Voci dal nord

Capitolo 9 – Un tuffo nello ‘scadente’ passato sovietico

«Lo sfascio si vede sempre dalle periferie degli imperi».

(Paolo Rumiz, Trans Europa Express)

8 luglio 2013

Russia

Ore 7.40

Solito pullman
Destinazione Sconosciuta

Ci hanno detto che stiamo andando ad un’altra cittadina russa, ma non ricordo proprio il nome.

Cantano. Ancora cantano.

Il pullman è fermo, in attesa di salpare dallo spiazzo dinnanzi l’hotel, e le signore cantano.

Il gruppo di Maari, dopo aver passato una nottata all’insegna della vodka (“Me so ‘mbriacata pure io solo a staglie vicino” cit.), essendosi giustamente perso la maratona canora notturna delle signore, pensa bene di recuperare.

Io non ce la faccio più. 

Tra l’altro, stamattina è stata partorita l’ennesima idea diabolica. Udendo come due comari impiccione dal parrucchiere i discorsi del tavolo accanto, siamo venute a conoscenza di una serie di fattori interessanti: la band polacca, subito dopo aver fatto ritorno a Kuhmo, si dirigerà a Kaustinen (nel sud-ovest), dove pare ci sia un altro festival di folk music, ma molto più grande e commerciale dell’elitario Sommelo… e ci andrà col pulmino privato! Ergo: ci siamo accollate subito sfoggiando sorrisi e faccia tosta.

Siamo in attesa di sapere se ci sono abbastanza posti per noi e i nostri bagagli, che in caso potremmo anche affidare un altro po’ a Noora o lasciare in qualche cassetta di sicurezza. Tanto poi dovremmo comunque risalire al nord per andare ad Oulanka (altra tappa fondamentale del nostro interrail etnomusicologico). 

È stato un azzardo dell’ultimo minuto ma, se riesce, si prospetta estremamente entusiasmante.

Data la lieta novella, smetto di scrivere visto che come al solito è cominciata la rassegna di buche. Tra l’altro a colazione ho mangiato un tremendo pane con burro e basta. Di marmellata non se ne parla.
Temo per il mio stomaco. 

Pullman

Appena passata la frontiera russo-finnica

Ore 13.00
(Secondo l’orologio del pullman, ma non prenderei troppo alla lettera le indicazioni orarie finché siamo ad una latitudine definita)

Tutto questo tempo lo abbiamo trascorso in viaggio.

Le distrazioni principali sono state: cibo, lettura e intercettazioni furtive agli interessanti discorsi tra il leader della band polacca e il team di Maari riguardo il festival di Kaustinen (dove stiamo tentando di imbucarci).
Tra l’altro, ci siamo intascate un po’ di fantastici fagottini alle mele offerti da Maari, tanto per incrementare la nostra modesta scorta. 

Facciamo la solita sosta più per frasche che per altro e continuiamo la lunga traversata.

Tempo di finire metà libro e arriviamo alla città russa di Kustamo (o Kustammo, o Kustaamo, non garantisco sulla traslitterazione) per un rapido pit-stop allo scopo di pranzare e acquistare souvenir.
Dopo un lungo giro in scadentissimi negozi, che vendono per lo più articoli di moda sino-sovietica usciti dai gloriosi anni ’90, riusciamo anche noi a fare il nostro acquisto: uno spray repellente per zanzare, dalla dubbia etichetta color magenta, con scritte in cirillico e zanzare formato cartone animato.

Boh.

Insomma ci infiliamo nell’unico posto possibile: il supermercato. 

E qui si apre la galleria delle meraviglie: ci sono ogni sorta di dolciumi e biscotti dai gusti nuovi, con confezioni dalle scritte dubbie e ultra kitsch; cibi pronti e zuppe solubili dal dubbio aspetto e dagli ingredienti improbabili e altre delizie esotiche. Purtroppo, non possiamo permetterci di acquistare nulla dato che lo spazio rimasto è poco (vedi scorte immonde ingiustificate e insensate) ed il viaggio è ancora lungo.

Ma poi accade: troviamo loro, i MULINELLI. Cioè i biscotti finti della Mulino Bianco, con scritte in russo e in italiano, di un tipo mai visto in Italia, ripieni di vari gusti tra i quali fragola e caramello.
Li afferriamo a quattro mani senza dubbi, anche perché costano soltanto l’equivalente di un euro. 

