Voci dal nord

Capitolo 14 – Oulu after dark

«12.00 PM. È una metropoli quella che abbiamo sotto gli occhi. La vediamo attraverso lo sguardo di un uccello notturno che vola alto nel cielo. Nel nostro sconfinato campo visivo, appare come un gigantesco animale. O un confuso agglomerato, composto da tanti organi avvinghiati l’uno all’altro. Un’infinità di arterie si protendono fino alle estremità di un corpo inafferrabile, vi fanno circolare il sangue e ne rigenerano di continuo le cellule. Trasmettono nuove informazioni, e raccolgono quelle vecchie. Comunicano nuovi bisogni, e raccolgono quelli vecchi. Portano nuove contraddizioni, e raccolgono quelle vecchie. Al ritmo di queste pulsazioni, il corpo si accende in più punti, si infiamma, si contorce».

(Murakami Haruki, After Dark)

11 luglio 2013

Ore 10.10

Ufficio Stampa del Kaustinen Music Festival

Come programmato, ci siamo preparate in tempo da concederci una tappa per rifornimenti, ricariche e scrocco degli ultimi minuti di internet – anche per avvisare amici e parenti che se tra due settimane non ci facciamo sentire dovranno venire a setacciare la foresta lappone.

Mentre sorseggio un caffè acquoso, addento dei biscotti e riempio zaini e tasche di panini e bibite. Fra naviga in cerca di orari di autobus, depositi bagagli e altre cose utili lungo il tragitto da qui a Oulanka. I nostri cellulari, apparecchi audiovisivi (e ogni altro aggeggio abbia parti elettroniche) succhiano corrente da ogni angolo della sala. Gli zainoni, sempre più carichi, attendono ben custoditi accanto al pianoforte verticale all’ingresso.

Ci godiamo gli ultimi gloriosi minuti da stampa.

Stamattina siamo particolarmente in forma grazie alla doccia ‘vera’, gentilmente offerta dal Centro Sportivo. Abbiamo persino usato dello shampoo liquido, non quell’orrore di shampoo a secco che pare la nebbiolina per il presepe. 

Alla fine, ieri siamo andate a letto alle due del mattino (più o meno quando il sole raggiunge l’oscuramento massimo) e ci siamo svegliate alle sette. Non che avessimo molto da fare. Dopo aver gustato le nostre care insalate al Kappelin Grill ed esserci fatte endovene di caffè (tipo quattro giri) siamo tornate al festival. Contrariamente alle nostre aspettative, la serata si è dimostrata piuttosto spenta.

Abbiamo passato la maggior parte del tempo a scambiarci contatti, saluti e promesse di incontri futuri con tutte le nostre varie conoscenze, tipo fine campo-estivo. Abbiamo persino rischiato l’ennesimo passaggio a gratis fino ad Oulu: il clarinettista polacco ce l’ha gentilmente offerto, ma sarebbero partiti alle dieci del mattino e come giustamente ha risposto Fra: “It’s too early”. Ci avrebbe pregiudicato il pit-stop all’Ufficio Stampa, per non parlare del depredamento della mensa a pranzo.

Abbiamo programmato tutto con estrema perizia.

Loro però non hanno colto e l’hanno presa come una botta di snobismo da italiane pigre (non potevano immaginare i meschini piani di sopravvivenza). Alla fine è comunque finita a pacche sulle spalle e inviti nelle rispettive patrie. 

Torno a godermi gli ultimi minuti di gloria. 

Ore 22.10

Mc Donald’s di Oulu

(C’è un concerto metal in atto qui fuori, e il cantante ha la voce uguale a Max Pezzali)

Come dire, tutte le strade portano ad Oulu.

Un po’, dobbiamo ammetterlo, ci era mancata. È esattamente la stessa ora (con i minuti esatti) dell’intervento scritto stamattina, ma in mezzo ci sono passati un treno e due pullman. 

Dopo aver fatto beatamente i fatti nostri all’Ufficio Stampa, ci alziamo e usciamo con massima nonchalance nel bel mezzo di un’intervista ufficiale di un gruppo di suonatori di kantele, non filandoceli di pezza.

Massima professionalità.

