Voci dal nord

Capitolo 2 – Un treno per…

“Guardai fuori dalla finestra, ma non si vedeva nulla. Solo quello spazio e quel tempo senza nome tra la notte e l’alba”

(Murakami Haruki, A Sud del Confine, ad Ovest del Sole).

2 luglio 2013

Treno notturno per Oulu

Da qualche parte nei boschi finlandesi

Ore 06.22

Ce l’abbiamo fatta. Ci siamo godute le nostre cinque orette di sonno, sdraiate sui sedili con felpe, pile, e sacco a pelo come cuscino, cullate dallo sferragliare del treno e dalla penombra che ha finalmente deciso di degnarci verso l’una e mezza, per poi ripensarci, una o due ore dopo.

Il primo risveglio è traumatico. Percepisco un leggero freddo, apro gli occhi e scorgo fuori dal finestrino un cielo chiaro e luminoso che sembra quello del primo pomeriggio. Mi fiondo a prendere il cellulare per controllare l’ora terrorizzata, pensando che avessimo saltato la fermata e chissà dove fossimo finite.

Erano le 4.00 del mattino.

4.00 del mattino, da qualche parte verso il nord della Finlandia

Dato che di riprendere sonno non se ne parlava, mi alzo per andare in bagno, in calzini, come fossi a casa mia. Non sapendo che fare una volta tornata al mio posto, mi viene in mente di dare uno sguardo al paesaggio e ne rimango meravigliata: boschi, ruscelli, casette in legno e mattoncini rossi. Uno splendore, sembra di essersi risvegliate in un sogno.

Poco dopo si desta anche Fra e mi ragguaglia sugli accadimenti notturni: “Non sai che ti sei persa. C’era un tizio che si è piazzato sul sedile davanti a noi e ha continuato a fissarci tutto il tempo. Guardava noi, gli zaini… me, te, zaini, così. Ciclico, senza sosta. Era abbastanza inquietante. Alla fine mi sono alzata e ha smesso”.

Prendiamo i nostri beauty-case e, come fossimo nel miglior albergo della Costa Azzurra, andiamo al bagno a rassettarci, in calzini, è un vizio. Dopo aver smontato e rimontato lo zainone per l’ennesima volta, riusciamo a trovare pace e riposarci un altro po’ prima dell’arrivo. Nel frattempo nel vagone siamo rimaste solo noi.

Fuori: betulle, betulle, betulle, betulle…

Treno per Kemi

Ergo: “Ad Oulu non c’è più niente da vedere, che facciamo?”
“Prendiamo il primo treno a caso, tanto abbiamo ancora una corsa gratis”

Ore 14.25

Su questa bella decisione ci torneremo tra poco. Ci eravamo lasciati a pochi chilometri da Oulu, la ridente, solare, popolata Oulu.

Facciamo il nostro ingresso trionfale tipo Apocalisse Zombie nella cittadina alle 7.50 del mattino. Subito ci fiondiamo a reclamare la nostra accomodation all’ostello proprio di fronte alla stazione, pregustando un tuffo a peso morto su una qualsiasi sorta di letto esso offra.

Giustamente ci dice di tornare alle 15.00. Ma possiamo lasciare i bagagli.

Ci diamo al vagabondaggio ramingo per le vie della città alla volta delle sue innumerevoli attrazioni…

…le sue innumerevoli attrazioni.

Oulu appare come un set abbandonato di un film. Una sorta di Truman Show scandinavo.

Tra ampie strade deserte contorniate di colorate casette in legno, incastonate tra alberi e bacini d’acqua, passeggiamo ammirate e interdette da cotanto incantevole e silenzioso paesaggio.

Arriviamo alla piazza del mercato, lo scorcio forse più bello dell’intera cittadina, e ci sediamo ad uno dei tavolini dei vari chioschetti a sorseggiare caffè macchiato alla finlandese… macchiato di una colpa irreparabile: fa schifo. Ma ne vale la pena solo per la piacevolissima sensazione che quell’aria e quella vista regalano di prima mattina. Dopo una nottata singolare, abbiamo bisogno di fermarci a meditare davanti a qualcosa di caldo, nella calma più totale, rotta solo da stormi di gabbiani in perpetuo vorticare sulle impalcature degli allestimenti mercantili.

