Voci dal nord

Capitolo 17 – Quarantunesimo chilometro

«[…] ho cercato di scrivere in luoghi come una capanna di fango africana (la testa avvolta in un asciugamano bagnato), un monastero del Monte Athos, una colonia di scrittori, un cottage di brughiera, persino una tenda. Ma quando arriva una tempesta di sabbia o comincia la stagione delle piogge o un martello pneumatico annienta ogni speranza di concentrazione, sempre mi maledico e mi domando: “Che ci faccio qui?”».

(Bruce Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza)

14 luglio 2013

Ore 15.40

Casetta di legno a Juussakampi (non prenderei i nomi alla lettera)
Vicino al focolare

Chilometro quarantunesimo su ottantadue

Siamo a più di metà percorso e sono passati due giorni e mezzo.
Due trattori.

Dopo essermi svegliata alle 8.50 e aver constatato che ero l’ultima dell’alloggio ad aver aperto gli occhi, mi chiedo dove fosse Fra. I suoi bagagli sono belli e pronti ma di lei non c’è traccia. Butto uno sguardo oltre la finestrella e la scorgo in lontananza, seduta vicino al fuoco con gli altri ospiti. “Che bello”, mi dico, “avrà stretto amicizia”.

Invece no, continuano a non darci la minima confidenza, e a ragion veduta.

Durante la colazione, Fra mi spiega che in realtà ha fatto una lunga chiacchierata con uno dei pescatori, che l’ha ampiamente scoraggiata dal fare l’ultimo tratto del percorso. A detta sua, è un vero e proprio massacro. Pare che lo abbia già fatto in passato e che se lo ricordi come un susseguirsi di erte, dirupi e montagne, molto più impervio rispetto al primo tratto in cui, almeno, ci sono dei sentieri da seguire. Con i nostri zainoni è impensabile riuscire ad arrivare alla fine indenni, dunque, ci invita a desistere. Siamo indecise sul da farsi. In realtà speriamo ancora in un cenno da Sofia che ci dica di mollare tutto e raggiungerla nell’estrema Lapponia dalla cara nonnina Sami.

La nostra sofisticata colazione a base di tè alla fragola e biscottini al cioccolato con crema di menta, non regge il confronto con quella degli altri ospiti. Fusilli per la famigliola (loro senza pasta a colazione proprio non iniziano la giornata), innaffiati da generose sorsate di whisky per la signora, e per i pescatori aringhe affumicate, cetriolini e burro su pane di segale che impestano l’intera casetta di un odore infimo, da voltastomaco.

Appena escono mi metto a spruzzare il deodorante come una casalinga frustrata.

Tempo di ripiegare stuoie e sacchi a pelo, e tappezzarci di cerotti, fasce e impacchi di Lasonil e Foille, e siamo pronte a ripartire. 

Il programma sarebbe: 

→ 8 Km fino a Juussakampi – qui pranzo al punto fuoco e riposo alla casetta, più rifornimento scorte d’acqua bollendo l’acqua del fiume.

→ 6 Km fino ad una tappa dove dovrebbe esserci una tenda lappone, dove passeremmo la notte.

Durante il cammino non facciamo pause, tranne che per fotografare il cartello che indica il quarantunesimo chilometro (l’esatta metà del percorso) e il significativo totem lasciato lì da qualche simpatico avventuriero: un bastone con sopra un calzino conficcato.

Qualcuno è arrivano fin qui con dei calzini, beato lui.

Insegne gloriose

Macinati questi otto chilometri tutti d’un fiato (ormai sotto ai dieci è come scendere a comprare il latte al bar) ci fermiamo, come previsto (una volta tanto), in questo luogo bellissimo. Fra sta dormendo su una comoda stuoia lasciata dai francesi (che, si, abbiamo finalmente rincontrato) mentre io faccio l’amanuense, come al solito, a rischio di cadere a faccia a vanti sul diario da un momento all’altro.  Questo posto comunque è un sacco trafficato. Appena arrivate ci siamo trovate davanti un viavai di persone indaffarate a cucinare, mangiare, purificare borracce d’acqua… erano inconfondibili: i francesi. C’era persino l’allegra famigliola (che ormai ci portiamo appresso da due tappe) seduta su una panca a mangiare… pasta. Quando se ne sono andati ci sentivamo come due adolescenti che hanno ‘casa libera’. Subito dopo però sono arrivati una giovane coppia rasta e i due pescatori, con le loro acciughe e cetriolini al seguito. Nel dubbio, gli scrocchiamo un po’ di caffè solubile. Ci danno due bustine di Nescafè Gold… scadute nel 2010.