Tempo di reperire gli ultimi CD allo Shop ufficiale del festival e ci rechiamo a fare le ultime spese… a mensa. Giochiamo, per l’ultima volta e non senza una certa commozione, la carta dei PASS STAMPA… e mandiamo fallito il festival.

Posizionate ad un tavolo strategico all’angolo estremo della sala, lontane da occhi indiscreti, in un orario di minima affluenza (studiato tramite accurate statistiche), posizioniamo gli zaini aperti sotto il tavolo, i portapranzi sulle ginocchia, e portiamo a casa:

– Una decina di panini

– Innumerevoli bustine di ketchup, zucchero, tè e fazzoletti

– Montagne di spezzatino di pollo

– Chili di verdure lesse (prese a piene mani, letteralmente)

– Una decina di polpette e hamburger di manzo

– Cascate di verza

– Quantità improbabili di patate

Neanche stessimo andando a trascorrere trenta giorni in trincea in Manciuria.

Soddisfatte del bottino, andiamo a recuperare i bagagli all’Ufficio Stampa. Dopo l’ultimo addio, corriamo alla piazzola del Taboil per prendere il pullman per Kokkola… che arriva in ritardo. In compenso, ci fa pagare solo dieci euro e dieci centesimi (direi che è un numero che ritorna). Dovrebbe metterci quaranta minuti…  ma ce ne mette comunque cinquanta. Impieghiamo il tempo a stilare la lista delle ultime cose che ci mancano per il Sentiero dell’Orso (poi ribattezzato semplicemente l’Orso).

Il tizio accanto a Fra, colpito dalla parlata italiana, le chiede se conosce la parola ‘appuntamento’.

I passatempi non mancano mai.

Arrivate a Kokkola aspettiamo solo venti minuti la coincidenza del treno per Oulu, che ci impiegherà un’oretta. Ne approfittiamo per cominciare i travasi di borse e zaini (sempre in posti consoni) e selezioniamo le cose da lasciare nella cassetta di sicurezza e le cose da portare, cercando di smaltire più peso possibile (che, del resto, è dato più dal cibo che altro). E via al solito turbinio di calzini, mutande, asciugamani, scotch da pacchi, buste della spesa e altre meraviglie che strabordano su sedili, corridoio, scomparto bagagli… un’esplosione di forme e colori che neanche il Carnevale di Rio.

La signora accanto è emozionatissima, non scolla un attimo gli occhi di dosso dalla scena, quasi ci aspettiamo l’applauso.

Il tutto è reso più divertente da bambini che corrono come scalmanati avanti e indietro per il corridoio, facendo lo slalom tra i nostri beni personali.

Ma c’è da registrare un avvenimento importante: dopo ben undici giorni di viaggio, passati a spaccarsi la schiena, Fra scopre la potenzialità della fascia in vita dello zainone che, tirando le apposite stringhe rosse (che no, non erano un addobbo natalizio) si restringe adattandosi alla forma dell’addome e distribuisce così il peso in maniera uniforme, dimezzando la fatica.

D’altro canto io, dopo undici giorni di marcia con la sporta del cibo sempre in spalla, e dopo tre anni che possiedo questa borsa, ma soprattutto, dopo essermi procurata un livido permanente su una coscia a forza dello sbattimento della suddetta, scopro le potenzialità della cinghia: si accorcia, e ti diventa uno zaino monospalla, leggero come una piuma.

Giorni e giorni di inutili martiri (“crucifige, crucifige!”).

Come sempre, le scoperte liete sono accompagnate da quelle più amare. Con tristo rammarico, veniamo a sapere che il treno per Oulu non arriva ad Oulu. O meglio: bisogna cambiare a Ylivieska… con un pullman. Dunque, scese dal treno ci fiondiamo a caricare i bagagli sul pullman… sbagliato. Ovviamente l’autista non capisce un’acca d’inglese e creiamo il panico coinvolgendo a tradurre altri conducenti, uno dei quali, per fortuna (parola da prendere con le pinze), è quello del nostro mezzo.

Spostiamo tutto di nuovo e ci rimettiamo in partenza. Il tragitto Ylivieska-Oulu è caratterizzato da un lungo e irreversibile coma: sciolte come cremini sui sedili.

Ed arriviamo così ad Oulu, la vecchia, cara, ridente Oulu.

