Un’ora d’aria lunga sei giorni

Capitolo 3 – Wanita Sahaja

“Ogni posto è una miniera. Basta lasciarsi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare”.

(Tiziano Terzani, Un Indovino mi Disse)

16 marzo 2014

Kuala Lumpur

Iniziamo la giornata con pollo tandoori a colazione, per aperitivo si prevede cocktail di Biochetasi.

Il cielo piange lacrime sottili e sembra abbastanza sconsolato. La nostra gita fuori porta si è trasformata in una gita porta a porta. Con questo tempo farsi due ore di viaggio verso il mare non ha senso. Ma non vogliamo rinunciare ad una boccata di verde e andiamo dritte dritte al grande parco ad ovest della città, in realtà un conglomerato di diversi parchi a tema: orchidee, uccelli farfalle, cervi e altre cose che comunque non ti aspetteresti di trovare in Malesia.

Su questo non vengo delusa nelle aspettative: non vedo quasi nulla. Dicono che sia la stagione sbagliata. È sempre la stagione sbagliata.

Non sento più le gambe. Ieri abbiamo camminato per chilometri e chilometri. Tra smarrimenti e deviazioni dovute a obbligate visite a luoghi monumentali. Come Merdeka Square. Piazza della libertà. Edifici bassi e piatti, modelli di architettura islamica, ornati di cupole e motivi arabeggianti dalle tinte tenui, fanno da tappeto alle schiere di giganti grigi dai mille occhi sullo skyline. Un cartello stradale che indica ‘attraversamento carrozze’ fa da paramento al colosso della Maybank, che sovrasta ogni cosa dai suoi innumerevoli piani.

Le Petronas e la torre della TV sono una costante nel paesaggio urbano. In qualsiasi parte della città ti trovi, da qualsiasi parte volgi il tuo sguardo in cerca di punti di riferimento, loro ci sono. 

Quando cala il tramonto lo spettacolo è irreale. Le luci colorate della fontana al centro della piazza si mescolano alle luci giallognole dei lampioni, che contrastano col neon delle insegne sopra i grattacieli. Il maxi octopus rosso sulla cima dell’edificio Cimb Bank sembra un alieno sceso ad annunciare l’apocalisse. Il cielo sembra finto. È come se fosse ritoccato in HDR con un programma di photo-editing, ma in tempo reale. È di un blu elettrico intenso chiazzato di macchie di luce di ogni colore, brillanti e ben definite. La bandiera malese sventola fiera in cima ad un lungo palo. È sola nel cielo. Ha uno spazio di blu tutto per sé. È come se i giganti si fossero fatti da parte per lasciarle lo spazio che merita. La tigre è sciolta nel suo habitat naturale: la libertà.

La fontana di Merdeka Square
Merdeka Square in rosso
Malesia
Merdeka Square
Merdeka Square in verde
Luci della città

Vita notturna

In circa due ore sedute a due poltroncine affacciate sulla strada principale della movida di KL otteniamo solo due birre Tiger e due pessimi approcci. Un egocentrico designer turco e un adolescente svedese fissato coi fast-food. L’attività migliore, scartata la conversazione, si rivela essere l’osservazione. Seguendo attentamente la passerella che si svolge davanti ai nostri occhi, tra un commento sarcastico e l’altro, abbiamo modo di operare una classificazione delle diverse categorie di gente che popola questa metropoli. Locali. Pochi, perlopiù commercianti. Immigrati indo-arabo-sino-pakistani. Tanti, i veri cittadini. Turisti. Abbastanza, tutti in cerca di bella vita a basso costo. Studenti. Soprattutto di economia o di design, da ogni parte del mondo, dai 18 ai 26 anni. Perdiamo il cellulare, stavolta non il mio (vedi Don’t Push Yourself). È un pezzo fisso. Il numero di punta dello show.

Trasporti locali.

H 15.30

Hanno carrozze speciali solo per donne, nella metropolitana. Il mono-rotaia. Gli uomini, singoli o in compagnia, non sono autorizzati ad entrare. La stazione è tappezzata di cartelli rosa che avvisano la gentile clientela:

WANITA SAHAJA
LADIES ONLY

Wanita Sahaja (Ladies Only)
Carrozza per signore
Vagone rosa
KL Central
Johanna
Next stop

Siamo qui. Stazione ferroviaria di KL CENTRAL, piattaforma n.3, direzione Batu Caves.

