Voci dal nord

Capitolo 32 – Ultima tappa

«Domani sera tutto sarà ancora qui, meno noi. Noi non ci saremo. La gente si sveglierà la mattina, andrà al lavoro, dormirà, si sveglierà di nuovo, ma noi non lo sapremo e loro non sentiranno mai la nostra mancanza».

(Ray Bradbury, Cronache marziane)

30 luglio 2013
Ore 15.30

Aereo Riga-Fiumicino, posto 60E (vicino a comitiva di vecchie italiane tipo comitiva dopolavoro Fantozzi-Filini)

Riconosci sempre gli italiani nei posti pubblici da due fattori:

1. L’intreccio di chiacchiere strettamente personali, recitate ad alto volume in differenti timbri vocali, che permea l’ambiente.

2. Lo strano fenomeno paranormale della multiforcazione delle file di attesa, che perdono ogni senso e logica e danno luogo a diverbi, talvolta letali.

Ad ogni modo, ieri ce la siamo presa comoda. Una sorta di riadattamento al vivere civile, prima del ritorno alla vita quotidiana. Apriamo gli occhi su quel fior, fior di cameretta del Big Bed Hostel.

Li richiudiamo.

Li apriamo di nuovo, è tutto vero. Siamo vive, illibate e le borse ci sono ancora.

Dato che quel posto non dispone di cucina, ci prepariamo un caffè col bollitore e lo consumiamo comodamente sulla moquette, tra la chiazza non identificata e le briciole di chissà cosa lasciate da chissà chi.

Fra: “Ma hai mangiato biscotti?”

Me: “No. Perché?”

Fra: “Perché c’è uno schifo sotto al letto”.

(Colazione da Tiffany, il sequel).

Tra l’altro, mettiamo il caffè nello stesso barattolo di yogurt che aveva funto da recipiente per i noodles, ergo, sa di pollo. Tiro fuori il solito dolce alle mele, uvetta e cannella e mi accingo a consumarlo. Apro l’involto del dolce, mi giro e prendo il coltello, alzando un lembo del cuscino. Fra scoppia a ridere.

Me: “Che c’è?”

Fra: “Hai appena preso, con tutta nonchalance, un coltello da sotto il cuscino per affettare un dolce”.

Tanto per rimanere in tema, ritento l’improbabile rasatura con lama di coltello, stavolta a secco. Dopo le suppliche accorate di Fra e la resa di fronte all’evidenza, smetto e usciamo.

Prima tappa: visita turistica al mercato di Riga, teatro di orrori culinari di ogni sorta, soprattutto nel reparto del pesce, in cui abbiamo modo di ammirare (e fotografare furtivamente) i fasci di pesce secco traboccanti da dietro di banconi e le vasche piene di teste di vari esemplari di pesci del Baltico.

Il mercato di Riga
Giorno di acquisti
Il banco del pesce
Altre delizie culinarie

L’unico acquisto che ci sentiamo di azzardare, tra un giro e l’altro negli ex-hangar di aerei militari adibiti a mercato, con scritte in cirillico pendenti da ogni dove, è del pane appena sfornato. Ne assaggiamo subito un pezzo, invitate dal profumo. È caldo e croccante, una gioia per il palato. Ci eravamo scordate com’era il pane vero, con tutte quelle segale.

Terminato il tour caratteristico, ci dirigiamo alla volta della città vecchia, in cui Fra mi fa da guida turistica tra le casette colorate dai tetti rossi spioventi e le stradine lastricate. Lo stile è più o meno quello di Tallinn, anche se la città è molto più grande, soprattutto nella fascia intermedia tra il centro storico e la periferia più estrema. Abbiamo modo di girare a fondo anche questa, guidate dal fiuto dei supermercati.

A spasso per Riga
Il centro
Scorci
Guglie
Chiese
Piazze
Palazzi
Souvenir
Orologi
Torri
Obelischi
Statue
Anfratti

D’altronde, il centro è talmente piccolo che terminiamo la visita nel giro di un’ora e ci dedichiamo ad un ultimo giro di acquisti prima del ritorno in patria. Soprattutto, cerchiamo dei souvenir che siano trasportabili negli zainoni e nei bagagli a mano, cioè le sporte dell’S-market che hanno definitivamente rimpiazzato le gloriose ‘borse profugo’. Quasi stenteremmo a crederlo, stiamo tornando conciate meglio di come eravamo partite.

Tra gli acquisti, un paio di All Star a prezzo stracciato, con le quali sostituisco le mie affezionate compagne di viaggio color verde militare stinto, risvolti rosa slavato macchiato, lacci sfibrati, cuciture saltate e suole consumate effetto pattini con intense nuances fango.

A pranzo siamo ospiti da Pelmeni, una catena locale, sorta di tavola calda famosa per gli gnocchi in brodo ripieni di carne e verdure. Ne prendiamo quattro di numero, per assaggiarli e avere la scusa per usufruire del solito servizio pic-nic a scrocco. Tiriamo fuori, dunque, le insalate di verza, i grissini del Rimi, gli yogurt e le banane, tra le facce dubbiose dei russi presenti (ce ne sono più dei lettoni qui).