Prima colazione
I gabbiani di Oulu

Prima o poi riuscirò ad immortalare un gabbiano in volo in primo piano. È il mio scopo da circa ventiquattr’ore.

Dopo il caffè ci sfogliamo velocemente la guida di Oulu, e dopo aver scartato notevoli iniziative quali trenino cittadino, museo della tecnologia e ‘cat show’, optiamo per una lunga camminata lungo il sentiero tra gli alberi che costeggia il lago nella quiete più totale.

Facciamo giusto in tempo a chiudere l’anello del sentiero esattamente al punto di partenza, che il tempo volta faccia. Eravamo partite a luglio, torniamo a dicembre.

Oulu a Luglio
Oulu a Dicembre

Nel dubbio ci avviciniamo al centro della città, ma non facciamo in tempo a pensare ad una possibile programmazione delle attività che veniamo risucchiate dai supermarket colmi di vasche di cioccolatini e leccornie varie. Ci imbattiamo in un posto chiamato Punnitse e Saasta, e ne rimaniamo folgorate (sembravamo Hansel e Gretel davanti alla casetta di marzapane). Facciamo dunque incetta di frutta secca di ogni tipo, odore, sapore, spezia e farcitura.

Poi, come previsto, scatta il diluvio.

Tirati fuori i k-way e le buste di plastica del supermarket per coprire gli zaini (sempre eleganti), corriamo a rifugiarci nella chiesa protestante.
Dopo un breve tour, la cui attrazione migliore è il prete che canta da solo camminando lungo la navata, usciamo e cerchiamo un luogo più interessante in cui ripararci.

Andiamo a rifugiarci in un Mac Donald’s nel quale prendiamo un altro caffè e meditiamo sul da farsi sgranocchiando frutta secca, alla faccia dei cheeseburger a cinque piani con posto auto. In seguito a varie proposte bocciate, decidiamo di recarci al centro turistico in cerca di informazioni. Qui ci si affacciano altre proposte che bocciamo senza troppo entusiasmo.

In balìa di noi stesse, in preda a stanchezza e sconforto, ci riprende il sopravvento la vena ‘etno’, immancabile fonte di epifanie nei momenti di crisi.

Me: “Ad Oulu non c’è più niente da vedere, che facciamo?”

Fra: “Prendiamo il primo treno a caso, tanto abbiamo ancora una corsa gratis”.

Era inevitabile che fisse così.

Il primo treno a caso

Torniamo prima all’ostello per appropriarci della camera, sistemare le cose con calma e farci una corsa forsennata perché rischiavamo di perdere il treno. Riesco persino a slogarmi un avambraccio nel tentativo di lanciarmi lo zaino sulla schiena e sono costretta a fare impacchi di Voltaren, sotto lo sguardo attonito del controllore che pensava forse stessi in procinto di farmi una dose.

Ci troviamo quindi dirette verso Kemi, che si dice sia ricca di attrazioni… in inverno. Siamo a luglio.

Nel frattempo mi intrattengo con un divertente diverbio col tavolino estraibile ma a quanto pare non fissabile, e mi godo il paesaggio (boschi, boschi, boschi, boschi…) in attesa di scoprire dove ci stia portando il cuore.

Treno per Rovaniemi

Non si rilasciano ulteriori dichiarazioni

Ore 17.00

Ci eravamo lasciati poco prima di Kemi.

Kemi…

Bella, se ti trovi a tuo agio in un libro di Stephen King. La cosa va più o meno così:

Scendiamo dal treno colme delle più rosee aspettative e della massima fiducia, ricompensata malissimo. Usciamo dalla stazione degna dei più vecchi film western e ci dirigiamo a passo sicuro nel nulla più totale. Strade vuote e grigie, completamente deserte, case che spiccano come cattedrali nel deserto su un cielo piovoso e desolante. Ma nel dubbio, ci diciamo: “La guida menzionava il mare…”.

Il mare…

Ci incamminiamo, a senso, lungo una strada larga e dritta, dando per scontato che fosse quella giusta. A detta di un giovane operaio, unica forma di vita reperita nel paese fantasma, lo era. Sempre più sconfortate, ci dirigiamo ormai quasi per inerzia verso la meta che si scorge all’orizzonte, e così arriviamo al mare.