Prima incombenza: chiudere i bagagli di troppo nelle cassette di sicurezza. Un’impresa che del resto avevamo pianificato per giorni e dunque ritenevamo abbastanza semplice. 

-ERROR 404 (CONCEPT NOT FOUND)-

Mettiamo piede nella stazione (deserta) con le più rosee aspettative. Bracchiamo un signore baffuto che ha tutta l’aria di essere l’addetto al deposito, ed in effetti lo è. Il problema è che non sa come aiutarci, perché non capisce l’inglese (una serie di dejavú a catena).

Il prossimo che mi dice che nei paesi nordici l’inglese è la seconda lingua… già mi prudono le mani.

Siamo costrette a ricorrere ai soliti metodi drastici: adeschiamo un giovane barista che si presta, disilluso e scocciato, a fare da interprete. Riusciamo così a spiegarci e chiudiamo i bagagli in eccesso nelle cassette di sicurezza: due euro, per un massimo di tre mesi (come del resto ci aveva preventivato la tizia spettrale a Kajaani). Segue un classico: travaso in pubblico (potremmo seriamente cominciare a mettere su uno show). Cose che volano a destra e a manca sotto gli occhi basiti dei presenti.

Liberate da notevoli chili in meno, ci volgiamo alle altre commissioni. Abbiamo tempo fino alle otto e mezza di domani mattina, dato che non vi sono pullman notturni per Kajaani (stazione sciistica ultimo baluardo di supposta civiltà prima dell’Orso). Ovviamente, passare la notte in un ostello a riposarci (come farebbe chiunque con un minimo di buonsenso) è fuori discussione.

Liberazione dal bagaglio

Cominciamo col fiondarci nel nostro negozio delle meraviglie (Punnitse & Saasta) a far scorta di leccornie. Ci riforniamo di bustine di tutto: frutta e verdura essiccata di ogni tipo e aroma possibile, frutti rossi, uvetta e banane ricoperti di yoghurt al cioccolato bianco, noccioline e mandorle candite, croccantini verdi (che scopriremo al wasabi), e chi più ne ha più ne metta. La tappa seguente è la cosiddetta missione ‘cinta’ (“In indonesiano significa amore”; “Mmh… mi fa piacere”), dato che sto abusivamente utilizzando quella di Fra (“Mi si intona anche con la maglietta”; Mmh… mi fa piacere”). La mia cinta ha abdicato a Khumo, entrando a far parte della collezione pattumiére della ‘Maison du Noora’.

Dopo aver scartato varie possibilità in pittoreschi negozi locali (tra i quali la cosa più abbordabile era un affare in pelo acrilico di leopardo) propongo di puntare sul classico: H&M. Non trovo la cinta, ma trovo una maxi svendita di orribili pantaloni color caramello a tre euro, ed estirpo il problema alla radice (insieme all’ultimo barlume di presentabilità).

Ora si che sono pronta per l’Orso.

O meglio… quasi. Manca l’ultimo step, quello fondamentale, nonché il più atteso: la spesa. Proviamo prima con l’S-market, che stavolta ci delude. Dopo minuti e minuti di brancolamento nel buio (interrotto solo da saltuari colpi al cuore per i prezzi improbabili) riusciamo a prendere qualche zuppa pronta e dei biscotti. Ci dirigiamo quindi al K-market a pochi minuti dalla chiusura, convinte di non trovare nulla dato che di solito è il più esoso dei due. Ma con grande meraviglia, troviamo sconti e ribassi in tutti i reparti.

Ergo: ci fiondiamo a prendere il prendibile lottando contro il tempo. Sembra di essere finite in uno di quei programmi su Real Time. C’è da dire, del resto, che gli sconti sono tanti, è vero, ma che la maggior parte sono su cibi in scadenza. Non che questo ci faccia desistere dall’arraffare tutto ciò che possa costituire una scorta valida. La Russia ci ha insegnato tanto.

Dunque, riempiamo i cestini di zuppe precotte, scatolette di tonno, pacchi di wurstel e polpette per un esercito, acqua, cereali, barrette energetiche. Abbiamo decisamente scartato il concetto di ‘qualità’ e puntato tutto su quello di ‘sopravvivenza’.

Oltre che sui mirtilli del sottobosco.

