Voci dal nord

Capitolo 11 – Un sorriso per la stampa

«[…] non è in questi luoghi sovrappopolati, dove si incrociano, ignorandosi, migliaia di itinerari individuali, che sussiste oggi qualcosa del fascino incerto dei terreni incolti, delle sodaglie e degli scali, dei marciapiedi di stazione e delle sale d’attesa dove i passi si perdono, di tutti i luoghi dell’incontro fortuito dove si può provare fuggevolmente la possibilità residua dell’avventura, la sensazione che c’è solo da “vedere cosa succede”?».

(Marc Augé, Non-Luoghi)

9 luglio 2013

Ufficio stampa di Kaustinen

Ore 10.20

Siamo sedute su un comodo divanetto, in attesa dei nostri PASS STAMPA! Grazie a tanta faccia tosta, le referenze del Sommelo e la lettera della nostra Università che continuiamo a sfoggiare tipo bolla papale, siamo riuscite a convincerli.

E chi ci ferma più.

La notte si è rivelata meno terribile di quanto pensassimo, abbiamo persino dormito…

Fino alle cinque del mattino, quando, aprendo gli occhi simultaneamente, abbiamo esclamato all’unisono: “Pipì!”, come due cuccioli di dinosauro appena usciti dall’uovo.

Dunque, sfidando la pungente brezza mattutina e l’umidità che scavava sempre più a fondo nelle nostre ossa, ci siamo fiondate, senza remora alcuna, tra le frasche.

Siamo riuscite anche a riprendere sonno…

Fino alle nove quando il sole, già alto come fosse l’una, ha cominciato a battere sulla tenda, creando un piacevole effetto serra (che nel nostro caso è stato più effetto microonde).

Poco desiderose di cuocere come due kebab nei nostri sacchi a pelo, decidiamo di alzarci. Provvediamo ad una sorta di igiene personale rudimentale con salviette disinfettanti e shampoo a secco in collaboration with acqua e sapone dei bagni del Centro Sportivo qui di fronte (che, del resto, a quanto ho capito, funge anche da centro amministrativo del camping).

Facciamo colazione al bar del Centro Sportivo con la solita acqua all’aroma di caffeina dal modico costo di due euro. Ma la cosa buona è che se ne può prendere a volontà…

Diamo fondo alle nostre scorte di cioccolata e di biscotti al caramello russi scaduti (che resistono ad ogni sorta di agente atmosferico, è incredibile, sto pensando di comprarne dieci pacchi e cucirci delle mantelline) e siamo pronte per andare all’attacco. 

Ed ora eccoci qua, con i cartellini al collo, a discorrere con un’etnomusicologa rumena che è venuta a fare riprese al festival per la sua tesi di laurea. Tra le altre cose, ci propone di andare con lei nell’estrema Lapponia, dove ha reperito dei contatti di cantanti di joik… cioè, con l’unica vecchina superstite che conosca la tradizione e che ci ha messo due mesi per convincersi in quanto, pare, che rifugga gli stranieri come la peste. Dovremmo però aspettare che si convinca a riceverne più di uno, per evitare di fargli prendere un colpo e mandare alla malora tutta la tradizione. 

Comunque, inizialmente avevamo un programma (che non comprendesse imbucate a concerti e a ricerche altrui), giuro. 

Dai piani futuri torniamo, quindi, ai piani presenti e ci studiamo l’immensa programmazione del festival, per tentare di farci una scaletta dei gruppi che vorremmo vedere. Siamo ancora parecchio confuse, ce ne sono troppi in orari che si accavallano, e speriamo che alcuni non siano dei buchi nell’acqua. Abbiamo deciso che ci divideremo in alcuni casi per vederne di più e magari registrare qualcosa. Le scelte sono più o meno le seguenti:

15:00 – 15:45 – The Chipolats (UK)

18:00 – 19:00 – MenNaiset (Gruppo vocale femminile)

18:15 – 19:00 – Molvania Orkestar (BALKAN)

20:30 – 21:15 – Folk-Rock Oulu 

21:00 – 22:00 – Otava (RUSSIA) 

21:30 – 22:00 – Traveler’s Song (canti di migranti finnico-americani del XIX-XX secolo)

22:00 – 23:00 – Saaga Ensemble

23:00 – 23:30 – Septentrio 

1:00 – 2:00 – Eastband

Tanto lo so già che i piani cambieranno, inesorabilmente.

