai tubi e fornelli sderenati che perdono come sbagli un centimetro.
Il problema rimane il gallone d’acqua, quello non so proprio come caricarmelo da sola in motorino.

Ah, stamattina ho fatto i pancake. Così, tanto per dire una cosa simpatica e colorata tra la valle di desolazione e lacrime che è questa quarantena all’addiaccio. In realtà non li ho fatti io, ho schiaffato nella padella di teflon (uno dei pochi ritrovati di civiltà in casa mia, rispenderei ogni singola rupia) quelli surgelati comprati al Superindo. Ci ho messo papaya fresca, dragon fruit e sciroppo di latte condensato.
Un altro pasto decente e instagrammabile portato a casa.

Colazioni tropicali instagrammabili

A pranzo ho improvvisato una pasta con margarina dolcissima (probabilmente per dolci), il formaggio del Via Via e il lada putih (il pepe bianco indonesiano, la spezia di sempre).

E lì è dove ho capito che mi era finito il gas.
Ho mangiato pasta semicruda dolce piccante.

Poi ho fatto una cosa bellissima, cioè, su consiglio di amici e genitori credo tutti segnati all’albo alcolisti anonimi, mi sono cimentata nella sfida quotidiana: il limoncello fatto in casa. Ho utilizzato l’alcol al 95% che mi era avanzato dall’hand sanitizer fai-da-te, più tre limoni e qualche clementina giavanese.
L’ho ribattezzato ‘clementello’.
E questo è un altro prodotto culinario e mentale della quarantena.

Ricetta del clementello

Ingredienti:

  • Alcol 95% avanzato da misure anti crisi pandemica (quanto basta)
  • Tre limoni (o quanti ne puoi reperire nel paese dove ti trovi pagandoli  un occhio)         
  • Clementine (o qualsiasi agrume tu riesca a racimolare nel paese in cui  ti trovi)
  • Zucchero di palma (perché qui ne hanno tipo 7 varietà tra cui non rientra quello bianco banalissimo)       
  • Acqua non potabile (rigorosamente senza bollirla prima)
  • Una bottiglia qualsiasi (tanto dati gli ingredienti l’estetica è proprio l’ultimo pensiero)
Gli ingredienti

Procedimento:

Pela accuratamente i limoni con coltello storto, unico utensile tagliente in casa eccetto un paio di forbici fuxia da prima elementare.

Dopo ore ed una fatica immane per non prendere il bianco del limone, sbuccia comodamente le clementine e maledici gli agrumi dalla scorza dura.

Metti tutte le bucce dentro una borraccia ermetica, perché questo passa il convento.

Aggiungi alcol quanto ne entra e schiaffa in un luogo ‘buio e asciutto’.
Ai tropici.
Correggo: schiaffa dove ti pare tanto non cambia niente.

Aspetta due settimane per aggiungere lo sciroppo di zucchero e magari nel frattempo prega divinità locali che non sia venuto una schifezza.

Fine.

Poi ad un certo punto ha piovuto.
Ma una sgrullata di cinque minuti, così, giusto per bagnarmi l’amaca.

Stasera farò Yoga, per rimettermi in pace coi sensi.

Poi ho in mente un’altra ricetta micidiale: pollo con limone e farina di maizena, accompagnato da funghi giapponesi antropomorfi dalla confezione inquietante.

Funghi giapponesi antropomorfi inquietanti

In realtà la giornata dello Yoga era ieri, secondo il mio calendario scritto a mano che continuo ad ignorare, ma non mi è proprio venuto in mente di consultarlo, appunto.

E un’altra fruttifera giornata di reclusione ai tropici sull’orlo del crollo psichiatrico è andata.