Ora, il programma per la notte è:

– Coffe-break al Mc Donald’s fino alle 2.00 del mattino, che prevede attività di scrittura, lettura, consumo compulsivo di caffè a sbafo e organizzazione delle scorte di viveri.

– Eventuale trasferimento a pub con karaoke fino alle 4.00 (le mie idee malsane)

– Colazione al chiosco sul porto che, ci siamo informate, aprirà dalle 4.00 in poi (“Excuse me, what time are you open in the morning?”; “At four…”; “Thanks, see you tomorrow”; facia sbigottita).  

Ci concediamo un poetico giro al porto alla luce del tramonto (che rimarrà tale per ore) per beneficiare della meravigliosa atmosfera di quel luogo.

Più banalmente, ci serve un bagno pubblico.

Usufruiamo di uno dei bagni sulla piazza principale del porto, dando luogo ad uno dei più celebri episodi di accattonaggio di tutto il viaggio: furto di sapone liquido tramite accurato travaso dal distributore vicino al lavandino alla bottiglietta vuota.

Questa è… no, questo è troppo.

Dopo l’ennesimo bottino, ci sediamo finalmente sui gradini dirimpetto alle navi ormeggiate e facciamo qualche foto al tramonto. Dopo un po’ avvertiamo una musica provenire dalle immediate vicinanze. Ancora musica. Non ce la facciamo più. Dopo aver lasciato il festival, convinte di non voler più ascoltare nulla che si avvicinasse lontanamente al concetto di musica per un bel po’, siamo incappate in ben due concerti rock al centro di Oulu, senza contare il fisarmonicista all’angolo della strada, ed ora ci mancava il cantante country al porto.

Il porto di Oulu
Ricognizione provviste
Cena al tramonto
I tramonti di Oulu

Rimaniamo, nonostante tutto, finché il vento non comincia ad alzarsi notevolmente. Ci rintaniamo quindi al calduccio del fast-food, tirando fuori l’attrezzatura per passare le prossime ore: diario di viaggio, Proust e tazze di caffè. Pensavamo di concederci, finalmente, un po’ di tregua. Ma ce lo sentivamo, in qualche modo, che questo non era scritto nel nostro destino.

Dal momento in cui siamo entrate, scene surreali si sono succedute con una regolarità tale che, se non si fossero protratte per l’intera nottata, si poteva pensare che fossimo finite in uno sketch di un programma televisivo. Sembra di trovarsi in uno di quei film di Lynch in cui dopo un po’ non capisci più il confine tra il reale e il surreale. Tutto inizia davanti la porta del bagno, o meglio, davanti alla porta condominiale sul retro del locale, evidentemente adibita a bagno. Due tizi sostano lì davanti in totale tranquillità… per interminabili minuti. Alla fine Fra si decide ed entra senza troppi complimenti. Loro rimangono lì, imperterriti. Vorrei quindi procedere anche io ma il successivo stacco d’inquadratura me lo impedisce: nel fast-food entra una coppia di ubriachi (nella migliore delle ipotesi) di mezza età, apparentemente marito e moglie. Rimango inchiodata al tavolino con Fra a godermi la scena. I due si siedono al tavolo a fianco al nostro, sul quale vi sono vassoi stracolmi di cibo che loro cominciano a mangiare… in slow-motion. Non capiamo come ci riescano, sembrano un’illusione ottica. Mentre degustano il lauto pasto in stile moviola, ed in totale silenzio come fossero due sconosciuti, gli scappa di tanto in tanto qualche gesto random senza senso. Lei, con degli occhi spaventosamente allucinati, comincia a buttarsi ketchup e patatine sui pantaloni bianchi, con totale noncuranza. Lui, nel frattempo, fa strani gesti con le mani, come se stesse mimando una danza indonesiana, mentre afferra ad una ad una le patatine fritte, che compiono aggraziate giravolte in aria prima di entrare nella sua bocca. Poi passa all’hamburger, ma forse non gradisce: dopo avergli dato un morso a rallentatore, lo getta di scatto nel cartone come fosse un fazzoletto sporco. Al che, si mette ad armeggiare col cellulare.  (Fra: “Oddio, mo’ chiama ad Honolulu”; me: “Secondo me ora squillano i nostri ed è Scherzi a parte”). Rimane per dei lunghi minuti nella stessa posizione, fissando il cellulare, destando in noi dell’apprensione. Ad un certo punto accende la torcia, e quasi speriamo in qualche spettacolo pirotecnico, ma niente. Ormai siamo interessatissime alle loro sorti, è come essere incollate ad uno schermo TV in cui va in onda il reality del momento. Quando ormai tutto sembra perduto avviene il colpo di scena: la signora si alza e va in bagno (Fra: “Oddio, fermatela!”) rimanendoci per un buon quarto d’ora. Lui non vuole essere da meno: si alza di scatto, fa due passi verso l’attaccapanni situato tra i nostri due tavoli, vi attracca abbracciandolo placidamente per poi crollare a mo’ di casché della Carrà. Vediamo in un flash la nostra spesa guardarci con occhi spauriti da sotto la sedia. Abbiamo evitato la catastrofe per pochi centimetri. Ma lui non si arrende: si rimette in piedi, imbocca deciso la porta e se ne va per la strada, in balìa di sé stesso. Quasi vorremmo seguirlo con le telecamere, ma siamo preoccupate per la signora, che è ancora in bagno. Dopo altri pochi minuti di tensione eccola ritornare più in forma che mai. Si risiede al tavolo, non chiedendosi minimamente dove sia il marito (che a questo punto potrebbe essere chiunque visto che non si sono scambiati una parola). Tempo di finire di sporcarsi i pantaloni con le ultime patatine rimaste ed esce anche lei, là fuori, verso l’infinito e oltre. Ci mancheranno tanto.