È qui che, dopo una breve scorsa a tutti i cartelli suddetti, realizziamo di esser sedute nel bel mezzo di una schiera di donne velate. I loro corpi sotto ampi vestiti più che coprenti, i loro capelli sotto foulard che riprendono il tono della fantasia del vestito. Tutto è celato, tranne la loro palese espressione di curiosità mista a disappunto dei loro sguardi. Noi: leggins e canottierina semitrasparente di Starbucks. La carrozza è decisamente più vuota e più pulita di quella ordinaria. Si capisce.

Il tempio di Batu Caves

Un’enorme statua dorata è posta all’entrata di due suggestive pareti di roccia. Una scala di più di duecento gradini le divide per condurre i visitatori all’interno. Turisti a frotte, ovviamente. Ma perlopiù indiani, venuti a porgere le loro preghiere a tutte quelle statuette colorate che decorano questo posto altrimenti assai brullo.

Le scimmie rubano. La guardia al cancello mi consiglia vivamente di mettere la bottiglia d’acqua nello zaino. Accetto il consiglio. Il luogo è suggestivo, ma meno ‘tradizionale’ di quanto ci si aspetti. Più di quanto si aspettino due cretine che dopo essersi girate templi induisti di ogni sorta a Giava e Bali pretendono di trovare chissà che nel bel mezzo di una metropoli internazionale. Ci sono elementi disturbatori, elementi di un’evidente contaminazione urbana di un posto che dovrebbe ricondurre a scenari immaginari primitivi e intonsi.

È un brutto colpo per il facile esotismo prêt-à-porter.

Sarà per le impalcature in metallo grezzo, per gli altoparlanti arroccati qua e là o per le bancarelle colme di paccottiglia votiva a caro prezzo. È il classico posto in cui ti illudi di andare a ricercare quel contatto con la natura e la spiritualità che poi è presso che nullo.

Al ritorno vediamo di evitarci il gioco al rimbalzo tra una stazione sbagliata e l’altra. Dritte, dritte a Bukit Bintang, nel vagone riservato alle signore.

Il biglietto si paga per tratta, lo devi rifare ad ogni stazione. Due ringgit. Cinquanta centesimi di euro.

Un passante random ci ferma come di consueto.

“Where do you come from?”

“Yogyakarta”

“Giakarta?”

“No. Yogyakarta”.

“Giakarta…”

“No. YOGYAkarta…”

“Oh… Giakarta!”

“Yes”.

È qui che mi vengono in mente le ultime parole del mio professore all’Accademia delle Arti in Indonesia: “Of course, Indonesia and Malesia are the same country!”.

Non sanno neanche dove sei di casa.

Batu Caves
Il tempio
Dettagli
I padroni di casa
Piccoli devoti
Altari nella roccia
Una visione dall’alto

Cena in famiglia

Ceniamo ad un ristorante cinese a due passi da casa, in una via che non credevamo di conoscere.

Mangiamo noodles in salsa nera della consistenza gelatinosa. Petrolio alimentare. In mezzo ci sono cose tipo carne, gamberetti, spinaci, calamari, alieni, pattini da ghiaccio, accendini, portapillole, scontrini fiscali…
Forse c’è anche il cellulare di Johanna.

Tra l’altro costano un occhio. Un indiano dalla lunga barba bianca e turbante siede indisturbato al nostro tavolo. Fa conversazione. Da solo. Dopo aver biascicato tra sé e noi qualcosa di incomprensibile, realizza che non gli lasceremo mai alcun tipo di recapito e va via. Come niente fosse. Un banco di fuliggine su una pensilina temporanea. Due macchine a caso che si sfiorano ad un incrocio per poi non battere mai più le stesse strade. È così che va la vita.

Per dessert abbiamo palle di fagioli di soia e cono gelato al cocco artigianale, alla via a fianco. Una strada colma di banchi alimentari e locande conciate a festa. Tutto rigorosamente cinese. Proprio dietro l’angolo. Superato il grill dei salami affumicati accanto al banco di durian che fronteggia il rivenditore di spiedini di ogni cosa (aspirapolveri, lavatrici, carte d’imbarco…) si apre un mondo. Una via immensa costeggiata in tutta la sua lunghezza da economici e appetitosi banchi di ogni prelibatezza. E noi a sbavare con pance piene e portafogli decimati.

Due cretine.

Food market
Fried oyster
Spiedini di tutto
Il venditore di carne
BBQ
Durian per tutti