I mulinelli

Ne approfittiamo, visti i prezzi, per procurarci anche un pacco di caffè solubile e un bel pacco di frutta secca (ci ritorneremo dopo).

Usciamo dal supermercato in cerca di due fondamentali necessità: frutta fresca e sigarette.

Non troviamo nessuno dei due.

In compenso, facciamo splendide foto al luogo estremamente suggestivo nella sua decadenza post-sovietica. Soprattutto la via con i chioschi ambulanti merita particolare attenzione: stormi di grossi piccioni ricoprono gran parte della superficie del lastricato. Persone dall’aria grigia e vestiti troppo grandi e troppo logori sono sedute sui gradini tra i fumi dei cibi da strada e le insegne sgangherate con scritte in cirillico.

Scorci di periferie di ex imperi #1
Scorci di periferie di ex imperi #2

Poco prima di riprendere posto sul pullman, ci fiondiamo di corsa al chioschetto di dolciumi adocchiato all’entrata del supermercato, per spendere gli ultimi rubli acquistando due sacchetti di frutta secca glassata di yoghurt (da annoverare tra i leitmotiv del viaggio).

Salutiamo quindi il desolante centro commerciale, e la signora dell’ingresso intenta a riscuotere i suoi dieci kopeki in compagnia del suo grasso gatto appollaiato fuori l’entrata.

Il viaggio riprende, non senza sorprese. Appena salite sul pullman, infatti, decidiamo di dare fondo alle provviste vecchie e nuove per il pranzo. Mi fiondo sulle tortine di carote, che mi passeggio da tre giorni, addentandone una con avidità e noto che c’è qualcosa che non va… è evidentemente andata a male. Dopo un assaggio di Fra per confermare le mie ipotesi, cestiniamo tutto tra i rimpianti. Tentiamo quindi il secondo round: tortine di riso, spappolate tipo il mangime Miglior Gatto, ma ancora commestibili.

Il meglio però arriva col cibo russo fresco d’acquisto: il dessert. Mi fiondo sui biscotti al caramello, squisiti, ne mangio tre o quattro rigirandomi il pacchetto tra le mani con entusiasmo. Ad un certo punto, tra i vari rimaneggiamenti (perché il guardare la confezione dà ancora più gusto) mi cade l’occhio sulla data di scadenza… doppia:

12/2/2013 e 12/2/2014.

Comincio a pormi delle domande e le pongo anche a Fra. Lei mi spiega che in Russia hanno la bella abitudine di acquistare, a poco prezzo, il cibo scaduto dall’estero, per poi posticipare la scadenza di un anno e rivenderlo come nuovo. Effettivamente, molti cibi sono ancora commestibili dopo la scadenza.
Al contrario di altri. La confezione di frutta secca ne è un pratico esempio.

La apriamo con non poca perplessità (dati i recenti sviluppi con i biscotti) e cominciamo la degustazione. Percepiamo subito un leggero retrogusto di muffa e ci scambiamo sguardi pieni di palese disgusto. Ma non ci facciamo prendere dal panico e perveniamo ad una soluzione ragionevole: assaggiamo un po’ di tutto, teniamo i bocconi decenti e buttiamo il resto.

Stiamo ancora cercando di mantenere un certo contegno, quando vedo Fra pescare un affare, dare un morso e lanciare un urlo: “E’ peperoncino!”.
Ho riso piangendo per un quarto d’ora di fila.

Tramite una lunga e ardua selezione, salviamo solo i pezzi di mela.

Dato che ci dispiaceva buttare tutto il resto del pacco, decidiamo di giocare l’ultima carta: offrire. Pensiamo subito alle nostre amiche fricchettone, avranno sicuramente ingurgitato di peggio in vita loro. All’inizio sembrano entusiaste, ma poi le vediamo operare gli stessi nostri processi di disgusto-selezione-scarto, finché demordono anche loro e il sacchetto torna miseramente al mittente.

Dopo aver rischiato diverse epatiti, accantoniamo ogni cosa e ci buttiamo sui dolcetti allo yoghurt, l’unico acquisto decente forse da giorni.

Per celebrare il lauto banchetto ci facciamo un brindisi finale di Biochetasi, che è la cosa più genuina ingerita nelle ultime ore.