Il mare…

Torniamo indietro con molto poco da raccontare e molta acqua piovana in più addosso, ma soprattutto voglia di rivalsa a vagonate. Dunque, sedute nella piccola stazione che potrebbe essere qualsiasi città in Alabama, ci ingozziamo di noccioline, cioccolatini e frutta secca e programmiamo la prossima tappa, tabella oraria pieghevole dei treni alla mano.

Eccoci difatti, sul treno per Rovaniemi, città di Babbo Natale, nonché ultima cittadina raggiunta dal collegamento ferroviario, prima della sperduta Lapponia.

E forse è un bene. Se continuiamo così finiamo dritte, dritte nel mezzo del Circolo Polare Artico.

Treno di ritorno ad Oulu

Ore 21.20

Rovaniemi.

Rovaniemi…

Mi sentirei in dovere di tirar fuori la celebre citazione fantozziana riguardo la corazzata Potemkin, ma cercherò di trattenermi. Era quasi meglio Kemi. La visita, consistita in una vasca da un capo all’altro della via principale cuore pulsante del centro cittadino, si è conclusa, miseramente, in un pub.

Dopo aver constatato che la città constava esclusivamente di negozi chiusi e brutte architetture, senza rigorosamente uno straccio di esemplare di razza umana, ci siamo rintanate nell’unico posto aperto, per evitare almeno di morire dal freddo, visto che dalla noia già lo eravamo da un bel po’. Ne approfitto anche per assaggiare la famosa birra Karhu, il cui significato, esplicitato dal logo di fabbrica, è un orso.

Karhu

Tra hit indie rock, lampade accecanti dai colori improbabili pendenti dal soffitto e corna di renna appese alle assi di legno delle pareti, consumo la mia birra fino ad esserne colma (qui non hanno mezze misure). Talmente colma, che sento ben presto il bisogno impellente della toilette. Ma c’è un problema, le lettere sulle porte che indicano signore e gentiluomini (rigorosamente senza simboli) sono in finlandese: N o M? Ho giusto il tempo di rimanere un po’ a rimuginare nei dubbi più neri, posando alternativamente lo sguardo dall’una all’altra porta, che una voce dal fondo del locale esordisce con un: “It’s N, on the left”. 

Brilla e riconoscente, rispondo con un accorato: “Oh thank you, thank you so much!” al misterioso salvatore. Caso volle che costui altri non fosse che cinquantenne vichingo ubriaco che non aspettava altro che attaccare bottone. Uscita dal bagno, me lo ritrovo come da programma al nostro tavolo, intento ad importunare Fra con discorsi random sul calcio italiano. So che avrei dovuto tentare di salvare la situazione, ma, grazie ai litri di Karhu in circolazione nel mio corpo, tiro fuori tutta la mia verve da ubriaca e gli do ampiamente spago. Finisce a grasse risate e pacche sulle spalle. Ma non solo: pretende un abbraccio a tre.

Fatto sta che di renne, elfi e slitte neanche l’ombra, ma in compenso, tanti nuovi compagni di bagordi nei peggiori bar di Rovaniemi.

Una città indimenticabile.

Il ridente cielo di Rovaniemi

A questo punto non ci rimane altro da fare che ripiegare sul nostro unico e fidato amico: il supermercato. Rientrate in zona franca ci diamo così ad un’accurata scelta di cibi sani e genuini per la cena, per controbilanciare le overdose di schifezze consumate tra treni e stazioni per tutto il pomeriggio.

Scene di un certo livello si susseguono trasportate dal flusso del nettare locale. Fra vede una pila di cioccolatini Geisha della Fazer, di cui io vado matta. Segue semplice constatazione: “Quante geishe…!”, che trova risposta nel più che logico: “Un troiaio”. Per fortuna qua nessuno capisce l’italiano.

Dopo aver consumato il pasto tra la panchina nella sala d’attesa della stazione e il sedile del treno, ci accingiamo a farci condurre distrutte fisicamente e moralmente alla nostra rivalutatissima Oulu. Fortunatamente, forse in un moto di pietà per noi stesse, ci risparmiamo altre fermate intermedie quali:

Tervola – cittadina che neanche compare sulle mappe.

Murola – ‘posto’, la cui stazione offre, tra le ‘facilities’: capanna in legno con finestre murate; sentiero non asfaltato; betulle, pini, pini, pini e ancora betulle, in una distribuzione regolare più meno in rapporto di una ogni sette.

Se mi chiedessero dove inizia la fine del mondo, giurerei che è dietro una di quelle finestre.