Voci dal nord

Capitolo 1 – Totò e Peppino ad Helsinki

“Capisco perché gli scandinavi amano la bandiera: è prima di tutto un richiamo al colore, dunque alla vita, in questa miseria minerale. Persino le case ripetono i colori nazionali del Nord, rosso blu giallo e bianco, sono come scatole di fiammiferi sparse sui detriti di una miniera”

(Paolo Rumiz, Trans Europa Express)

1° luglio 2013

Ore 12.45

Aereo della Norwegian Airlines Roma-Helsinki

In volo

Ecco il cielo sopra le montagne, ci siamo. L’imbarco è stato quasi indolore, salvo pochi simpatici inconvenienti, vedi:

✔ Rottura cerniere delle gloriose BORSE PROFUGO (così ribattezzate date ovvie ragioni estetiche). Riparate con lodevole ingegno unito a forza bruta da Fra, evitando così di incorrere in metodi più rozzi da me suggeriti.

✔ Fallimentare e poco accorto acquisto di bottiglietta d’acqua ‘ad orologeria’ con la quale ho battezzato la mia borsa. Ego te absolvo.

✔ Avviso di cambio Gate all’ultimo secondo, poco dopo aver pronunciato le seguenti parole: “Visto che c’è ancora un po’ di tempo, vado in bagno”.

✔ Inutile e imbarazzante attesa di circa una decina di minuti nella fila dell’imbarco per Madrid, convinte che fosse quella per il bar.

Siamo sveglie e reattive come due orango del Borneo sedati. Per il resto ci godiamo il volo tra sbalzi di temperatura, diligente studio del libretto d’istruzioni del registratore Tascam nuovo di zecca e letture di un certo livello quali Proust e il Kalevala (l’epica nordica). Il tutto coadiuvato da uno sgranocchiare compulsivo di cracker dietetici al gusto cartapesta.

“And have a safe travel”.

Ore 22.01

Treno notturno per Oulu

Siamo in partenza dalla stazione centrale di Helsinki. L’arrivo all’aeroporto di Helsinki è stato soffice e indolore. Più dolorosa è stata la constatazione fatale appena messo piede fuori dall’aereo: la profezia si è avverata, Totò e Peppino arrivano al nord. Un sole che spacca le pietre ci accoglie nella ridente città e, tra gente vestita come ci trovassimo a Capri, ci siamo noi, infagottate in felpe, pile, sciarpe e pantaloni invernali.

Lo sapevo.

Altri dolori arrivano poi, al momento del travaso beni personali dalla valigia agli zaini (un’idea furbissima per imbarcare un solo bagaglio all’andata e risparmiare sul biglietto).

Recuperiamo il tutto dal rullo del ritiro bagagli, che propone una sfilata esemplari al confronto dei quali la nostra cara BORSA PROFUGO sembra uscita dall’ultima sfilata di Fendi. Una menzione d’onore va alla valigia nera in plastica rigida accuratamente sigillata con spago da pomodori.

Uscite dall’aeroporto prendiamo l’autobus numero 615 diretto alla stazione, che ci concede un primo assaggio del caratteristico paesaggio finlandese: alberi, alberi, alberi.

Giunte a destinazione non senza travagli, ci buttiamo sulle panche dell’atrio nel bel mezzo della stazione centrale di Helsinki, davanti a due sorveglianti della sicurezza e ci lanciamo nel travaso di ogni sorta di oggetto ed indumento. Tra il turbinio di mutande, parti di fornelletto a gas, improbabili set da cucito, tubi di creme anti-ustioni esplosi, scarponi da trekking e flaconi di shampoo a secco, spicca il mio fido coltellaccio da gangster, celato con ogni mezzo onde evitare arresti poco dignitosi.

E dunque, dopo innumerevoli passaggi di set di stoviglie della Quechua, pacchi di calzini legati con elastico per capelli (altro che il tizio dei pomodori) e tanti altri articoli degni di nota, riusciamo a sistemare il tutto e a corazzarci con l’equipaggiamento da backpackers.

La corazzata più che altro è un’armata: Brancaleone. Gli zaini stracolmi e male assortiti, strabordanti di sacchi a pelo sbilenchi e stuoie attaccate alla meno peggio, ci sbilanciano e rendono il nostro andamento alquanto precario. Sembriamo due avvinazzate appena uscite da una nottata di bagordi.

Ma non ci perdiamo d’animo. Dopo esserci improvvisate Maciste e Sansone per la bellezza di tre metri ed una rampa di scale, ficchiamo tutto nella cassetta di sicurezza della stazione e ce ne andiamo libere e felici a zonzo per la città. Cioè, felici abbastanza, libere un po’ meno: ci trasciniamo per tutta Helsinki la valigia vuota sgangherata in cerca di un posto in cui buttarla.

Helsinki appare radiosa e fiera, nei suoi severi ma quasi romantici edifici che ben s’intonano ad una diffusa sfumatura tra il grigio perla e l’azzurro, che abbraccia un po’ tutte le cose. Quei pochi colori accesi, tipo il verde bosco e il giallo crema del tram cittadino o le gamme di rosso e rosa dei fiori che adornano le panchine sulla piazza della stazione centrale, risaltano ancora di più. Comincio a comprendere la passione dei nordici per i colori sgargianti, un tocco di brio alla vita piatta ed incolore delle latitudini climaticamente meno fortunate.

