Buio.
Torna indietro
Torna all’estremo
Campo lungo
Riavvolgi la pellicola.
Ora è inverno.
Inquadra l’ultimo frammento
Ruote, mattoni
Una casa di cemento in un piazzale spento
E stop.
Panoramica.
Taglia tutto
Recupera metri di nastro magnetico
Caduti all’interno del tuo tormentato Ego
La tua camera oscura a cinque stelle cadenti
I cuscini consumati da troppe partenze.
Niente finestre ad illuminare l’ennesima attesa
Ma tu non hai mai fretta
Stira la bobina, finché non sia abbastanza tesa
Superficie liscia e levigata, recidiva,
Conta gli addii in un breve lasso di tempo
Non un’increspatura emotiva.
Immagine che scorre continua
Fotogramma dopo fotogramma
Senza pausa, senza tregua
Successione di statiche immagini amorfe,
Cime innevate, radici contorte.
Un anonimo ruscello di un paese di montagna,
Una classica immagine di tendenza, che ristagna
L’ennesima scalata, l’ennesima capanna.
Silenzio,
La colonna sonora è spenta.
Solo un lieve ronzio della macchina da presa
Un rumore di copertura, che sopperisca
Alla totale mancanza dell’effetto sorpresa
L’ennesima città in atmosfera natalizia
Un atterraggio su una scogliera.
Minuti e minuti di immobile paesaggio.
Carrellata frontale, fiori di maggio
Templi induisti, un Canyon
Nuvole e rotaie, crepacci
Un occhio d’aquila sorvola la barriera
Ancora più in alto, non sei mai sazio
Avanza, finché non smarrisci ogni ancoraggio
Ora spegni la telecamera.
E stop.
Adesso dimmi
Come ci si sente
A perdere definitivamente ogni senso dello spazio.