Pelmeni
Il pranzo è servito

Dopo una seconda manche di compere, torniamo alla base per fare il check-in al piano di sotto, dove ci accoglie sgargiante e colorato il Riga Hostel, niente a che vedere con la bettola di sopra. Ci sistemiamo nell’ampia stanza, arredata con gusto impeccabile con stampe moderne dalle fantasie etniche alle pareti e tappezzerie intonate (sembrava di essere sul set di uno spot della Desigual), con tanto di carrello appendiabiti vintage, lampadario di lunghi cristalli fuxia pendenti in tono con gli arredi e specchio a cornice bianca barocca con una mensola sottostante, colma di portacandele fuxia e lilla. Finalmente troviamo un posto decente in cui dormire, ed è la nostra ultima notte di viaggio.

Mi fiondo a fare l’immancabile doccia al Lysoform (“Non te fa vedé che vai in bagno con quel coso” cit.) seguita da una purga generale dei panni vecchi, lasciati nel cesto per il riciclo dell’ostello. Indosso pantaloni puliti, le All Star nuove e la maglietta del festival di Viljandi e sono pronta recarmi con Fra al Double Coffee, dove prenderemo un caffè con una sua amica ed ex-collega di accademia, Liene. Giunge anche per Fra il momento dell’addio alle All Star. Esce per depositarle nel cesto… ma non torna a mani vuote.

Me: “Fra… perché sei uscita con delle scarpe e torni con del pane?”

Fra: “Ho fatto il giro dalla cucina…”.

Non c’è più speranza, una volta tornate a Roma cominceremo a trafugare cibo anche dalle dispense delle nostre case.

Il Riga Hostel (quello vero)
La stanza
La spesa
Il pile mai smesso per 30 giorni
Camera con vista

Incontriamo Liene davanti al Double Coffee e rimaniamo un’oretta a chiacchierare, di fronte ad una tazza di cream white coffee fumante. Gli raccontiamo delle avventure dell’ultimo mese, mentre lei esibisce significative espressioni di stupore e sconcerto. Liene ci accompagna, poi, a visitare il quartiere Art Nouveau della città e il porto.

Dopo la lunga camminata, esauste, ci sediamo sugli ormeggi del molo, contemplando il tramonto e facendo programmi per la serata. Decidiamo di andare a mangiare qualcosa in un pub tipico che offre pasti a buffet (aiuto) e poi raggiungere Mikali (il fratello di Liene) ed il suo amico Cristoph in un altro pub a tema folkloristico, dove fanno ottime birre locali. Altri chilometri di ritorno dopo, tra lamentazioni e strascichi di me e Fra, ormai arrivate al limite di resistenza fisica e desiderose di fermarci più di ogni cosa (“Il mio regno per una sedia” cit.), arriviamo al locale e cominciamo ad abbuffarci senza dignità (Liene: “Ma come fa tutto quel cibo ad entrare nel vostro corpo?”).

Double Coffee
Ultimi peregrinaggi cittadini
Architetture
Altre piazze
Altri tetti
Altre facciate
Decoratissime facciate
E facciate più decadenti
Latvia
Il porto
Arrivederci Baltico!

Verso sera raggiungiamo gli altri all’altro pub e prendiamo posto accanto a degli altoparlanti che propagano ritmi di folk-revival lettone a tutto volume. Prendiamo due tipi diversi di birra locale: la chiara, buonissima e la scura, all’intenso aroma di bacche rosse, forse anche un po’ troppo. Sembrava di bere un sottobosco.

Mikeli e Cristoph sono due tipi allegri e parlano benissimo l’inglese (Liene parla benissimo anche l’italiano, imparato da autodidatta) e la conversazione è fluida e piacevole. Poco dopo, si aggiungono a noi altre persone: una tizia non bene identificata e una coppia di musicisti, lei svizzera e lui padovano, che danno un tocco di brio in più alla serata. Tra i sempre più evidenti effetti della birra e la parlata in un improbabile mix di italiano, italiano-lettone, italiano-svizzero, padovano, lettone, inglese, condito da gesti, il clima si riscalda notevolmente.

Una volta salutati i tre ospiti, che tornano all’albergo, siamo pronti per andare in un altro locale. Ma qui le cose si mettono male. Poggiamo le borse su dei divanetti e ci posizioniamo ai lati di un tavolo da gioco che somiglia a quello del biliardo, ma con dei dischetti di due colori diversi, al posto delle consuete palle. Cominciamo, quindi, a dare prova delle nostre doti di giocatori ubriachi (nonché totalmente ignari delle modalità del gioco). Ma passa poco tempo in pace ed armonia, che arrivano dei russi ubriachi, molesti e desiderosi di attaccare briga. Fra mi sussurra all’orecchio di non aprire bocca, io mi appunto il coltello nei pantaloni, prendo la borsa ed esco con calma dalla sala. Gli altri fanno lo stesso dopo di noi e, una volta scampato il pericolo, decidiamo di fiondarci in un altro locale, il Riga Folk Cafè, dove ci divertiamo da matti.