Niente, è proprio un vizio.
Dovrò farmi dei vaccini prima di tornare a casa a mangiare cibo sano.

Altra sosta, altra tappa
…altro tetto (sport nazionale since 2013)

Il menu del pranzo però non ci è dispiaciuto (nel senso che comunque non è stato peggio di altri):

ME:

– Polpette confezionate (e scadute) scaldate sul fuoco con la verza rossa

– Tortine careliane (scadute ed intramontabili)

FRA:

– Zuppa di cipolle e ketchup (è diventata una cosa compulsiva, me lo aspetto anche nel tè una mattina di queste)

Mentre facevamo scaldare l’acqua per sterilizzarla, una delle ragazze francesi ci ha regalato una di quelle pastiglie per rendere l’acqua potabile… dopo averci prestato fornello, coperchio e manico del portapranzo.

Quasi ci mancava che le chiedessi le chiavi dell’auto.

Qui dentro si sta una meraviglia. Il legno, il tepore del fuoco, il paesaggio che si scorge dalla finestra, la riva del fiume…  Credo che crollerò per un po’, prima di riprendere i lavori di bollitura dell’acqua. Ho già pulito il portapranzo (usando un ciuffo di aghi di pino come spugnetta, una fragranza alpina meglio del Sole Piatti).

Ore 17.00

Resurrezione. 

Sono caduta in un coma per poco più di un’oretta e mi sono svegliata che non c’era più nessuno, a parte Fra. Ora ci rimettiamo in marcia sperando di arrivare per tempo alla tenda lappone, anche se i pescatori, diretti là anche loro, sono partiti da un bel po’.

Ore 20.45

Ylikota, chilometro quarantanovesimo

Tavolino di tronchi sulla riva del fiume, di fronte alla tenda lappone

Ho appena lavato nel fiume le scarpe ancora incrostate di fango dai fasti del giorno precedente. Ormai ho il mio metodo collaudato con spugnetta alla fragranza di pino lappone, freschezza nordica e pulito due in uno. Ho anche colto dei fiori viola a forma di spiga per legare i capelli, in assenza di elastico. Tra poco useremo ossa di animali come stoviglie.

Fra è dispersa nei dintorni a fare foto, in infradito e calzini.

Come otteniamo uno stralcio di riparo dalle intemperie ci sentiamo vacanziere all’Hilton.

Da qui odo le voci dei due pescatori finlandesi, intenti a prendersi un tè corretto al whisky in tenda. La famigliola ha abbandonato la compagnia, lasciandoci sole in presenza dei due compagni di acciughe e bevute. Nonostante sembrino molto amichevoli, abbiamo comunque pensato di premunirci di vere e proprie armi da autodifesa (non si sa mai) quali:

– Fedele coltellaccio a serramanico

– Bastone da montanaro con estremità appuntita

– Accetta e sega da boscaiolo reperite nel deposito legname

– Attrezzi per il fuoco

E poi c’è l’antizanzare russo, che magari trova la sua dimensione come spray anti-aggressione.

Per ora è solo un ottimo rimedio per capelli mossi, li fa lisci come seta. L’ho scoperto casualmente spruzzandomelo in testa dopo l’ennesimo pizzico (si, mi hanno punto anche lì, oltre che nell’orecchio, in fronte, sull’inguine, sul sedere e in altri posti che non si possono grattare in pubblico). Però hanno cominciato a pungere anche Fra, evidentemente su di me è terminato lo spazio. Comunque, digressioni a parte, siamo quasi più pericolose noi di loro. 

Il cammino dalla casetta sul fiume alla tenda lappone è stato breve e indolore, cinque miseri chilometri senza difficoltà di sorta. Alla faccia del percorso impervio e dei consigli di rinunciare. Fatto sta che stamattina siamo persino arrivate prima di loro alla casetta.

Le chiamavano IVECO.

Abbiamo fatto una sola sosta lungo il cammino per riempire tutto il riempibile con l’acqua di una fonte in cui siamo incappate.

La fonte
Fra in crisi, alla fonte
[Nel frattempo mi è planato addosso un moscerino morto, andandosi a schiantare sul foglio del diario, sulla parola IVECO… ha fatto un frontale].