Non abbiamo neanche il tempo di rimuginare sulla nostalgia che ne entra un altro, fresco fresco. Si tratta di un individuo sulla trentina con un berretto da basket e tanta voglia di nuove amicizie. Neanche mette piede nel fast-food che si accovaccia al tavolo di tre povere ragazze, le cui reazioni sono un misto di stupore/terrore/divertimento. Demorde quasi subito, e si avvia al bancone. Torna poco dopo da loro con tre gelati su un vassoio. Un cavaliere. Ma loro non sembrano apprezzare più di tanto: agguantano i gelati in fretta e furia, ed escono senza voltarsi indietro. Lui non si rassegna e cerca conforto dai signori del tavolo vicino. Speriamo che lo intrattengano a dovere dato che siamo il prossimo bersaglio sulla traiettoria. Già aveva tentato cenni di abbordaggio da lontano a Fra, che lei ha avvedutamente ignorato.

Ecco, ora è uscito, peccato.

Fuori un altro. Sguinzagliati per le vie di Oulu come i nasi rossi al Carnevale di Ronciglione.

In tutto ciò, vorrei seriamente andare in bagno ma i continui accadimenti me lo impediscono. È giusto tornata Fra dalla sua seconda spedizione con delle nuove: “Ho aperto la porta mentre qualcuno da dentro la stava già tenendo… un ragazzo e una ragazza mi guardano con un sorriso a trentadue denti… lei si stava lavando”.

Perfetto, non andrò in bagno. 

Aggiornamento delle 1.45

Abbiamo appena terminato una partita a NOMI, CIBI, COMPOSITORI, ELETTRODOMESTICI, LUOGHI, CARTONI ANIMATI e ordinato un gelato al caramello e una Coca-Cola. Gente di ogni sorta continua ad affluire al freak-show, reduce dai vari concerti rock. Io non so cosa si calano, di certo è che è roba potente. Noi rimaniamo qui al nostro tavolino, osservando con meraviglia tutto ciò che la fauna locale ci offre, come fossimo dietro la vetrina del serraglio delle meraviglie. Proprio ora, c’è una tizia al tavolo di fianco al nostro che parla accoratamente… da sola.

Dall’altro lato della sala, un tizio estremamente indeciso sul da farsi del suo panino (e probabilmente della sua vita) ci lancia occhiate agghiaccianti. Un tizio con un casco da bici in testa (N.B. senza bici) è appena uscito blaterando cose ad alta voce. Una tizia è appena entrata barcollando, è andata al bancone a farfugliare qualcosa ed è uscita. Toccata e fuga. Dalla strada arrivano delle urla. A questo punto voglio il Cappellaio matto.

Tra dieci minuti dovrebbe chiudere il fast-food (“Ho paura di ciò che c’è là fuori”).