Ore 16:06

Prato dinnanzi la tenda

Sonno post-pranzo

Ci troviamo qui (o meglio, mi trovo: Fra è andata un attimo a sfruttare a sbafo la corrente dell’Ufficio Stampa) spiaggiate come foche su un banco di ghiaccio, a contemplare i nostri piani diabolici di occupazione del suolo finnico, cercando di far quadrare coincidenze di treni, pullman e altri mezzi di fortuna. Un lavoro iniziato stanotte al tavolo di un fast-food di periferia (cioè a cinquanta metri fuori dall’area del festival) e continuato impunite stamattina all’Ufficio Stampa, usufruendo abbondantemente di connessione internet, prese elettriche, divanetti e persino caffè, bibite e biscotti messi disposizione dei reporter.

Il resto della mattinata l’abbiamo trascorso, ovviamente, al supermercato.

Ora che viviamo in una tenda è d’obbligo reperire cibo che si conservi, a prezzi convenienti. Oltretutto, mancano pochi giorni alla partenza per Oulanka, dove ci aspetterà una settimana di trekking nella foresta lappone, abbandonate a noi stesse e agli orsi.

È stata dura, abbiamo combattuto tutta la mattina tra ribassi, offerte di cibo sull’orlo della scadenza e tentativi di rapina a “cassa” armata: abbiamo rischiato di pagare due euro per TRE foglie di insalata, poi Fra l’ha (sin troppo educatamente) lasciata sul bancone. Tutto questo per poi scoprire che, in quanto stampa, abbiamo lo sconto sulla mensa del festival. Ergo: con sei euro abbiamo diritto ad un buffet illimitato che comprende primi, secondi, contorni, insalate, pane, bibite, frutta e dolci a volontà.

E così, cariche di buste come muli, ci fiondiamo a prendere posto al primo tavolo libero. Totò e Peppino tornano trionfanti.

Tra l’altro, incontriamo inaspettatamente Maari, che ci accoglie (ancor più inaspettatamente) con sorrisoni, baci e abbracci. Ci dice che si esibirà stasera alle sei. La stessa ora dell’orchestra balcanica… sarà un’ardua scelta.

Ma tornando alla mensa, inutile dire le quantità di cibo (vero) arraffate. Sembravamo Timon e Pumbaa nella puntata in cui si ritrovano nel buffet di insetti, mancava solo la salsetta che colava dal mento. Prendiamo praticamente di tutto: pesce alle erbe; non so quante polpette con una salsa buonissima; verdure con tofu; non so quanti piatti di verdure miste (verze di tutti i colori, insalate, pomodori, patate, rape rosse); panini su panini bianchi e ai cereali; succo al lampone a fiumi e caffè. Siamo sull’orlo dell’indigestione.

Segue, pertanto, saggia scelta di spiaggiamento pro digestione, prima di inoltrarci nella lunga serie di concerti che andranno avanti fino al mattino.

Ecco, è tornata Fra. 

Ore 20.45

Cafè Mondo

Concerto dei Kammarti (gruppo folk-rock di Oulu)

È una sorta di pausa tra un gruppo serio e l’altro.

Ci accomodiamo ad un tavolo di questa sorta di biergarten a vedere questo gruppo che non potevamo perderci. Mettiamola così: un gradevole break senza impegno e un omaggio alla cara Oulu. E non andiamo oltre.

Il folk-rock di Oulu

Dopo la pausa post-pranzo, abbiamo deciso di andarci a massacrare nell’immenso reparto dischi dello shop del festival (“crucifige, crucifige!”).

Fra ha trovato il suo amato CD sul Kalevala che cercava da secoli, grazie ad una botta di fortuna della sottoscritta.