Bellissimo il corso, poetici i viali che conducono al porto, delizioso il parco, un gioiellino di città, ma di un cassonetto neanche l’ombra. Estenuate ed esauste, cominciamo a maledirci per questa idea geniale (darei il resto dei soldi del biglietto alla Norwegian anche ora) e pensiamo di abbandonarla vicino ad uno dei tanti cestini striminziti. Ma indugiamo troppo tormentate dall’indecisione. Suggerisco di proseguire con nonchalance per evitare di essere scambiate per terroriste. Oggi l’arresto ci viene proprio facile.

Alla fine troviamo un cassonetto ma non poteva certo essere esente da prove di abilità. No. Noi becchiamo quello che si apre da sopra. Finisce con Fra fiondata dentro al pattume con tuffo agonistico per ficcarci il benedetto bagaglio. Non concediamo bis.

Per affrancarci dall’umiliazione andiamo a lenire le nostre ferite da FAZER, la casa Finlandese che produce diversi prodotti alimentari, particolarmente rinomata per i dolci. Facciamo incetta di cioccolatini di ogni sorta e li consumiamo nell’arco di mezz’ora tra un giro al porto e una ricognizione al carinissimo centro cittadino. L’atmosfera, l’aria, i colori, l’architettura, tutto è così suggestivo, tra il cielo incerto con sprazzi di sole alternati al grigio uniforme della coltre di nubi e la brezza leggera che accompagna il volteggiare dei gabbiani davanti ad edifici in stile nordico.

Ma dal tour en plein air passiamo al tour underground: ci addentriamo tra supermarket e centri commerciali della stazione a fare scorta di dolciumi e altri beni alimentari per affrontare il lungo viaggio nel treno notturno diretto ad Oulu, prima città lappone.

Una volta equipaggiate di tortine alle carote, cioccolate farcite e frutta secca sufficienti ad un plotone di cavalleria nella steppa russa, pensiamo tuttavia di concederci un ultimo pasto decente. Ed è così che giriamo senza meta per non so quanto tempo, rimbalzate miseramente da un fast-food all’altro ed illuse più volte da indicazioni fallaci, esosi ristoranti asiatici e fantomatici nepalesi.

Ma poi lo spirito etnomusicologico prende il sopravvento: “Prendiamo due cose al take-away e buttiamoci su qualche panchina”.
Ci guardiamo intorno sulla banchina colma di gente in attesa, le panchine sono tutte occupate. Temporeggiamo un po’ in attesa che qualcuna si liberi ma ciò non si verifica. Finalmente adocchio una sorta di gazebo in legno all’inizio della banchina e mi lancio nella proposta: “Fra, ti scandalizzi se ci mettiamo lì?”

“Lì nel gazebo?”

“No, lì”.

Finiamo per terra.

Gustiamo il lauto pasto spiaggiate sulle assi di legno, intrattenendoci in un’attenta prima osservazione dei flussi umani di Helsinki, mentre occhiate colme di indignazione e interdizione ci piovono addosso da ogni dove.

Un diamante è per sempre, un etnomusicologo è per terra.

Ma è sin troppo facile non dare troppo nell’occhio nel grande spettacolo di varietà che è la stazione centrale di sera.
Fra (continuando a mangiare placidamente in tutta calma, senza scomporsi): “Comunque, è appena passato uno in mutande”.
Rimango interdetta per un istante, poi mi giro. Effettivamente c’è un tizio in mutande. Una specie di boscaiolo in camicia a quadri e stazza imponente che passeggia seminudo, indisturbato, su e giù per la banchina.

Ci ricomponiamo e continuiamo a farci i fatti i nostri.

Terminato il banchetto di gala, corriamo a recuperare i bagagli al deposito. Dopo le solite belle performance da equilibriste (tanto dopo quello in mutande ormai chi vuoi che ci fili) ci dirigiamo alla piattaforma di partenza. Tra i fantastici treni ultramoderni dai colori smaglianti intravediamo LUI, in pole-position sul binario 8: l’Orient Express. Assassinio incluso (il nostro, un omicidio-suicidio di cortesia mettiamola così). Dalla Finlandia proprio non me l’aspettavo.

Saliamo su questa specie di trabiccolo del diciannovesimo secolo. Fatto cenno alla O’Hara che saluta accorata da due vagoni più in là, ci mettiamo alla ricerca della seconda classe. La troviamo subito (ma forse la prima non era proprio contemplata). Ci accaparriamo i posti vicino all’appendiabiti in cui parcheggiamo tenda e cianfrusaglie varie, per poi darci alla colonizzazione dell’intero vagone.

Mentre salgo sul sedile per sistemare gli zaini nello scomparto rialzato, Fra mi prega di levare la scarpa da sopra il biglietto. Il treno parte ed io trovo finalmente pace, non prima di aver appeso la busta della spesa al gancio sopra il finestrino. Lasciamo la stazione centrale di Helsinki in un trionfo di provviste che sventolano per aria.

Totò e Peppino colpiscono ancora.

Tra letture di un certo livello, dolci a camionate e attività registro memorie sempre in funzione, tentiamo di affrontare la lunga notte senza buio che ci si prospetta dinnanzi. Fra ora è allungata sui sedili davanti, io guardo il meraviglioso cielo notturno/diurno e non riesco a prender sonno ma confido nel potere del Kalevala, stimando di aprire gli occhi domani mattina con la faccia spalmata su qualche verso tra il Runo 3 e il Runo 4.

E qui mi verrebbe in mente Mago Merlino colmo di bagagli come nel cartone animato Disney, La Spada nella Roccia, che esclama a gran voce: “Oulu, arrivo!”.