L’acqua della fonte era fresca e buona, non ci pareva vero. Appena adocchiata tra le rocce, abbiamo gettato gli zaini e siamo corse a tuffarci la testa e a farne scorta. Anche perché tutte le bottigliette sono finite e quella bollita del fiume fa davvero schifo. Abbiamo riempito due bottiglie e la borraccia di Fra. Avrei tanto voluto riempire anche la mia borraccia termica militare capiente due litri ma non ho potuto… perché mi sono appena accorta di averla scordata in Russia. Ma non voglio parlarne oltre, è una perdita che brucia ancora troppo.

La discesa alla fonte (bonus dettaglio stuoia dei francesi)

Arrivate qui alla tenda lappone si è aperto un altro paradiso, ancora più bello dei precedenti. È ancora presto, siamo arrivate verso le sette e mezza del pomeriggio. Avremmo potuto fare altri chilometri ma abbiamo deciso di non sfiancarci e goderci questo posto. Anche perché domani dobbiamo spararci venti chilometri per arrivare all’altro Campo Base. Abbiamo quasi finito le scorte di cibo solido e necessitiamo davvero di una doccia vera, con del sapone. Avevo pensato di fare un altro bagnetto nel fiume ma fa troppo freddo. Anzi, non vedo l’ora di entrare al calduccio della tenda lappone, accanto al fuoco. E comunque, Fra ha trovato più cose oggi nel bosco che in un pomeriggio di shopping da Decathlon: una stuoia di ottima qualità, l’elastico e il manico del portapranzo (stesso modello, da non crederci), dello spago e un coltellino svizzero con manico in madreperla. Non ci possiamo lamentare.

Abbiamo anche visto una renna sulla sponda opposta del fiume. 

È tornata Fra. Vado a prendere l’acqua al fiume per preparare la cena.

La tenda lappone
Un’altra indimenticabile cena
Si è capito che la zuppa blu è il cavallo di battaglia

Ore 22.10

Tenda lappone

Sacco a pelo su panca davanti al fuoco       

Siamo distese nei sacchi a pelo al piacevole tepore del fuoco che si affievolisce sempre di più. I nostri coinquilini sono usciti a pescare e noi passiamo il tempo sgranocchiando frutta secca e raccontandoci aneddoti di episodi paurosi che ci sono accaduti. Due perfette scout attorno al fuoco.  È passato poco dall’ultimo aggiornamento ma abbiamo fatto comunque in tempo a combinarne una delle nostre. Abbiamo pensato bene di cuocere la nostra cena sul fuoco interno alla tenda. Premetto che qui dentro si vede pochissimo, essendo le pareti molto scure ed essendovi un unico foro all’estremità conica della struttura (che serve a far uscire il fumo). Una volta cotto il cibo, prendiamo i nostri tegami e ci trasferiamo sul tavolo in legno all’esterno, a mangiare beatamente cullate dalla brezza del fiume.

Pochi bocconi dopo.

Me: “Fra, hai del nero sul naso”. Lei si pulisce, poi comincia a fissare le mie mani. Fra: “Ma che hai fatto?”. Guardo le mie mani e vedo macchie nere ovunque. Non capiamo che stia succedendo, finché lo sguardo non ci cade sui tegami. Fra: “C’è qualcosa di diverso…”.

C’è che erano color alluminio, ed ora sono neri, completamente coperti di uno spesso strato di fuliggine, e noi stiamo imbrattando ogni cosa.

Corro al fiume a sciacquare tutto col supporto della mia spugna silvestre… e ottengo solo rigate di grigio qua e là e mani completamente nere. Decido di passare all’artiglieria pesante: salviette e Amuchina gel. Comunque, concordo con l’ecologia e tutto quanto… ma lavare senza sapone è come giocare a Tombola senza numeretti. Alla fine riesco a ripulire più o meno tutto… tranne l’interno delle mie unghie, che è nero come quello di un minatore siberiano.

Ylikota
Il massimo del comfort
Registrando memorie
Reparto cucine
Dettaglio del comodo giaciglio
[Fra m’informa dalla regia che ha appena buttato un altro paio di calzini. Domani forse toccherà alle mutande. Io continuo a tenermi caro l’ultimo paio rimasto, che continuerà fino alla fine tipo ultimo giapponese sull’isola, portandosi addosso il peso di buchi, sangue dalle innumerevoli ferite, litri di spray repellente e residui di fango. Sto prendendo in considerazione l’idea di andare scalza].

Detto ciò, vado a dormire. Il fuoco è quasi spento e non vedo più niente, sto scrivendo alla cieca.