Fra e la commessa cercano forsennate il suddetto CD in tutti i reparti. Io, con tutto il candore del mondo, punto il ditino su un CD che a prima vista mi sembra interessante e chiedo ingenuamente: “Fra, secondo te, questo è attendibile o è un’altra patacca?”.

Fra si volta, butta un’occhiata incerta, poi s’illumina come avesse visto il quinto mistero di Fatima e ci si butta a capofitto esclamando: “Oddio l’hai trovato, ti adoro!”.

Sorvolerei sull’acquisto della maglietta del festival taglia 10-11 anni “Perché quelle da adulti sono brutte”.

Alla fine decidiamo di andare a vedere la performance di Maari per darle un’altra possibilità e perché, comunque, con i gruppi di orchestre balcaniche non si sa mai che ti capita.

In effetti la performance era meravigliosa, le voci di Maari e le sue colleghe sono impeccabili, praticamente sembrava di aver messo il CD.

Decidiamo di fare un agguato a Maari e compagnia, una volta finito il concerto, per riprovare a fare l’intervista (che non hanno mai voluto concederci a Khumo, tra una scusa e l’altra) sfoggiando i PASS STAMPA che, tra le mille altre cose, ti danno il diritto di prenotarti l’intervista all’Ufficio Stampa con i musicisti che richiedi.

Parte il placcaggio molesto. Attendiamo fuori dai camerini volteggiando come avvoltoi su un canyon.

Le risposte che riceviamo sono più o meno queste:

TIZIA A: “Io non sono dottoressa sono solo una performer, è meglio che chiediate a TIZIA B, o a Maari”.

TIZIA B: “Mi spiace, sono venuta qui con la mia famiglia, devo badare ai bambini, chiedete a Maari”.

Maari: “Mi spiace, vorrei vedere degli amici che si esibiscono, magari più tardi o domani mattina, vi lascio il numero”.

(N.B. il prefisso non esisteva).

Ci incamminiamo gravate dall’ennesima delusione da parte delle comari finniche, sotto la pioggia.

Decidiamo di rifugiarci sotto il tendone principale del festival, sotto il quale si stanno esibendo dei ballerini russi e altri finlandesi. Facciamo un po’ di riprese e poi accorriamo a questo concerto di “folk-indi-country-rock” e Dio sa che altro, in attesa dell’inizio delle Traveller’s Song alla Folk House.

Abbiamo, come previsto, deviato dal piano che ci eravamo fatte. Ma qui è tutto un magma incandescente di artisti, musicisti, generi musicali, i gruppi si esibiscono in ogni angolo, non solo nei locali appositi, nei tendoni o sui palchi allestiti, ci sono band che suonano nei negozi, nei piccoli supermercati, persino in bagno! È un’overdose sonora! Penso che ci servirà un po’ di sano riposto acustico tra i boschi.

La stampa
L’altra stampa

Ore 22.05

Festival di Kaustinen, nella mischia

Folk Music House

Abbiamo trascorso minuti di fila interminabili per entrare qui, roba che neanche all’ufficio postale. Abbiamo rischiato alzare di mani da una vecchietta ultras che non avrebbe rinunciato per nulla al mondo ad un posto in prima fila.

Ma eccoci qui, in prima fila (grazie ai favolosi PASS STAMPA) a vedere il concerto di questi tre vichinghi finlandesi altri tre metri e vestiti da cowboys che, accompagnandosi con contrabbasso, ukulele e armonica a bocca, cantano stornelli in finlandese, apparentemente divertentissimi (dati gli scrosci di risate del pubblico). Nel dubbio, la buttiamo sulla fiducia e abbozziamo di tanto in tanto qualche sorriso, ammiccando alla vecchietta in brodo di giuggiole.

La location è suggestiva: una casetta in legno tipo baita di montagna arredata con gusto retrò e cimeli da C’era una volta in America sparsi sulle mensole. 

Poco dopo

La performance è finita. Il pubblico è in delirio.

Dovremmo rimanere qui per il concerto successivo ma non abbiamo voglia di un altro tuffo nell’America dei primi del Novecento (“Me pare de sta sul Titanic” cit.).