Voci dal nord

Capitolo 5 – Una gita tra i boschi

«But that’s the glory of foreign travel, as far as I am concerned […]. I can’t think of anything that excites a greater sense of childlike wonder than to be in a country where you are ignorant of almost everything. Suddenly you are five years old again. You can’t read anything, you have only the most rudimentary sense of how things work, you can’t even reliably cross a street without endangering your life. Your whole existence becomes a series of interesting guesses».

(Bill Bryson, Neither Here ot There: Travels in Europe)

5 luglio 2013

Pullmann per la foresta

Ore 12.00 circa

Sveglia alle 9.30, ma alle 8.00 stiamo già con gli occhi spalancati a guardarci in faccia.

Decidiamo di alzarci e, fatti i preparativi con molta calma, ci godiamo una colazione col sole che batte attraverso il vetro della cucina, riscaldando ancor di più il caffè solubile già bollente nelle tazze di ceramica.

Noora, in preda ad un’inaspettata botta di simpatia, ci offre gentilmente una scodella di acini d’uva, che consumiamo molto volentieri assieme alle nostre altre provviste, tra cui superbe tortine al mirtillo con aneto.

Avremmo il pullmann che parte a mezzogiorno, ma essendo presto ne approfittiamo per andare a buttarci sulla riva del lago.
Ma non senza prima aver fatto scorte all’S-market (figuriamoci).
Parte il solito delirio di tortine alla carota e yoghurt in quantità poco modeste.

Ma oggi c’è il piatto speciale: i lamponi. Si, finalmente li ho trovati.

Costavano un occhio (tipo cinque euro a vaschetta) ma dovevo levarmi lo sfizio. E poi la signorina mi ha fatto anche lo sconto di un euro perché ero italiana (anche se inizialmente ci ha scambiato per russe).

Trascorriamo due orette nella totale beatitudine adagiate sull’erba a leggere, accarezzate dal tiepido sole e dalla brezza lacustre, per poi raggiungere l’allegra comitiva fantozziana del festival, che parte alla volta di una foresta di cui ignoro il nome.

Ed eccoci qua, accompagnate dalla guida (in finlandese, figuriamoci), dirette ad un concerto in questo posto dovrebbe prospettarsi parecchio emozionante.

Quello scorcio del lago di Khumo
Quell’altro scorcio del lago di Khumo

Pullmann di ritorno a Kuhmo

Ore 15.30

Il viaggio breve (circa 50 minuti) è pregno di attività d’intrattenimento, come:

  • passaggio tronchetti di sedile in sedile come modelli esplicativi della vegetazione locale (“Cos’è?” – “Boh, un tronco”- “E che ce devo fa?”- “E che ne so, passalo dietro”).
  • Tentativi di orecchiare dalla tizia davanti la traduzione in inglese di ciò che diceva la guida in finlandese.
  • Rifocillamento con pane di segale sottratto a mensa, annoverabile anch’esso tra i modelli esplicativi di albero della gomma. 

Arriviamo nel cuore della foresta.

E qui l’allegra comitiva stile gite dopolavoro Fantozzi-Filini si appresta ad inerpicarsi per il più che battuto sentiero boschivo, tra bimbe moleste e signore che gettano la spugna man mano tipo gioco delle sedie (ogni giro una di meno).

Una breve camminata ci conduce al luogo designato: una collina ventosa sulla quale si stagliano rifugi in assi di legno. Da lontano si odono dei richiami vocali, provenienti da tutte le direzioni.

Sono Maari e gli altri maestri disposti in diversi punti intorno alla collina, che si avvicinano man mano restringendo il cerchio e acuendo le loro emissioni vocali.

La collina ventosa
I rifugi

Accendo immediatamente il registratore per non perdermi quest’accoglienza suggestiva. Sicuramente più piacevole di quella proffertaci dalle mosche cavalline modello K14 (più che altro sono cavalli travestiti da mosche) che mi hanno punta già due volte provocandomi dolori indicibili.

Dopo una doccia solare di Foille per punture di insetti e un glorioso pit stop al tavolino colazione (caffè, succo al lampone dolce al presunto aneto, amo l’aneto) ci stanziamo nelle rispettive postazioni di ripresa e cominciamo a seguire con attenzione la performance canora dei maestri. Magnifica.

Stavolta sono riuscita a fare registrazioni decenti, anche se il vento fortissimo disturbava alquanto, ma è il minimo rispetto allo scempio dei giorni scorsi.

Terminata l’esibizione, chiediamo, o meglio tentiamo di chiedere, informazioni varie alla suonatrice di kantele. Ma constatando la poca disponibilità della sottoscritta, come del resto di tutti gli appartenenti a questa ristretta cerchia di performers-studiosi di tradizioni locali custodite più gelosamente del Graal, io e Fra ci avviamo sconfortate e anche un po’ risentite sul sentiero di ritorno.

Da sole.

Ed ora si fa ritorno alla base, con immancabile guida in finlandese e finestrini tappezzati di boschi.

Etnomusicologhe sul campo

Materassino di Noora. Stessa spiaggia stesso lago

Ore 23.34

Il viaggio di ritorno è stato breve, e non troppo movimentato (anche perché ormai siamo ridotte a livelli vitali minimi, abbiamo la vitalità e la reattività di due amebe in provetta).