Ordiniamo innumerevoli drink (più un tè per il povero stomaco di Fra) e ci lanciamo in discorsi sconclusionati, balli sfrenati su successi rock del passato e tentativi di lezioni di lingue poco riusciti (Cristoph riesce a farmi contare fino a 20 in tedesco, tra errori imbarazzanti e grasse risate). Ubriachi persi, barcolliamo fino all’ostello, dove ci congediamo, dandoci appuntamento l’indomani al Double Coffee, per un saluto prima della partenza. Fra da l’addio alla tenda e alla stuoia, lasciate in custodia semi-permanente a Mikeli.

Stanca, ubriaca e affamata (neanche la mole di cibo ingurgitata a buffet è riuscita a tamponare le quantità di alcol scolate) propongo a Fra uno spuntino delle 3.00 passate, con le provviste residue. Ed è così che, per l’ultima volta, diamo luogo ad uno dei nostri impeccabili spuntini a base di: interminabile dolce alla cannella, yogurt, grissini, tozzi di pane avanzati e funghi in lattina che, finalmente, sono riuscita ad aprire dopo settimane. Con lo stomaco prostrato in segno di resa definitiva, mi corico tra lenzuola pulite e decorate e cado in un irreversibile coma post-sbronza.

Mi sveglia Fra, alle 8.30, dopo essere tornata da una spedizione punitiva al Rimi (“scendo un attimo sotto casa” cit.) per l’ultimo carico di zuppe… all’alba.

Fra: “Mi sono appena fatta quattro chilometri sotto la pioggia”.

Me: “Hai trovato qualcosa?”

Fra: “Pioggia”.

Ci concediamo una bella colazione offerta dall’ostello (stavolta davvero) a base di toast, deliziosa marmellata ai frutti rossi e lei: la crema al caramello. Stamattina è sbocciato un nuovo amore. Adocchiata l’attrezzatura in un angolo della cucina, partorisco un’ideona: prepariamo le crepes. Prendo il preparato già pronto e lo posiziono nel fornello elettrico già allestito… ottenendo un ammasso di pasta informe mezzo abbrustolito. Ci spalmo imperterrita il caramello sopra, facendo buon viso a cattivo gioco, superando l’orgoglio culinario miseramente infranto.

Facciamo l’ultimo giro al supermercato (ci siamo quasi commosse alle casse) e andiamo al Double Coffee per trascorrere la nostra ultima ora di viaggio in compagnia dei nostri amici, sullo sfondo di grandi successi italiani, messe dal Dj del Caffè senza motivo. Io e Fra ci commuoviamo definitivamente all’attacco di ‘Con te partirò’.

Liene e Mikali ci accompagnano alla fermata dell’autobus, aiutandoci con la mole di bagagli ormai del tutto ingestibile, meravigliandosi di come abbiamo potuto scorrazzarceli avanti e indietro per un mese. Così, sotto la pioggia battente (che ormai non avvertiamo più neanche come leggero fastidio) salutiamo i due deliziosi fratellini lettoni e la città che ha segnato l’ultima tappa della nostra avventura, che ormai ci sembra cominciata una vita fa. Attraverso le gocce condensate sui finestrini rivediamo Maari, il Sommelo e l’Orso come ricordi lontani, incapaci ancora di realizzare che tutto ciò è finito ma, soprattutto, che è davvero accaduto.

Arrivate in aeroporto, ci diamo ad un inconcepibile spettacolo di impacchettamento zaini con un rotolo di scotch da imballaggi che ha finalmente dimostrato, seppure in extremis, la sua utilità (a differenza di altre cianfrusaglie inutili come: set da cucito, colla stick, apribottiglie…). Rendiamo quindi un ultimo omaggio all’ ‘outfit profugo’, che ha costituito un must nel nostro percorso. Ci presentiamo al check-in con: zainoni avvolti nello scotch da pacchi alla meno peggio e borse della spesa con stampe di cioccolato e cocomero (i bagagli a mano), fiere e spavalde nei nostri pile consunti e scarponi luridi.

Aggiungo il necessario tocco di classe, consumando l’ultima fetta di verza rossa cruda, a morsi, placidamente seduta nella sala d’attesa del Gate. Do fondo anche a ruderi di dolciumi che il Pigorini acquisterebbe a peso d’oro (“Fra, pensa, questi vengono da Turku” cit.).

Sopravvissute (per ora) alla solita armata Brancaleone di cinquantenni italiani in comitiva vacanze, ci facciamo trasportare in patria dalla Air Baltic, colme di ogni cosa immaginabile: sonno, dolori, risate, lacrime, germi, zuppe, biscotti ma, soprattutto, magnifici ricordi.

Passo e c… ottero, cottero, cottero, cottero…

FINE