Appena rimesso piede a Kuhmo, non abbiamo neanche il tempo di rifiatare che subito ci attende un’altra esibizione, stavolta nella chiesa del paese. Siamo curiose.

Prima però tappa allo shop del festival: è l’ultimo giorno per acquistare i souvenir.

Dopo varie trattative e richieste fallimentari, optiamo per: maglietta nera del festival di quest’anno per Fra; borsa nera del festival dell’anno scorso per me; CD a palate.

Così, felici e contente con la nostra shopping bag, ci incamminiamo alla volta del famigerato edificio.

Entriamo a spettacolo già iniziato contribuendo ancor di più ad attirare attenzioni che ci fanno apparire come le intruse disturbatrici della situazione (italiane, per giunta) e sediamo buone buone su una delle panche.

Ma duriamo poco.

Pochissimo.

La performance, consistente in un duo piano e voce di canti pseudo folk-revival in finlandese moderno, che fa tanto Natale protestante in provincia, non ci convince affatto.

Per di più ci guardiamo intorno e la chiesa non è decisamente un gran capolavoro d’arte antica, men che meno di design contemporaneo. Sembra più la casetta sull’albero dell’IKEA che tutti i bimbi vorrebbero. Assi di legno dipinte di bianchiccio e azzurro cielo, due orribili dipinti posizionati in punti fin troppo esposti alla vista, zero decorazioni.

Insomma, ce la filiamo a gambe levate.

Così, un po’ per ingannare il tempo fino allo spettacolo successivo, un po’ per esercitare la rinomata arte dello scrocco punta di diamante delle tradizioni nostrane, ci infiliamo nella mensa.

E qui altra strage di zuppe al pollo e alle verdure (qualcosa come tre piatti di fila). Poi per finire in bellezza gelatina al rabarbaro con caffè e cucchiaino (nel senso che quest’ultimo c’è stato gentilmente offerto dalla casa, in un certo senso).

Siamo dunque pronte ad affrontare il prossimo atto: un trio (che poi erano cinque) di musicisti polacchi. A primo acchito non ci hanno colpite granché, forse per il genere totalmente avulso dal contesto del festival e forse anche per l’ora e per la nostra condizione psicofisica ridotta ai minimi termini, ma bisogna dire che erano comunque bravi, soprattutto il clarinettista che si lanciava in virtuosismi pieni di brio.

Dopo il terzo bis (sembrava di essere su Scherzi a parte), decidiamo di andare a distendere i nervi nell’unico posto a noi ormai caro: il supermercato (stiamo arrivando a livelli maniacali).

Oltre ad innumerevoli scorte per domani (ci aspetta la trasferta in Russia) non posso desistere dall’acquistare una borsa da spesa con stampa di tavoletta di cioccolata.

Con la nostra sporta contenente cibo sufficiente ad un’armata di cosacchi, andiamo a dare un’occhiata alla tenda in riva al lago, nella quale avrebbe dovuto aver luogo una commedia teatrale.

Constatato che non c’era la benché minima speranza di carpire una sola parola del testo in finlandese e che tempo un quarto d’ora saremmo diventate la portata principale dell’aperitivo delle mosche (nel frattempo ho rimediato il terzo pizzico, domani Napalm) abbiamo ingloriosamente demorso.

Khumo detta moda
La tenda sul lago

A questo punto avevamo circa un’ora e mezza di tempo prima dell’ennesimo concerto. Ma pochi e ben congegnati fattori hanno fatto sì che l’impresa fallisse sul nascere.

Diamo dunque una diversa svolta alla serata: escursione sulla sponda sinistra del lago.

Il panorama è mozzafiato: sono le dieci passate ma sembrano poco più che le sette. Lo specchio d’acqua rifrange una gamma di colori che va dal verde smeraldo al rosa, al grigio-azzurro intenso, facendo pendant col cielo, che appare quasi surreale col suo tramonto perpetuo. Intorno la natura caratteristica di questa regione, che ormai ci sta divenendo familiare, è quasi irreale per quanto appare perfettamente calzante a quel momento, a quell’ora e a quel posto.

Se l’avessero dipinta non sarebbe risultata altrettanto pittorica.

Tra foto artistiche, alquanto discutibili introduzioni in proprietà private e rischio smarrimento in questo piccolo paesino fantasma copia carbone di Westeria Lane, ci ritroviamo magicamente di fronte alla via di casa di Noora, dopo una più che soddisfacente camminata. Anche perché siamo arrivate all’orlo del collasso.

Il tramonto delle dieci di sera
Khumo romantica

Rincasiamo prima del solito e ci dedichiamo ad incombenze pratiche:

  • Ultima doccia modello “ultima cena” in un bagno che si possa definire tale con tanto di sapone vero.
  • Preparazione equipaggiamento
  • Bucato (tanto per ritrovare qualcosa di pulito al ritorno)

Tra l’altro Noora, il marito e la sorella sono usciti per una festa, quindi casa è tutta nostra. Ho anche scoperto che possiede una piastra per capelli. Quando mi ricapita.

Detto ciò, direi che possiamo calare il sipario, visto che domani dobbiamo alzarci alle 5.00.

Sempre che qualcosa non vada storto prima.